Nuove frontiere nella terapia con insulina per i pazienti neurochirurgici

Abstract
La ricerca scientifica, da alcuni anni, si occupa della gestione della glicemia nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. L’obiettivo è quello di controllare al meglio le variazioni del metabolismo glucidico e prevenire, o quanto meno limitare, i danni causati dalla cattiva regolazione del controllo glicemico. In particolare, nei pazienti neurochirurgici, la gestione della glicemia richiede maggiore attenzione considerando  la grande suscettibilità del cervello ai cambiamenti dei livelli di glucosio plasmatico. La terapia con insulina risulta di fondamentale importanza nel controllo della glicemia. Recenti acquisizioni hanno suggerito nuove strategie da adottare nell’impiego della terapia insulinica, e sempre più centri, in ogni parte del mondo, utilizzano un’infusione endovenosa continua di insulina per controllare la glicemia nei pazienti critici. Nei pazienti neurochirurgici è raccomandato valutare i possibili rischi e benefici della terapia insulinica intensiva.

Introduzione
Il sistema nervoso centrale, nonostante rappresenti solo il 2.5-3% della massa corporea, consuma circa il 40% del glucosio utilizzato dall’intero organismo in condizioni di riposo. Il metabolismo cerebrale è strettamente legato al consumo di glucosio che, oltre ai corpi chetonici, è il solo substrato energetico in grado di utilizzare (1). Per un’ottimale attività cerebrale è necessario che sia costante l’equilibrio tra disponibilità di glucosio plasmatico e necessità metaboliche.
I limiti di normalità della glicemia sono stati convenzionalmente fissati a: <50 mg/dL la soglia di ipoglicemia grave e >220mg/dL la soglia di iperglicemia grave.
La difficoltà nello stabilire la soglia glicemica sotto la quale si attivano processi metabolici dannosi, dipende da molteplici variabili tra cui la pressione parziale di ossigeno, la pressione arteriosa media e la concentrazione di emoglobina (2). Nei pazienti diabetici con scarso controllo glicemico la soglia in cui l’ipoglicemia induce sintomi è più alta rispetto ai pazienti non diabetici (78 ±5 mg/dL vs. 53 ±2 mg/dL) (3). L’ipoglicemia grave è pericolosa perché può determinare l’estensione del danno neurologico acuto (4).
Anche per l’iperglicemia non esiste un valore soglia condiviso oltre il quale si innesca la cascata di effetti deleteri e il conseguente danno cellulare. In ambito sperimentale una concentrazione di glucosio plasmatico di 170 mg/dL è un valore correlato all’estensione del danno cellulare in corso di ipossia (5).
Nei pazienti critici valori di glicemia >155 mg/dL potrebbero avere effetti negativi clinicamente rilevanti (6). I pazienti critici vanno spesso incontro ad iperglicemia, anche se non precedentemente diabetici, a causa della risposta allo stress cui sono esposti (7).
Per i pazienti critici è stata proposta la terapia insulinica intensiva per il controllo della glicemia, questa però può determinare l’aumento della frazione di estrazione di ossigeno plasmatico e l’incremento della produzione di markers di stress cellulare (es. lattati) (8). Recenti evidenze hanno dimostrato che, in pazienti critici, il controllo dell’iperglicemia con infusione intensiva di insulina con l’obiettivo di mantenere i valori di glicemia tra 80 e 110 mg/dL è correlato ad una migliore prognosi in termini di morbilità e mortalità (9-12). Gli autori attribuiscono questi effetti alla possibile azione di protezione endoteliale e mitocondriale.
L’incidenza di iperglicemia è frequente in soggetti sottoposti a interventi neurochirurgici, in quanto spesso in terapia con corticosteroidi per contrastare l’edema cerebrale (13,14). L’iperglicemia in pazienti con ictus ischemico, emorragia cerebrale o trauma cranico grave è associata a un aumento di morbilità e mortalità (15-18). In particolare, in soggetti con trauma cranico grave è stato dimostrato che vi è una profonda alterazione del metabolismo glucidico (iperglicolisi) che può persistere per diversi giorni e un alterato impiego dei corpi chetonici come substrato energetico (1).
Si conosce poco del metabolismo glucidico e degli effetti della terapia intensiva insulinica in caso di danno cerebrale acuto (8,19). Risultati preliminari in un numero limitato di pazienti con danno cerebrale acuto suggeriscono che il mantenimento di questo ambito di valori glicemici possa avere conseguenze positive sulla morbilità (20-22).
Il controllo glicemico, più che gli effetti anabolici dell’insulina, sarebbe determinante nella riduzione della mortalità nei pazienti critici trattati con terapia insulinica intensiva (11).
A causa del rischio di indurre ipoglicemia è necessario definire la sicurezza di questo approccio nei pazienti con danno cerebrale acuto.


