L’accurato restauro digitale, avviato per salvaguardare l’integrità del reperto, è stato eseguito dal gruppo di ricerca in condizione di totale sicurezza per i resti originali. Si è fatto ricorso alla micro-tomografia computerizzata ad altissima risoluzione, effettuata presso il Centro internazionale di fisica teorica “Abdus Salam” di Trieste. Ciò ha permesso la “pulizia digitale” dalle inserzioni di gesso (impossibili da rimuovere tramite azioni meccaniche o chimiche) e la separazione virtuale dei frammenti che compongono il reperto fossile. Questi sono stati poi riposizionati con precisione, correggendo così anche i difetti riscontrati nelle precedenti ricostruzioni. Una volta indagati i processi che avevano portato a deformare plasticamente il cranio, alla nuova ricostruzione è stato applicato un algoritmo studiato appositamente per operare il procedimento inverso (retrodeformazione), recuperandone così la probabile morfologia originaria. Il risultato di queste articolate e sofisticate operazioni, è un’immagine del cranio di Ceprano molto più affine alla specie Homo heidelbergensis, che i dati paleoantropologici e paleogeografici indicano come l’ultimo antenato comune tra l’uomo di Neanderthal e la nostra specie, rappresentandone il morfotipo ancestrale. Fabio Di Vincenzo – primo autore della ricerca – ha dichiarato che “lavorare su un reperto di tale importanza scientifica è stato come cogliere una sfida impossibile lanciata direttamente dal più profondo passato della nostra storia evolutiva”. Antonio Profico, anche lui autore della ricerca, aggiunge: “l’importanza del presente studio sta anche nell’aver sviluppato metodologie innovative di restauro digitale, utilizzabili in questo e altri casi controversi dell’evoluzione umana per via dei danneggiamenti che i resti scheletrici possono aver subito dopo la deposizione”.