La catena incrociata di donazione e trapianto è stata realizzata nell’ambito della South Alliance for Transplant (SAT), un accordo internazionale che vede coinvolti Italia, Spagna, Francia e Portogallo per individuare programmi comuni di cooperazione con l’obiettivo di incrementare le risposte ai pazienti in attesa di ricevere un trapianto.
“Per il paziente italiano si è trattato quasi di un trapianto salvavita”, spiega il professor Franco Citterio, direttore dell’UOC Trapianti di Rene del Policlinico Gemelli e docente di Chirurgia generale all’Università Cattolica. “Le sue condizioni erano piuttosto serie a causa della lunga attesa del trapianto, e questo ha reso il decorso post-operatorio particolarmente complesso. Questo successo dimostra come il trapianto da donatore vivente sia fondamentale per la cura dell’insufficienza renale, e prima si fa, meglio è”.
“Questo genere di trapianti crossover internazionali sono una rarità, ma abbiamo bisogno che l’attività di donazione di rene da vivente cresca sempre di più”, commenta il dottor Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti. “In Italia l’anno scorso abbiamo avuto 276 donazioni di questo tipo, meno del 15% dei 1.907 trapianti di rene eseguiti nel 2020, mentre restano ancora in lista circa 6.500 pazienti con insufficienza renale, con tempi di attesa medi superiori ai 2 anni. La donazione da vivente è una procedura sicura, comporta rischi bassissimi per il donatore, e incentivarla è una strategia fondamentale per poter offrire una speranza di guarigione a migliaia di persone condannate alla dialisi”.