Genetica

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Uno studio coordinato dall’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr e pubblicato su Nucleic Acids Research ha identificato una nuova funzione dell’enzima separasi, cioè un meccanismo molecolare che regola la velocità di replicazione del Dna, preservando la stabilità del genoma. Lo studio potrebbe contribuire alla ricerca sul cancro

 

Alcuni ricercatori dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irgb-Cnr) hanno individuato una nuova funzione dell’enzima separasi, essenziale nella replicazione del Dna. La precisione di questo processo è essenziale per la sopravvivenza e il funzionamento delle cellule, e per questo è soggetto a numerosi controlli che garantiscono la stabilità del genoma. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nucleic Acids Research.

“Ciò che emerge dai nostri risultati è che l’enzima separasi regola la velocità con cui il Dna è replicato. In sua assenza la forcella che si forma all’inizio del processo di replicazione, in seguito all’apertura della doppia elica del Dna, raddoppia quasi la velocità. Questo può portare a errori di replicazione e a compromettere l’integrità del genoma”, spiega Antonio Musio, ricercatore dell’Irgb-Cnr e coordinatore dello studio.

Un altro evento vitale per la cellula è la trascrizione genica, nella quale uno dei due filamenti che costituisce la doppia elica di Dna è copiato in una molecola simile, l’Rna, per mezzo di un macchinario proteico chiamato ‘complesso di trascrizione’. “In questo studio, grazie a tecniche all’avanguardia come la Next Generation Sequencing che consentono di leggere rapidamente la sequenza di genomi anche di grandi dimensioni, abbiamo osservato che la separasi si localizza vicino ai cosiddetti promotori, sequenze di Dna particolarmente importanti per la trascrizione genica. Ciò indica che la separasi potrebbe essere coinvolta anche nella regolazione della trascrizione e quindi dell’espressione dei geni”, prosegue Musio.

Lo studio, pubblicato su “Scientific Reports”, rivista del gruppo "Nature", è stato condotto da un team internazionale di ricercatori coordinati dall’Università di Pisa

 

Un team internazionale ha identificato per la prima volta tutti i geni trascritti nella pianta di girasole “potenziata” grazie alla simbiosi con un fungo benefico che ne favorisce la crescita e lo sviluppo. La ricerca è stata condotta dai genetisti e microbiologi dell’Università di Pisa, coordinati rispettivamente dal professore Andrea Cavallini e dalla professoressa Manuela Giovannetti, e dai bioinformatici del Centro di ricerca inglese Rothamsted Research. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” del gruppo editoriale "Nature". 
“Il girasole è una delle quattro più importanti piante produttrici di olio, il prezioso olio di girasole, ricavato dai suoi semi e ricco di acidi grassi insaturi e vitamina E, che è sempre più utilizzato nell’industria alimentare - spiega Andrea Cavallini - Noi con questo studio abbiamo dimostrato che l’espressione di alcuni geni, fondamentali per la crescita e l’assorbimento dei nutrienti nel girasole, aumenta a seguito dell’instaurarsi della simbiosi con un fungo benefico”. 
La collaborazione tra i genetisti, microbiologi e bioinformatici ha dunque portato alla identificazione del “trascrittoma”, cioè di tutti i geni espressi nella radice del girasole micorrizato, ovvero quando la pianta si trova a vivere in simbiosi con il fungo Rhizoglomus irregulare.

Ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, in collaborazione con Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e Università di Ferrara, hanno scoperto meccanismi di trasmissione della malattia genetica non solo materni: anche i padri possono trasmetterla, a causa del ‘mosaicismo’ che caratterizza il Dna di maschi affetti. Lo studio, pubblicato sulla rivista Pediatrics, delinea nuove prospettive di diagnosi molecolare

 

Una ricerca dell’Istituto di genetica e biofisica ‘Adriano Buzzati-Traverso’ del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Igb-Cnr), condotta in collaborazione con l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e con l’Università di Ferrara, ha scoperto che l’ereditarietà dell’Incontinentia pigmenti (IP; OMIM#308300) non è solo materna: le forme familiari della malattia genetica rara che colpisce le bambine possono, infatti, essere trasmesse anche dal padre. Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Pediatrics. “Questa malattia è letale nei maschi: per questo si è sempre ritenuto che l’eredità fosse solo materna. Le pochissime eccezioni documentate di maschi con Incontinentia pigmenti sopravvivono perché la mutazione stabilisce nelle cellule somatiche una situazione di ‘mosaicismo’, cioè l’espressione contemporanea di diversi patrimoni genetici nello stesso individuo”, spiega Matilde Valeria Ursini dell’Igb-Cnr, coordinatrice dello studio. “In pratica, i bambini di sesso maschile non ereditano la malattia dai genitori ma la mutazione avviene nelle cellule del feto maschio. In questi pazienti la possibilità di diagnosticare la presenza delle cellule malate nel sangue periferico era fino ad oggi assai scarsa”.

Ricercatori dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia hanno fatto parte di una task force internazionale che ha studiato l’effetto dell’esposizione a basse dosi di agenti chimici ambientali nella genesi del cancro. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Carcinogenesis della Oxford University Press

Stime dell’Organizzazione mondiale dalla sanità e dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro indicano che la frazione di tumori attribuibili all’esposizione ad agenti tossici ambientali  sia compresa tra il 7% e il 19%. 174 ricercatori impegnati nella ricerca sui tumori provenienti da 28 paesi, tra cui Chiara Mondello e Ivana Scovassi dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (Igm-Cnr), hanno approfondito la relazione tra ambiente e cancro analizzando criticamente dati tossicologici pubblicati in letteratura. I risultati del lavoro di questo gruppo di ricercatori hanno dato origine a 12 review pubblicate dalla rivista scientifica Carcinogenesis (Oxford University Press) in un numero speciale intitolato ‘Assessing the Carcinogenic Potential of Low Dose Exposures to Chemical Mixtures in the Environment’ (disponibile al link).

Una variante del gene OXTR che attiva l’ossitocina cerebrale, l’ormone dell’amore e dell’attaccamento, sarebbe associata ad una risposta più rapida (100 millisecondi) della parte frontale del cervello alla sofferenza infantile. Lo rivela una ricerca  condotta in collaborazione dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Università di Tampere pubblicata sulla rivista Emotion.

Milano, 22 maggio 2014 – Essere genitori modifica l’effetto cerebrale alla vista, o all’udito, di bambini, specie se sofferenti, rispetto a chi non ha figli, grazie anche alla presenza di neuro-ormoni come l’ossitocina. Ma anche nelle persone senza figli esistono tratti di maggiore o minore empatia o senso di protezione nei confronti dei piccoli (istinto di conservazione della specie). Ora, una ricerca svolta in collaborazione tra l’Università di Tampere (Finlandia) e l’Università di Milano-Bicocca pubblicata sulla rivista Emotion ha scoperto che queste differenze nella popolazione possono dipendere da varianti alleliche  del gene OXTR. È questo gene, infatti, a codificare i recettori (siti di comunicazione) per l’ormone ossitocina prodotta dall’ipofisi posteriore (ghiandola pituitaria).

La terapia genica si propone di curare le malattie di origine genetica intervenendo sul DNA del soggetto malato, ovvero andando a “curare” il gene o i geni coinvolti nell’insorgenza della malattia in questione. Questo approccio terapeutico può operare in modi diversi: permettendo a un gene “difettoso” di funzionare correttamente, impedendo a un gene “nocivo” di esercitare la sua funzione negativa sull’organismo o ancora inserendo nelle cellule del paziente un gene “estraneo” in grado di produrre una molecola capace di arrestare lo sviluppo della malattia. In tutti i casi, la terapia genica mira ad intervenire a monte del processo patologico. Molti sono i centri di ricerca italiani ed internazionali impegnati nella cura di diverse patologie di origine genetica e ad oggi sono altrettanto numerosi gli studi che stanno confermando la validità di questo approccio terapeutico.

