NUOVO PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER CAPIRE I MECCANISMI DELLE TROMBOSI

Università di Padova 07 Apr 2021

 


È il primo passo per creare nuovi inibitori di proteasi con applicazioni farmacologiche.

Pubblicato sulla rivista «Nature Communication» con il titolo “Mapping specificity, cleavage entropy, allosteric changes and substrates of blood proteases in a high-throughput screen” lo studio per l’identificazione veloce di proteine ed enzimi coinvolti nel processo di coagulazione ematica. La ricerca ha tra gli autori il Prof. Vincenzo De Filippis e la Dott.ssa Laura Acquasaliente del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova e il Dott. Federico Uliana, già laureando in Scienze Chimiche nel laboratorio del Prof. De Filippis ed ora ricercatore all’ETH di Zurigo.

Lo studio è il primo passo per la progettazione e sintesi di nuovi inibitori di proteasi con potenziali applicazioni farmacologiche in numerose delle patologie, tra le quali la trombosi. In un futuro prossimo basterà un’analisi del sangue o un prelievo di saliva per avere, attraverso un unico test, il profilo delle proteasi e sapere se tutte lavorano correttamente o se una o più hanno un’attività anomala che può causare la malattia. Lo studio è frutto della collaborazione tra il laboratorio di Quantitative Proteomics del Prof. Ruedi Aebersold (ETH, Zurigo, Svizzera) e il laboratorio di Chimica delle Proteine e di Ematologia Molecolare del Prof. Vincenzo De Filippis (Università di Padova).

I meccanismi biochimici che determinano la coagulazione fisiologica del sangue hanno lo scopo di impedire la perdita di sangue dal torrente circolatorio che può avvenire in seguito al danneggiamento di un vaso (arteria o vena) causato, ad esempio, da un trauma. Si forma quindi un coagulo costituito principalmente da fibrina e piastrine che va a “tappare” momentaneamente il vaso danneggiato. Successivamente si innescano altri processi che determinano la riparazione finale del danno vascolare. Per motivi ancora non ben conosciuti, è possibile che si generi un coagulo anche quando non c’è stata una lesione del vaso tale da determinare la perdita di sangue. In queste condizioni, la formazione di un coagulo patologico (trombosi) può ostruire il vaso ed impedire che il tessuto “a valle” del coagulo venga adeguatamente nutrito, determinando così l’insorgenza di malattie trombotiche come l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale. Sia in condizioni fisiologiche che patologiche, la formazione del coagulo non è di così facile generazione: prevede infatti il coinvolgimento sequenziale (come una cascata di eventi) di circa venti proteine e proteasi, cioè di enzimi capaci di “tagliare” altre proteine che sono dette substrati. Dopo essere state tagliate, queste proteine, a loro volta, diventano attive come proteasi e vanno a tagliare, attivandole, altre proteine, fino a generare il coagulo. Si ha quindi una sequenza di eventi, che prende il nome di “cascata coagulativa”.

In questo lavoro è stato sviluppato un nuovo protocollo sperimentale per la caratterizzazione della specificità di substrato delle proteasi della cascata coagulativa, cioè l’identificazione delle sequenze specifiche di amminoacidi che vengono “tagliate” dalle varie proteasi coinvolte nel processo della coagulazione ematica. Nello specifico, lo studio si è focalizzato sulla caratterizzazione di una decina di proteasi della cascata della coagulazione che in condizioni diverse hanno generato più di 100.000 frammenti unici. Lo sviluppo di tale approccio è essenziale per meglio comprendere i meccanismi delle malattie trombotiche, nell’ottica dello sviluppo di nuovi trattamenti farmacologici, dove tali patologie ad oggi rappresentano la maggiore causa di morte e di ricovero ospedaliero nel mondo industrializzato. In termini più generali, al di là della cascata coagulativa, capire “dove tagliano” e “quanto tagliano” le proteasi è di importanza fondamentale per spiegare i meccanismi di regolazione che determinano il passaggio da una condizione fisiologica ad una patologica. Le proteasi, infatti, hanno un ruolo straordinariamente importante nella fisiologia e patologia umane e sono coinvolte in processi fondamentali come ad esempio la digestione, il differenziamento cellulare, l’immunità innata, la regolazione della pressione sanguigna, l’insorgenza del morbo di Alzheimer, la diffusone metastatica di cellule tumorali, le infezioni batteriche e virali, o la morte cellulare programmata.

Inoltre, ml’identificazione di substrati può rappresentare il primo passo per la progettazione e sintesi di nuovi inibitori di proteasi, con potenziali applicazioni farmacologiche in numerose delle patologie sopra riportate. «La caratterizzazione delle proteasi, ovvero l’identificazione dei siti di taglio e delle loro specificità, è un’operazione complicata e laboriosa, nella quale l’isolamento di un unico substrato richiede numerosi esperimenti biochimici e notevoli risorse in termini umani e finanziari - dice il Professor Vincenzo De Filippis del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell'Università di Padova e co-autore dello studio -. A tal proposito, basti pensare che ad oggi delle più di 4000 proteasi identificate solo qualche centinaio è stata caratterizzata. Il protocollo appena pubblicato darà sicuramente notevole impulso allo studio delle proteasi “orfane”, ovvero quelle per cui sono ancora sconosciuti i siti di taglio».


La novità dell’approccio consiste nella possibilità di utilizzare tecniche avanzate di spettrometria di massa per identificare in poche ore, non uno ma migliaia di substrati per ogni proteasi in studio. Successivamente, l’analisi statistica dei numerosi frammenti generati, permette di estrarre informazioni riguardo la specificità di substrato delle proteasi, ovvero la preferenza per i vari siti di taglio. Ciò è particolarmente rilevante anche per lo sviluppo di metodi, basati sull’intelligenza artificiale, in grado di rilevare un’anomala funzionalità delle proteasi stesse all’interno di campioni biologici facilmente reperibili (es: plasma, saliva). «In quest’ottica - continua Vincenzo De Filippis - un giorno potremo sottoporci ad un’analisi del sangue o ad un prelievo di saliva per avere, attraverso un unico test, il profilo delle proteasi e sapere se tutte lavorano correttamente o se una o più hanno un’attività anomala, che può causare la malattia. Questo profilo sarà fondamentale per identificare in anticipo dei fattori di rischio per patologie gravi (es: malattie trombotiche) e offrire la migliore cura disponibile per ciascun paziente, con un approccio di terapia personalizzata.


La recente pubblicazione è il frutto di un lavoro di costruttiva sinergia tra due gruppi multidisciplinari: da un lato quello del Prof. Vincenzo De Filippis, impegnato da anni nello studio dei meccanismi molecolari delle alterazioni della coagulazione, dall’altro quello del Prof. Ruedi Aebersold, leader mondiale nel settore della spettrometria di massa applicata allo studio della biologia dei sistemi (systems biology). In un prossimo futuro, la stessa piattaforma tecnologica verrà applicata per studiare la specificità di substrato delle proteasi “orfane”, derivanti da agenti patogeni di rilevante
 interesse clinico, come lo Staphylococcus aureus, un batterio che causa infezioni gravi come polmoniti, endocarditi, sepsi e il SARS-Cov-2, il virus che causa la COVID-19.


Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41467-021-21754-8

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