I danni a lungo termine delle radiazioni mediche: Dall'epidemiologia al rischio biologico

L’uso di radiazioni in esami medici è la maggior fonte artificiale di esposizione a radiazioni e superiore a quella dovuta alle sorgenti di radioattività naturale. Le fonti mediche di radiazione erano circa un quinto della radiazione naturale nel 1987, si avvicinavano al 50% nel 1993 e sono arrivate oggi a oltre il 100% della radiazione naturale nei paesi industrializzati.
Uno studio recente, finanziato dal governo federale statunitense e realizzato dal National Council on Radiation Protection,  ha riportato che negli Stati Uniti il numero di tomografie computerizzate (TAC) effettuate nel 2006 ha raggiunto i 62 milioni, un dato venti volte superiore a quello del 1980. Nello stesso periodo di tempo gli esami di medicina nucleare con l’impiego di traccianti radioattivi sono triplicati (Mettler FA et al. Health Phys. 2008).
Gli attuali standard radioprotezionistici e le conseguenti pratiche radiologiche sono basati sulla premessa che qualunque dose di radiazione- non importa quanto piccola- può risultare in effetti clinici a lungo termine, quali  cancro, leucemia ed  effetti ereditari.
In accordo alle ultime aggiornate e autorevolissime stime del Comitato per lo Studio degli Effetti Biologici delle radiazioni ionizzanti BEIR VII  (Biological Effects of Ionizing Radiation, BEIR VII 2006), per una singola esposizione a 15 mSv -corrispondente a 750 radiografie al torace (Picano BMJ 2004)- di un’angio-TAC coronarica la stima di rischio di cancro è pari a 1 su 750 pazienti esposti.
E’ importante sottolineare che il rischio di cancro varia molto in funzione dell’età (minore nell’anziano rispetto all’adulto) e del sesso (maggiore nella donna rispetto all’uomo, a tutte le età della vita). I bambini sono a rischio molto più alto rispetto agli adulti perché hanno cellule in divisione rapida e hanno una maggiore aspettativa di vita al momento dell’esposizione. Per una stessa esposizione radiologica, il bambino di 1 anno ha una probabilità 10-15 volte maggiore rispetto all’adulto di 50 anni di sviluppare un cancro.

L’esatta valutazione del rischio di cancro da esposizioni a basse dosi di radiazioni resta comunque difficile. Le stime di rischio finora disponibili sono derivate prevalentemente da studi epidemiologici e sono inevitabilmente basate su interpolazioni, approssimazioni ed assunzioni teoriche. L’approccio epidemiologico richiede, infatti, grandi numeri di decine di migliaia di pazienti per documentare un rischio clinicamente significativo connesso a dosi di esposizione relativamente basse. Sussiste, pertanto, la necessità di una stima diretta del reale danno al DNA (il principale bersaglio delle radiaioni ionizzanti) attraverso l’impiego di biomarcatori che possono agire come dosimetri biologici individuali del danno indotto da radiazioni ionizzanti. Di recente, quest’attività di ricerca è stata indicata come tra le priorità della ricerca (“Research Need n.1”)  nel  rapporto BEIR VII: “Determination of the level of various molecular markers of DNA damage  and other biomarkers  as a function of low dose ionizing radiation” In particolare, la valutazione degli effetti biologici e clinici a lungo termine dell’esposizione radiologica medica in pazienti cardiopatici congeniti è stata riconosciuta come altra priorità di ricerca importante dal rapporto BEIR VII: “the need of studies of infants who are exposed to diagnostic radiation because catheters have been placed in their hearts, as well as infants who receive multiple X-rays and CT scans”:
Gli studi recenti condotti dal nostro gruppo CNR sono risultati  anticipatori di queste priorità di ricerca  individuate dalla Comunità Scientifiche e Regolatorie, dimostrando l’utilità dell’impiego di biomarcatori cromosomici - convalidati predittori a lungo termine di cancro- per la valutazione del rischio di esposiazione a basse dosi di radiazioni ionizzanti.
I nostri risultati hanno confermato le stime epidemiologiche e la corrente assunzione utilizzata dagli Organismi di Radioprotezione che anche modeste dosi di esposizione a radiazioni ionizzanti possono indurre danno al DNA delle cellule. In particolare, è stato osservato un aumento di danno pro-oncogeno in medici cardiologi interventisti professionalmente esposti (Andreassi et. al Faseb J 2005), in pazienti adulti sottoposti a procedure interventistiche (Andreassi et al. Eur Heart J 2007) e – in misura più marcata – in giovani adolescenti con cardiopatie congenite sottoposti a cateterismo cardiaco in età pediatrica (Andreassi et al. Eur Heart J 2006;  Circualtion Andreassi 2009).

 

Maria Grazia  Andreassi

Ultima modifica il Martedì, 20 Novembre 2012 15:55
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