Ambiente

Ambiente (605)

Il consumo di suolo, la sua perdita a causa della trasformazione di aree agricole e naturali con la costruzione di edifici, infrastrutture o altre coperture artificiali, viaggia a una velocità di circa 3 metri quadrati al secondo, poco meno di 30 ettari al giorno, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’ISPRA nell’ultimo rapporto nazionale sul consumo di suolo. Negli ultimi sei mesi analizzati (novembre 2015/maggio 2016), le nuove coperture artificiali hanno riguardato ulteriori 50 chilometri quadrati di territorio.  Per aumentare la consapevolezza dell’importanza di questa risorsa ambientale, si è deciso di celebrare il 5 dicembre la giornata mondiale del suolo, una risorsa preziosa da cui dipende la nostra stessa sopravvivenza, ma anche una risorsa fragile, nascosta e non rinnovabile, il cui valore è poco riconosciuto dalla società. L’ISPRA, che pubblica annualmente il Rapporto sul consumo di suolo, ha deciso di celebrarlo con un videomessaggio in cui quattro testimonial impegnati su vari fronti in questa battaglia, dicono la loro e ci invitano a stare attenti al suolo che consumiamo.

Oggi il suolo è minacciato da pressioni naturali e antropiche crescenti che stanno degradando, spesso in maniera irreversibile, le sue insostituibili funzioni produttive, ambientali e socio-culturali. La tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio e il riconoscimento del valore del capitale naturale sono compiti e temi che ci richiama l’Europa, e sono ancor più fondamentali per noi, alla luce delle particolari condizioni di fragilità e di criticità del nostro Paese.  Il consumo di suolo non possiamo permettercelo neanche dal punto di vista strettamente economico; le stime ISPRA evidenziano come il consumo di suolo degli ultimi quattro anni abbia portato a maggiori costi, a causa di servizi ecosistemici non più assicurati da un territorio ormai artificializzato, che sono valutati tra i 600 e gli 900 milioni di Euro l’anno.

 

Link allo spot:

http://tv.isprambiente.it/index.php/2017/12/04/stop-al-consumo-di-suolo-in-italia-2/

 

Link al Rapporto ISPRA sul consumo di suolo:

http://www.isprambiente.gov.it/it/ispra-informa/area-stampa/dossier/consumo-di-suolo-2017

Con novembre si conclude l'anno meteorologico 2017 (dicembre 2016-novembre 2017). Dal punto di vista termometrico il 2017 ha fatto registrare, per l'Italia,un'anomalia di +1.3°C al di sopra della media del periodo di riferimento convenzionale 1971-2000, chiudendo come il quarto più caldo dal 1800 adoggi, pari merito agli anni 2001, 2007 e 2016. Più caldi del 2017 sono stati solo il 2003 (con un'anomalia di +1.36°C), il 2014 (+1.38°C rispetto alla media) e il 2015 che resta l'anno più caldo di sempre con i suoi +1.43°C al di sopra della media del periodo di riferimento.

Queste le anomalie delle temperature dei singoli mesi e delle singole stagioni di quest'anno meteorologico:

Dicembre   +1.00  23-esimo
Gennaio    -1.69 135-esimo
Febbraio   +2.12 sesto
Marzo      +2.51 quarto
Aprile     +1.64  17-esimo
Maggio     +1.55  14-esimo
Giugno     +3.22 secondo
Luglio     +1.69 decimo
Agosto     +2.53 terzo
Settembre  -0.45 101-esimo
Ottobre    +0.96  28-esimo
Novembre   +0.40  43-esimo

 

Il programma genera un indotto di 23 milioni di dollari l'anno per le economie locali e protegge 8.800 specie


Il programma per le aree protette dell'Amazzonia (Programa Áreas Protegidas da Amazonia- ARPA), coordinato dal Ministero dell'Ambiente brasiliano, in collaborazione con WWF-Brasile, WWF-USA e altri partner, celebra quindici anni di attività nel 2017 come la più grande strategia sul pianeta per la conservazione e l'uso sostenibile delle foreste tropicali. L’obiettivo di proteggere almeno 60 milioni di ettari in Amazzonia (il 15% di tutto il bioma presente in Brasile) è stato raggiunto. Oggi il programma ARPA è presente in 117 “Conservation units”, che comprendono Parchi nazionali e statali, Stazioni ecologiche, Riserve biologiche o estrattive, Riserve per lo sviluppo sostenibile (RDS) negli stati di Amapá, Amazonas, Maranhão, Mato Grosso, Pará, Rondonia, Roraima e Tocantins.
Dal totale di unità protette, 39 di esse ospitano oltre 8.800 specie, ovvero l'88% delle specie di uccelli, il 68% delle specie di mammiferi e il 55% delle specie di rettili dell'intera Amazzonia. L’ARPA lavora a stretto contatto con le comunità locali e investe nella creazione, espansione, rafforzamento e mantenimento delle unità di conservazione, garantendo risorse e promuovendo lo sviluppo sostenibile nella regione. Le aree che fanno parte del programma beneficiano di beni, progetti e contratti di servizio, come l'istituzione di consigli, piani di gestione, nonché attività di integrazione tra le comunità residenti e il loro ambiente circostante. Complessivamente, il programma ha sostenuto il rafforzamento delle comunità in trenta aree protette. Secondo uno studio condotto dal programma, le unità di conservazione supportate dall'ARPA possono generare 23 milioni di dollari l'anno per le economie locali basate sulla foresta: complessivamente, l’ARPA ha sostenuto il rafforzamento delle comunità in 30 aree protette.
"La grande sfida consiste nel garantire che le aree protette raggiungano i loro obiettivi di conservazione, in modo partecipativo e trasparente, attraverso il sostegno di risorse provenienti dalle donazioni e dal governo stesso", afferma il ministro dell'Ambiente, Sarney Filho.

