Saremmo disposti a ferire qualcuno pur di salvarci? O a sacrificare la vita di una persona persalvarne cinque? Sembra che la risposta non dipenda dalla nostra capacità di comprendere lo
stato d’animo altrui, nota come empatia, né da un’eventuale incapacità di rendere esplicite le nostre emozioni, nota come alessitimia. Siano gli individui più emotivi o più distaccati, la
decisione finale, sorprendentemente, è per tutti la stessa. Non lo è invece il coinvolgimento emotivo nel processo decisionale.
«Questo è il primo studio ad analizzare allo stesso tempo il ruolo dell’empatia e dell’alessitimia nelle scelte morali studiando proprio i processi di decisione e non di giudizio, per vedere cosa accade quando si agisce in prima persona» spiegano Marilena Aiello e Cinzia Cecchetto, prima autrice della ricerca. «Inoltre per la prima volta abbiamo studiato la risposta emotiva sia in
maniera diretta, attraverso l’autovalutazione dei partecipanti, che indiretta, attraverso la misurazione di due indicatori fisiologici: la conduttanza cutanea e il battito cardiaco». Lo studio ha coinvolto 41 volontari, il cui livello di empatia e alessitimia è stato valutato attraverso questionari standard usati in ambito clinico. I partecipanti sono stati sottoposti a 46 dilemmi morali con soluzioni di tipo “deontologico”, fondate sul principio di non nuocere agli altri, o “utilitaristico”, finalizzate al benessere del maggior numero di persone. Durante il processo decisionale i ricercatori hanno monitorato la conduttanza cutanea e il battito cardiaco dei volontari e al termine di ogni dilemma hanno chiesto loro di esplicitare il loro stato emotivo. Per capire meglio proviamo a immaginare una locomotiva fuori controllo che si sta dirigendo verso cinque persone ferme sui binari. L’unico modo per salvarle è azionare una leva che farà deviare la locomotiva su un binario secondario dove però si trova un’altra persona. Sareste disposti ad azionare lo scambio in modo da deviare la locomotiva sul binario secondario e salvarecosì cinque persone? La risposta utilitaristica sarebbe “si”, quella deontologica “no”.
«Ci aspettavamo che le persone più empatiche facessero più scelte deontologiche e che le persone alessitimiche facessero più scelte utilitaristiche. È risultato invece che il tipo di decisione
è indipendente dal livello di empatia e di alessitimia» commenta Cinzia Cecchetto. «La valutazione della risposta emotiva, sia diretta che indiretta, ha confermato invece quanto
immaginavamo: le persone più empatiche vivono le decisione utilitaristiche in modo più emozionale e impegnativo. Questa difficoltà si è riscontrata solo indirettamente negli
alessitemici, che, in linea con la tipologia di disturbo, hanno mostrato una ridotta attivazione fisiologica ma un’autovalutazione della risposta emotiva normale »
«Si tratta di risultati importanti, non solo perché suggeriscono che le decisioni morali siano più razionali di quanto era stato in precedenza suggerito, ma anche per l’approccio metodologico»
conclude Marilena Aiello.
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Articolo originale: http://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/17470919.2017.1288656
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