Inglesi e francesi uniti nella lotta all’Alzheimer

Un gruppo di ricerca diretto da Julie Williams, professore di Genetica neuropsicologica dell’università’ di Cardiff in Gran Bretagna e da Philippe Amouyel dell’Istituto Pasteur di Lille in Francia, ha aggiunto un importante contributo al fine di trovare una cura per l’Alzheimer.
I risultati di questo studio, presentato sull'ultimo numero della autorevole rivista Nature Genetics,
sono dei primi di settembre e riguardano tre geni chiamati: ‘Clu’, ‘Picalm‘ e ‘Cr1‘ le cui variazioni potrebbero, insieme ad un altro gene, già conosciuto da qualche tempo, che controlla l’ APOE4, mostrare i meccanismi che conducono alla malattia.
Al gene ‘Clu’ si ricondurrebbero il 10% dei casi di Alzheimer, poiché la clusterina che è la sostanza prodotta grazie a questo gene, svolgerebbe un’azione protettiva che invece risulta essere compromessa dalla mutazione del ‘Clu’ con il conseguente malfunzionamento cerebrale .
L’azione del gene ‘Picalm’, responsabile del 9% dei casi, si estrinseca nei collegamenti sinaptici cerebrali, quindi nelle connessioni delle cellule nervose ed è coinvolto nel trasporto delle molecole che sono associate alla memoria, anch’esso perciò comporta una disfunzione quando è soggetto a mutazione.   L’ultimo gene coinvolto è il Cr1 che interverrebbe nel 4% degli episodi patologici.
L’APOE4 sarebbe responsabile di un altro 20- 25% dei casi .In generale l’ ApoE aumenta notevolmente la degradazione della proteina beta amiloide che è la responsabile biochimica della malattia , ma la capacità di svolgere questa degradazione muta consistentemente fra le diverse isoforme della ApoE, e l’isoforma APOE4 mostra un deficit nella capacità di sostenere tale processo pertanto sembrerebbe essere inefficiente .
La comprensione dei meccanismi genetici alla base dei quali si generano le disfunzioni e quindi le patologie connesse, permetterà agli studiosi di cercare una strategia più mirata a limitare i danni o ad evitare che certe mutazioni possano estrinsecarsi in modo così lesivo. Pertanto, poiché, alla base di ogni cura c’è la cognizione del fenomeno, in questo senso la notizia è veramente significativa.
Il morbo di Alzheimer prende il nome appunto da Aloysius "Alois" Alzheimer, psichiatra e neuropatologo tedesco vissuto nella seconda metà dell’ottocento e morto nel 1915 a soli cinquantuno anni. L’ Alzheimer è una demenza degenerativa invalidante, che si manifesta in età senile ed è causata da fattori genetici e ambientali i quali portano all’accumulo di una proteina nociva per il cervello, la già citata, beta amiloide.
L’aumento di questa proteina che in qualche modo compatta le cellule, comporta una degenerazione delle cellule nervose, che da luogo ad una perdita progressiva della memoria. Questa condizione che si aggrava via via che il paziente avanza negli anni, lo conduce a non ricordare praticamente più nulla.
Non riesce a scrivere né a parlare, quindi la sua vita di relazione è gravemente compromessa, non riconosce le persone e non è in grado di svolgere da solo le abituali azioni quotidiane, di conseguenza è una persona fortemente invalidata.
I malati di Alzheimer nel mondo sono circa venticinque milioni,in Italia si parla di 5/600 mila casi. Da ciò è facile comprendere, come gli studi su questa malattia siano tanto importanti per tutti.
La ricerca inglese ha coinvolto 16000volontari distribuiti in otto paesi europei, i francesi hanno lavorato su circa 15000 casi suddivisi tra persone malate e sane .Nello studio  sono stati coinvolti anche scienziati italiani: quali Benedetta Nacmias, e Sandro Sorbi, ordinario di Neurologia alla facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università di Firenze.
Fabiana Dessì
Ultima modifica il Martedì, 20 Novembre 2012 15:57
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