Le parti del corpo più colpite dal dolore cronico sono il rachide (nel 42% dei casi), gli arti superiori (braccio, mano, spalla, con una percentuale del 39%), l’anca ed il ginocchio (33%).
Per le caratteristiche che possiede, il dolore cronico dovrebbe essere riconosciuto come una malattia sociale, ma purtroppo il servizio sanitario nazionale non la pensa allo stesso modo, così che i rimedi possibili (e non risolutivi) sono rimasti gli stessi per molti anni (in genere farmaci) fino a che l’ultima frontiera della medicina alternativa non se ne è occupata utilizzando qualcosa che, pur se non in grado di guarire, senz’altro sa portare sollievo a tanta sofferenza.
Si tratta della musica, ossia di alcune tecniche musicoterapiche con delle metodiche ben mirate che possono alleviare i dolori legati soprattutto alle patologie dell’osteoartrite e dell’artrite reumatoide.
Come funziona tale singolare (ed efficace) terapia? Il punto di partenza sta nel benessere che il paziente riferisce nell’ascolto della musica, che è stato ciò su cui si sono basati alcuni ricercatori della Cleveland Clinic Foundation negli USA per tentare un esperimento: un gruppo di 30 pazienti malati di artrosi e reumatismi sono stati sottoposti ad un’ora di musica al giorno per sei mesi consecutivi, in contrapposizione ad un altro gruppo di altrettanti pazienti che non riceveva alcuna terapia alternativa ma solo la tradizionale.
La musica “somministrata” è stata scelta dal paziente stesso in base ai propri gusti, ed il risultato è stato stupefacente: il gruppo sottoposto all’ascolto riferiva una diminuzione del dolore fino al 21% d’intensità, ed il loro stato di depressione era ridotto di circa il 25%. Un risultato doppiamente positivo, quindi, con uno stato di miglioramento non del solo dolore ma anche dell’umore e dello stato generale fisico e psicologico dei pazienti, una risposta che certo può aprire nuove strade alla musicoterapia nel trattamento del dolore cronico.
Com’è potuto accadere un simile evento? Ce lo illustra uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Advanced Nursing condotto dalla dottoressa Sandra Siedlecki, che afferma che attraverso l’ascolto della musica, la percezione del dolore risulta minore nella misura in cui la stessa musica riesca a produrre piacere, così che, come in una proporzione inversa, il paziente riesce pian piano a porre sempre più attenzione verso ciò che ascolta distraendo il pensiero dal dolore, e, indirizzando le proprie energie verso l’ascolto, si procura da sé una buona dose di piacere e relax.
La musica fa la terapia: un buon ascolto prolungato nel tempo diventa la vera medicina del malato, fino a che il suo dolore non sarà diminuito in maniera sensibile tanto da permettergli di riprendere le forze.
Quindi la musica riesce laddove la medicina non arriva, ed un tale favorevole risultato è stato ulteriormente verificato anche nei casi di dolore post-chirurgico, permettendo una riduzione della somministrazione di antidolorifici ed una conseguente diminuzione degli effetti collaterali, come fiacchezza, nausea e vomito.
Un esperimento mirato a siffatta risposta è stato effettuato dalla dottoressa Soledad Cepeda della Javeriana University School of Medicine in Bogota, in Colombia, e dal dipartimento di anestesia del Tuft-New England Medical Center, pubblicato sulla rivista The Cochrane Library.
Allo stesso modo del dolore cronico, la musica è stata in grado di lenire le sofferenze post-operatorie in una percentuale altissima, permettendo addirittura una sua comparazione con la somministrazione dei tradizionali farmaci: la dottoressa Cepeda ha dichiarato infatti che una “dose” di musica equivarrebbe a 325 milligrammi di acetominofene, un farmaco antidolorifico la cui dose quotidiana sarebbe di due pasticche al giorno.
La musica è dunque la prima alleata della medicina, e il bello è che non importa quale musica sia. È stato infatti dimostrato che nessuna differenza intercorre nell’efficacia della terapia musicale a seconda che la scelta dei brani sia del medico o del paziente, segno che il beneficio è proprio nella musica in sé, e non nelle preferenze individuali, anche se musiche di tipo classico o New Age sembrano essere le più valide specie nei trattamenti post-operatori dei reparti di chirurgia e nei sevizi di endoscopia ed odontoiatria.
Come facciano le sette note ad avere un tale effetto rimane un mistero, anche se una risposta la si è cercata: è possibile infatti che lo stato di rilassamento mentale e fisico inducente alla diminuzione del dolore sia dovuto alla modulazione dei sistemi neurali centrali e dei neuromediatori chimici del dolore presenti nel cervello, così che gli effetti sono immediati e del tutto naturali.
Quindi, anche se non possiamo parlare di una guarigione completa, gli effetti della terapia musicale possono dirsi grandiosi, quasi miracolosi.
Marina Pinto