Evidenze scientifiche attuali
La terapia insulinica intensiva consiste nella somministrazione di insulina, in infusione continua, che punta ad ottenere una glicemia entro uno stretto range di normalità (in genere 80-110 mg/dL) e si  distingue dalla terapia insulinica convenzionale dove la somministrazione di insulina è meno restrittiva e si accettano valori di glicemia più ampi (80-220 mg/dL). Uno dei più importanti studi realizzati sulla gestione della terapia insulinica intensiva è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “The New England Journal of Medicine” nel 2001 dal gruppo guidato da Van den Berghe. Questo studio che ha aperto un intenso dibattito sulla gestione della glicemia in pazienti critici ha messo in rilievo come la terapia insulinica intensiva possa avere un effetto positivo sulla riduzione di infezioni e della mortalità in pazienti critici (soprattutto pazienti cardiochirurgici) (9). In un altro studio lo stesso gruppo di ricercatori ha preso in considerazione anche un piccolo gruppo di pazienti con trauma cranico, rilevando un migliore recupero delle condizioni cliniche se trattati con terapia insulinica intensiva (10).
Recentemente, però, sono emerse evidenze scientifiche che dimostrerebbero come la terapia insulinica intensiva possa esporre i pazienti ad elevato rischio di incorrere in episodi di ipoglicemia grave (11-15).
Nonostante non ci sia ancora accordo sulla definizione di un valore soglia certo di ipoglicemia grave (16-20), già una glicemia inferiore a 80 mg/dL può condurre a estensione di un pregresso danno neurologico, mentre una glicemia inferiore a 50 mg/dL può determinare gravi conseguenze in pazienti critici. Nei pazienti neurochirurgici e in particolare in quelli con trauma cranico grave vi è un alterato metabolismo del glucosio e quando la glicemia scende sotto il valore di  80 mg/dL vi è un aumento del glutammato e dell’indice lattato/piruvato cerebrale, segni di stress cellulare (8, 23).
Attuali studi scientifici hanno focalizzato l’attenzione sull’impiego della terapia insulinica intensiva nei pazienti neurochirurgici al fine di ottenere uno stringente controllo della glicemia (20-22, 24-26). I risultati di uno studio che ha arruolato pazienti ammessi in unità di terapia intensiva postoperatoria neurochirurgia dopo interventi in elezione o in urgenza, hanno dimostrato che il trattamento con terapia insulinica intensiva è correlato ad un maggior rischio di episodi di ipoglicemia rispetto ai pazienti trattati con terapia insulinica convenzionale. D’altra parte la terapia insulinica intensiva si è dimostrata efficace nel ridurre la durata della degenza e l’incidenza delle infezioni. L’outcome neurologico e la mortalità a 6 mesi sono risultati simili nei due gruppi di trattamento (24).
Allo stato attuale non c’è consenso sul target di glicemia da perseguire per evitare episodi di ipoglicemia nei pazienti ricoverati in terapia intensiva e sottoposti a stretto controllo glicemico, specialmente in coloro che hanno un danno cerebrale (8,19,27-30).
Lo studio GIST-UK in cui sono stati arruolati pazienti con ictus in fase acuta (entro 24 ore dall’evento) trattati con soluzione di glucosio-potassio-insulina o con fisiologica, ha mostrato che il trattamento con GKI riduceva significativamente la glicemia e la pressione arteriosa media ma non era associata a diminuzione della mortalità o severa disabilità a un follow-up 90 giorni (31).
Recentemente alcuni studi hanno messo in evidenza i possibili rischi correlati alla terapia insulinica intensiva.  Krinsley e Grover nel loro lavoro hanno rilevato che anche un solo episodio di ipoglicemia severa (<40 mg/dL), in pazienti critici trattati con terapia insulinica intensiva, è correlato  ad un incremento della mortalità (4). Gandhi e collaboratori hanno riportato che la terapia intensiva insulinica somministrata in pazienti sottoposti a interventi di cardiochirurgia non riduce la mortalità e la morbilità perioperatoria, ma è associata a incremento di ictus a 30 giorni dalla chirurgia (30).
Brunkhorst e collaboratori hanno dimostrato che la terapia insulinica adottata per mantenere i valori glicemici in un range stretto di normalità, in pazienti critici con sepsi, determina un alto rischio di incorrere in gravi effetti avversi dovuti all’ipoglicemia e che quest’ultima sia un fattore di rischio indipendente di morte e outcome sfavorevole (32).
Lo studio Glucontrol, multicentrico, prospettico, randomizzato, controllato, creato per valutare gli effetti del controllo della glicemia in pazienti ricoverati in terapia intensiva e destinato ad arruolare 3500 pazienti, è stato interrotto dopo l’arruolamento di 1101 pazienti perché, dalle analisi preliminari, è emerso che i pazienti randomizzati nel gruppo della terapia insulinica intensiva hanno presentato un’incidenza di ipoglicemia significativamente superiore al gruppo della terapia insulinica convenzionale senza avere benefici in termini di mortalità e morbilità (33). Recentemente una meta-analisi ha preso in considerazione 29 studi randomizzati e controllati per un totale di 8432 pazienti e ha valutato i rischi e i benefici del controllo glicemico intensivo, concludendo che i pazienti assegnati alla terapia insulinica intensiva non presentavano nessun beneficio rispetto ai pazienti trattati con protocollo convenzionale, ma erano esposti a un maggior rischio di ipoglicemia (34).
Attualmente è in corso uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato, che coinvolge numerose terapie intensive mediche e chirurgiche in Australia, Nuova Zelanda, Canada e USA per valutare gli effetti del controllo glicemico intensivo in pazienti critici (35).
Per minimizzare il rischio di ipoglicemia ed evitare potenziali eventi avversi dovuti all’iperglicemia, sarebbe preferibile accettare un range glicemico non eccessivamente ristretto adottando ad esempio un range di 80-140 mg/dL (6). Non è chiaro se questo target range possa effettivamente garantire un buon controllo glicemico minimizzando il rischio di ipoglicemia grave, è importante quindi che studi futuri facciano luce su questo tema.
E’ fondamentale, per i centri con scarsa esperienza nella gestione della terapia insulinica intensiva in pazienti critici, effettuare un periodo di addestramento; ad esempio è bene far eseguire un fase di training allo staff infermieristico. Nei pazienti ricoverati in terapia intensiva vari fattori, come la ventilazione meccanica e la sedazione, possono mascherare i segni e i sintomi di un episodio ipoglicemico, pertanto è importante garantire uno stretto monitoraggio della glicemia con controlli frequenti. Particolare attenzione occorre prestare ai pazienti neurochirurgici per la peculiarità che le alterazioni glicemiche possano determinare sul danno neurologico primario.