 
LA DATA ANNUNCIATA DAL COMUNE DI BOLOGNA, PRELIOS E FICO EATALY WORLD CON FONDAZIONE FICO E CAAB
 
Aprirà al pubblico il prossimo 15 novembre FICO Eataly World, il più grande parco agroalimentare del mondo, che sta sorgendo a Bologna. La data di inaugurazione è stata decisa dal Comune di Bologna, promotore del progetto, con FICO Eataly World - la società di gestione del Parco -, la Fondazione FICO per l'Educazione alimentare e alla Sostenibilità, Prelios Sgr, che ha istituito e gestisce il Fondo Pai (Parchi agroalimentari italiani) per la sua realizzazione, e con CAAB - Centro Agroalimentare Bologna. Il Parco, ad ingresso gratuito, punta ad attrarre milioni di visitatori da tutto il mondo, racchiudendo l’eccellenza dell’enogastronomia italiana, dal campo alla forchetta. I lavori di allestimento sono in dirittura d’arrivo, e nelle prossime settimane verranno ultimati per assicurare il taglio del nastro nella data prefissata.

fotografia al microscopio elettronico di virus marini coltivati in laboratorio.  ( Elena Lara)

Una ricerca italo-spagnola che coinvolge l’Ismar-Cnr, pubblicata su Science Advances dimostra che negli oceani profondi le infezioni virali del plancton rilasciano ogni anno 140 gigatonnellate di carbonio organico fresco per la catena alimentare dell’ecosistema. I risultati aiuteranno a migliorare le stime del ciclo globale del carbonio sulla terra, utili per la comprensione dei cambiamenti climatici

 

Se le profondità degli oceani continuano ad essere popolate da pesci e altre creature marine, il merito è anche dei virus che, infettando il plancton, rimettono in circolo nutrienti essenziali per la catena alimentare dell’ecosistema. A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances realizzato da un team di ricerca italo-spagnolo che coinvolge l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) e l’omologo spagnolo Institut de Ciències del Mar del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Icm-Csic).

“La ricerca è basata sull’analisi di oltre mille campioni di acqua raccolti, dalla superficie fino alla profondità di 4.000 metri, lungo gli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano nel corso di una spedizione scientifica condotta nel 2010 e finanziata dal Csic chiamata 'Malaspina Expedition' e che ricalca l’omonima spedizione di circumnavigazione del globo condotta da Alessandro Malaspina alla fine del 1700”, spiega Gian Marco Luna, ricercatore Ismar-Cnr di Ancona e coautore dello studio. “Abbiamo dimostrato che i virus degli ambienti profondi, di cui finora si conosceva poco, sono in grado di predare il plancton microbico molto più attivamente di quanto ritenuto. Si stima che nell’oceano globale questi virus infettino ogni secondo centinaia di triliardi di microrganismi del plancton (un triliardo corrisponde a mille miliardi di miliardi). I virus distruggono le cellule infettate che così rimettono in circolo nell’acqua circostante il loro prezioso contenuto, fatto di biomolecole di elevata qualità nutrizionale. Un’importante frazione di tale materia organica diventa nutrimento per altri microrganismi, secondo l’effetto conosciuto come 'viral priming', nutrendo l’intera rete alimentare fino ai pesci”.

Produrre lattuga e trote nella stessa serra, usando sempre la stessa acqua, senza terra e senza pesticidi. E’ possibile grazie all’acquaponica, tecnologica ‘verde’ che combina acquacoltura idroponica. Nota ma non ancora diffusa, sarà un ‘must’ dell’agroalimentare del futuro. Nel frattempo, diventa oggetto di studio e sperimentazione con un progetto, Bluegrass, guidato da Ca’ Foscari, finanziato dalla Commissione Europea attraverso il programma di cooperazione territoriale Interreg Italia-Slovenia. L’obiettivo è far conoscere e diffondere la tecnologia agroalimentare sostenibile tra VenetoFriuli e Capodistria. Un impianto di acquaponica è un sistema in cui l’allevamento dei pesci serve a produrre ortaggi. L’acqua proveniente dalla vasca dei pesci, infatti, viene filtrata e porta nutrienti alle piante adagiate nei loro letti di coltura intensiva, per poi riprendere il ciclo. Un piccolo impianto può produrre in un anno 500 chilogrammi di pesce e 4,6 tonnellate di insalata. Oltre alle verdure a foglia, possono essere coltivate anche zucchine, melanzane, pomodori o persino alberi da frutto. Nell’altra metà della serra, possono contemporaneamente crescere trote, carpe, tinche e quasi tutte le specie ittiche d'acqua dolce.

