I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Plants in un articolo dal titolo Seventeen “extinct” plant species back to conservation attention in Europe – URL: https://dx.doi.org/10.1038/s41477-021-00878-1
La ricerca internazionale è stata coordinata dal prof. Thomas Abeli e dalla dr.ssa Giulia Albani Rocchetti del Dipartimento di Scienze dell'Università degli Studi Roma Tre (Italia) ed ha visto il coinvolgimento di ricercatori di un ampio network, tra istituzioni di ricerca, università, musei e orti botanici: il prof. Zoltán Barina del WWF Ungheria, il dr. Ioannis Bazos della National and Kapodistrian University of Athens, del dr. David Draper del Museo Nacional de Història Natural e da Ciência (Lisboa, Portugal) e della University of British Columbia (Vancouver, Canada), il dr. Patrick Grillas del Tour du Valat (Arles, France), il prof. José Maria Iriondo di Rey Juan Carlos University (Madrid, Spain), il dr. Emilio Laguna del Wildlife Service – CIEF (Valencia, Spain), il prof. Juan Carlos Moreno-Saiz dell’Autonomous University of Madrid e del Centre for Research on Biodiversity and Global Change (Madrid, Spain), il dr. Fabrizio Bartolucci dell’Università di Camerino (Italia). I partner hanno ulteriormente ottenuto l’importante contributo del network mondiale degli orti botanici Botanic Garden Conservation International.
“La ricerca ha richiesto un minuzioso lavoro da detective – spiega il prof. Thomas Abeli – soprattutto per verificare informazioni, spesso inesatte, riportate tali e quali da una fonte all’altra, senza le opportune verifiche. Tra le 17 specie potremmo avere un caso clamoroso: il ritrovamento di una specie endemica portoghese, Armeria arcuata, ritenuta estinta da decenni e forse conservata inconsapevolmente presso l’Utrecht University Botanic Gardens, su cui si stanno facendo indagini genetiche per confermarne la riscoperta. Sebbene la riabilitazione di queste specie sia senz’altro una buona notizia, non dobbiamo dimenticare che altre 19 specie sono invece perse per sempre, tra cui nove specie italiane. Importante è dunque prevenire le estinzioni; la prevenzione è certamente più fattibile delle cosiddette de-estinzioni, azioni su cui lavoro con il mio team di ricerca, ma che ad oggi rimangono puramente teoriche e con forti limiti etici e tecnologici”.
La ricerca evidenzia che entità ritenute estinte da molti decenni possono essere riscoperte grazie ad un continuo monitoraggio e impegno nella ricerca floristica, sostenuto da università, musei, orti botanici e banche del germoplasma: queste ultime due infrastrutture, su cui sono stati fatti ingenti investimenti negli ultimi decenni in Europa, permettono di evitare perdita definitiva di biodiversità, anche quando non ci sono più le condizioni ambientali favorevoli al mantenimento di popolazioni naturali. Il maggiore contributo alla riabilitazione delle specie è però derivato dal miglioramento delle conoscenze tassonomiche, dimostrando, come mai prima, un enorme potenziale della tassonomia nella conservazione della natura, grazie anche a tecniche sempre più avanzate (analisi morfometriche e molecolari, microscopia ed elaborazione dei dati) per indagare la variabilità delle specie. La ricerca floristica, che prevede lo studio del materiale conservato negli erbari, lo studio critico della bibliografia botanica e soprattutto le ricerche in campo, permette l’elaborazione di “inventari floristici” (checklists o flore) che si configurano come strumento imprescindibile per la conoscenza della distribuzione delle piante e la tutela della biodiversità vegetale.
Lo studio è altamente promettente in termini di impatto sulla conservazione delle specie riabilitate. Se nulla si può fare in termini di conservazione quando una specie si estingue, aver riabilitato 17 entità della flora europea permetterà di sviluppare dei programmi di conservazione ad hoc. Inoltre, grazie a questo studio, l’Europa “recupera” biodiversità facendo un passo importante verso il raggiungimento dei target internazionali dettati dalla Convenzione per la Diversità Biologica (CBD) e dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.