Conclusioni
L’iperglicemia e l’ipoglicemia possono determinare effetti negativi in pazienti con danno cerebrale acuto.
La terapia insulinica intensiva può avere effetti positivi in pazienti ammessi in terapia intensiva dopo interventi neurochirurgici in elezione o in urgenza, ma può anche determinare un’alta incidenza di episodi di ipoglicemia quando si utilizzi un intervallo glicemico stretto come 80-110 mg/dL (24). E’ bene raccomandare in questi pazienti la gestione della glicemia sotto stretto monitoraggio, utilizzando un intervallo glicemico più ampio (80-150 mg/dL) (6) e nei pazienti con diabete scarsamente controllato valori più permissivi (100-200 mg/dL) (6) che però devono essere testati in ampi studi multicentrici, utilizzando metodiche più raffinate di monitoraggio e di valutazione neurologica.
Infine, è importante sottolineare che l’infusione di soluzione glucosata in pazienti neurochirurgici deve essere evitata, in primo luogo perché, una volta metabolizzato il glucosio, si forma acqua libera, rendendo la soluzione iposmotica con peggioramento dell’edema cerebrale; in secondo luogo perché, si corre il rischio di provocare iperglicemie dannose per il sistema nervoso.

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Federico Bilotta1, Remo Caramia2, Giovanni Rosa1
1 Dipartimento di Scienze anestesiologiche, Medicina critica e Terapia del dolore, “Sapienza” Università di Roma
2 U.O.C. Anestesia e Rianimazione, Ospedale “Dario Camberlingo”, Francavilla Fontana

Ultima modifica il Martedì, 20 Novembre 2012 16:02
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