Come possono le piante cambiare il nostro futuro? Produrre energia elettrica sfruttando l’interazione tra batteri e fotosintesi vegetale si può, ecco come.

La fonte che permette il sostentamento di tutti gli esseri viventi sulla Terra è il carbonio, più in specifico l’anidride carbonica (CO2) che si trova nella nostra atmosfera.  La produzione delle biomolecole ha inizio con i processi innescati dal Sole, il più grande generatore di energia rinnovabile del pianeta. La grande stella luminosa irradia con onde elettromagnetiche l’atmosfera e una piccola parte di questa energia raggiunge gli organismi fotoautotrofi, i quali attraverso la fotosintesi elaborano sostanze per il loro sostentamento e quello degli eterotrofi. 

Il processo fotosintetico, nella prima fase luminosa, permette alla pianta di intercettare attraverso l’ausilio del pigmento clorofilla, una certa lunghezza d’onda specifica dei raggi del sole, denominata PAR (radiazione attiva fotosintetica), che attiva la produzione di energia “eccitando” gli elettroni, che si muovono per poi ritornare al loro posto. Questo movimento dell’elettrone provoca un rilascio di energia che la pianta trasforma in energia chimica (molecole di ATP e NADHP) da impiegare nella seconda fase al buio. Durante la fase buia la CO2 entra nella pianta grazie ad aperture sulle foglie chiamati stomi ed è trasformata attraverso una serie di reazioni chimiche in ossigeno e zuccheri semplici, come il glucosio, utilizzando le molecole ad alto rendimento energetico create nel corso della prima fase. La seguente formula ne riassume il processo:

CO2 (Anidride carbonica) + 6 H2O (Acqua) + Luce → C6H12O6 (Glucosio) + 6 O2 (Ossigeno)

 Ricerca su Nature Communications ha, per la prima volta, spiegato i processi ambientali che hanno guidato la variabilità del ghiaccio marino e la presenza dei pinguini e degli elefanti marini durante gli ultimi 10 mila anni nel Mare di Ross in Antartide. Il ghiaccio marino o banchisa di ghiaccio è un elemento fondamentale del sistema climatico e il suo ciclo stagionale influenza la dinamica globale del clima a causa della sua interazione con l'albedo planetario, la circolazione atmosferica e oceanica oltre ad essere un essenziale componente dell’ecosistema marino polare. I meccanismi che guidano la variabilità del ghiaccio marino a causa delle forzanti ambientali naturali ed antropiche sono ancora poco compresi.

 

Un team internazionale di ricercatori ha appena descritto una nuova specie di grande scimmia, l’orango di Tapanuli (Pongo tapanuliensis), che vive unicamente nelle foreste di montagna nel nord dell’isola di Sumatra, in Indonesia.
Con non più di 800 individui, questa specie è la grande scimmia più minacciata di tutto il pianeta. Un team internazionale di scienziati ha descritto la nuova specie nella rivista Current Biology, basandosi su caratteristiche morfologiche e approfondite analisi genomiche. La nuova specie, chiama orango di Tapanuli (Pongo tapanuliensis), è endemico della regione di Tapanuli nel Nord di Sumatra e vive esclusivamente in circa 1.100 chilometri quadrati di foresta di montagna nell’area di Batang Toru.
"Nonostante i quasi 50 anni di ricerca sugli oranghi a Sumatra, la popolazione di Batang Toru è stata scoperta scientificamente solo nel 1997, durante una serie di indagini sul campo", afferma il prof. Erik Meijaard, che ha effettuato la prima ricerca sulle popolazioni di orango a sud del lago Toba.

FAO e partner lanciano la campagna contro un nuovo ceppo del Fusarium Wilt che mette in pericolo i mezzi di sostentamento basati sui frutti più venduti al mondo

 

Un mercato locale di banane a Tulema, Tanzania.
 
Un fungo rischia di decimare la produzione di banane a livello mondiale, causando perdite commerciali e danni ancora maggiori ai mezzi di sussistenza dei 400 milioni di persone che dipendono dal frutto più scambiato al mondo come fonte di cibo o di reddito. FAO e i suoi partner - Bioversity International, l'Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale (IITA) e il Forum Mondiale sulle Banana - venerdì hanno lanciato un programma globale di 98 milioni di dollari per contenere e gestire un nuovo ceppo di Fusarium wilt - il Tropical Race 4 (TR4) - una malattia insidiosa che può rimanere vitale nel terreno per anni e può spostarsi verso altre destinazioni attraverso una serie di mezzi come utensili agricoli, sementi, acqua, scarpe e veicoli infetti.

 

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