Cellule staminali

11 Mag 2013 Scritto da

Le cellule staminali, in particolare le cellule staminali embrionali, sono da diversi anni al centro dell’attenzione del mondo biomedico per le loro potenzialità rigenerative. Queste cellule hanno una caratteristica straordinaria definita totipotenza, che consiste nella capacità di dare origine a diversi tipi di cellule del corpo, come ad esempio le cellule del cuore, del fegato o dell’occhio. Le cellule staminali embrionali hanno inoltre la capacità di dividersi un numero illimitato di volte, dando vita a un quantità molto grande di cellule totipotenti.   Per tale caratteristica esse rappresentano in teoria una fonte inesauribile di cellule del corpo e lo strumento ideale della medicina rigenerativa, che si propone di riparare tessuti od organi danneggiati.

Il patrimonio genetico dei sardi è oggetto di studio da parte di numerosi scienziati. Nell’ultimo decennio la ricerca è stata focalizzata principalmente sulla speciale longevità di alcuni ceppi di popolazione sarda (es. progetti AkeA presentato nel 2002 e PogeNIA nel 2001).Oggi  l’indagine si è ampliata a seguito del riscontro di un aumento significativo delle malattie autoimmuni e/o dismetaboliche nell’isola. Le patologie più segnalate sono: il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla, la tiroidite cronica e la celiachia.
La Sardegna è un osservatorio unico e prezioso per lo studio epidemiologico di tali malattie di matrice genetica o autoimmune la cui eziologia non è ancora chiarita. Essa rappresenta quello che epidemiologi e genetisti definiscono un “isolato genetico”, cioè una popolazione geneticamente omogenea che ha una localizzazione geografica isolata, presenza di barriere linguistiche, numero di fondatori ridotto, frequenti matrimoni all’interno dello stesso paese, scarsa emigrazione ed immigrazione.

La genetica è una scienza importante e molto affascinante, ma la musica non lo è da meno. Se poi le due cose si combinano che ne viene fuori qualcosa che va oltre l’immaginabile, anche se oggi è diventato una realtà.
Infatti il mondo moderno può accostare ciò che appartiene alla ricerca scientifica all’arte dei suoni rendendo le due dottrine più che mai vicine, quasi l’una il completamento dell’altra. La genetica ci ha reso edotti sulla meraviglia del nostro DNA, sulle sue forme, le diversità, le anomalie, le peculiarità, le componenti e le variabili che esso può presentare, con in più una “similarità musicale” davvero sorprendente.
La scoperta è opera del ricercatore giapponese operante in California Susumu Ohno, il quale, partendo dall’osservazione della forma perfettamente armonica della catena del DNA, è riuscito a tradurla in musica attraverso una metodica invero originale ed affascinante.

Piccoli geni

17 Set 2008 Scritto da

Sappiamo tutti che lo studio della musica affrontato da bambini può dare sorprendenti risultati, ma certo a nessuno è mai passato per la mente che tale apprendimento può iniziare fin dalla nascita. E invece sembra che sia proprio così, perché alcuni studi sul cervello dei neonati hanno evidenziato che in un bambino di pochi giorni i neuroni predisposti all’apprendimento musicale sono presenti in gran numero, così che essi posseggono il “pensiero musicale” come un’abilità non dissimile né inferiore a quella dell’apprendimento del linguaggio verbale, e quindi le due cose possono tranquillamente svilupparsi parallelamente senza traumi né sovraffaticamenti. In definitiva il respirare “aria di musica” sin dalla culla sembra sia di gran giovamento per un bambino, del resto a molti musicisti è capitato così (pensate a Bach, oppure a Mozart).

 

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