Adriatico, scoperto come variano le ‘cascate’ sottomarine

Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) 23 Feb 2018

 

Ricostruzioni 3D che mostrano la discesa della vena di acqua densa lungo il margine continentale (la misura dinamica della densità della vena è descritta dal colore). I meandri che si vedono, e dalle cui estremità partono le cascate di acqua densa, sono la manifestazione delle Continental Shelf Waves descritto nel lavoro.

 

 

Uno studio dell’Istituto di scienze marine del Cnr, pubblicato su Scientific Reports, ha spiegato i meccanismi che modulano le forti correnti che nutrono e rinnovano l’intero fondale. La ricerca rivaluta il ruolo del bacino adriatico all’interno del Mediterraneo e in tempi brevi si potrà avere una miglior identificazione delle aree di ripopolamento di crostacei e di pesci

 

Nel Mare Adriatico è stata dimostrata la presenza delle continental shelf waves, i moti ondosi oceanici che contribuiscono al rinnovo delle acque ‘profonde attraverso correnti particolarmente energetiche tra la costa e il largo. Fin dagli anni ’80 si ipotizzava l’esistenza di tale fenomeno all’interno del bacino adriatico, ma solo uno studio dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Venezia ha permesso di registrarlo al largo delle coste della Puglia. Il frutto di questo lavoro, durato due anni, è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports ed è stato realizzato grazie al progetto H2020 Ceaseless finanziato dall’Unione Europea e al Progetto Bandiera Ritmare del Cnr finanziato dal Ministero dell’istruzione, università e ricerca.

“In via del tutto generale, una continental shelf wave può essere vista come una modulazione di una corrente marina, caratterizzata da una natura oscillatoria rispetto al suo moto ‘medio’: in pratica, a causa della presenza di dislivelli nei fondali marittimi, le correnti profonde assumono periodicamente una velocità superiore alla media innescando dei veri e propri meandri sottomarini. Questo avviene in conseguenza della combinazione della rotazione terrestre e della particolare geometria del fondale”, spiega Davide Bonaldo, ricercatore Ismar-Cnr e primo autore della pubblicazione. “Nel caso esaminato queste onde interessano una porzione di margine continentale compresa tra i 200 e 1000 metri di profondità, coprendo una distanza di circa 50 km dalla piattaforma continentale verso il largo e viceversa. Le velocità associate a queste pulsazioni variano in base alla profondità: generalmente diminuiscono a maggior profondità con l’aumentare dello spessore della colonna d’acqua trasportata; in alcuni siti, comunque, le correnti di fondo sono arrivate a velocità prossime a 1 m/s, valore molto alto per ambienti così profondi”.

I ricercatori sono arrivati a queste conclusioni grazie all’analisi congiunta dei dati registrati al largo della Puglia e dei risultati prodotti da nuovi modelli matematici che elaborano simultaneamente la situazione idrodinamica, atmosferica e delle onde. “Finora i dati acquisiti dagli strumenti non erano stati inquadrati in una spiegazione d’insieme che descrivesse il fenomeno nella sua complessità”, aggiunge Sandro Carniel, oceanografo dell’Ismar-Cnr. “Lavorando con un approccio multidisciplinare, abbiamo dimostrato come le quantità di calore, carbonio, ossigeno e sedimenti che vanno ad approvvigionare il fondo del bacino adriatico siano fortemente influenzate dai moti marini pulsanti, e come a sua volta l’Adriatico ricopra un ruolo fondamentale nella stabilità climatica dell’intera regione mediterranea”.

La scoperta apre la strada a diverse applicazioni pratiche nel campo scientifico e persino in ambito economico. “Avendo consapevolezza di come si muovano le correnti marine dell’Adriatico, sarà possibile posizionare, con totale precisione e in aree chiave, delicati e costosi strumenti sottomarini di misura per future ricerche, permettendo di avere dati più accurati e circoscritti”, conclude Bonaldo. “Inoltre, grazie alla disponibilità di complessi modelli numerici e di dati satellitari di ultima generazione, in tempi brevi si potrà giungere ad una migliore identificazione delle aree potenziali di ripopolamento di crostacei e di pesci”.

 

Roma, 23 febbraio 2018

 

Immagini: https://filesender.garr.it/filesender/?vid=3a6e1af4-c812-4bc8-e34e-00006b3e678c

 

 

 

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