Il ruolo del clima nella Rivoluzione Neolitica della Mezzaluna Fertile

La piccola grotta nel Kurdistan iracheno dove è stata trovata la concrezione studiata



Uno studio condotto dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr e dall’Università Statale di Milano ha ricostruito il clima della Mesopotamia nei millenni passati, con l’obiettivo di comprendere quale ruolo abbia avuto nello sviluppo delle prime civiltà di agricoltori e allevatori del vicino Oriente, svelando che le variazioni climatiche hanno influito in modo limitato nelle dinamiche delle comunità. La ricerca è pubblicata su Scientific Reports.

 Uno studio sul campo condotto da ricercatori dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg) e dall’Università Statale di Milano ha ricostruito e analizzato il clima che ha caratterizzato nei millenni passati la Mesopotamia – cioè la regione compresa tra gli attuali Iraq, Iran, Turchia e Siria - con l’obiettivo di comprendere quale ruolo abbia avuto nello sviluppo delle prime civiltà di agricoltori e allevatori del vicino Oriente.

Nota anche come Mezzaluna Fertile, tale regione ha visto l’avvio della Rivoluzione Neolitica, cioè l’insieme di trasformazioni culturali, economiche e tecnologiche che hanno portato al progressivo addomesticamento di specie animali e vegetali, alla nascita dei primi insediamenti urbani e alla prima crescita della popolazione, portando infine allo sviluppo delle prime società complesse. Molti studiosi hanno ipotizzato che il clima abbia giocato un ruolo cruciale in questo processo: in particolare, una crisi climatica identificata a livello globale e datata attorno a 8.200 anni fa, avrebbe provocato proprio nella Mezzaluna Fertile un periodo arido della durata di pochi secoli, spingendo le popolazioni Neolitiche a mettere a punto nuove strategie per migliorare la resa dei campi coltivati e successivamente la creazione dei primi centri urbani.

Lo studio pubblicato su Scientific Reports, coordinato da Eleonora Regattieri del Cnr-Igg e da Andrea Zerboni dell’Università Statale di Milano, getta una nuova luce sul ruolo svolto dalla variazione di intensità delle piogge su questo processo.

Il gruppo di geoarcheologi e paleoclimatologi, operando nell’ambito di un progetto di ricerca archeologica nel Kurdistan iracheno coordinato dall’Università di Udine, ha prelevato uno speleotema (concrezione di grotta) formatosi a cavallo dell’evento climatico di 8.200 anni fa, le cui proprietà geochimiche permettono di “registrare” le variazioni di intensità delle piogge: tali variazioni sono state analizzate con una risoluzione decennale. “Le analisi hanno dimostrato, per la prima volta la scarsa rilevanza di questo evento nella regione, dove non si assiste a una forte aridifcazione come precedente ipotizzato”, spiega Regattieri. “Il confronto con i dati archeologici ha invece mostrato una corrispondenza tra le variazioni delle precipitazioni evidenziate dallo speleotema e il modo in cui la popolazione del Neolitico ha sfruttato l'ambiente circostante, soprattutto in termini di distribuzione degli insediamenti e gestione delle risorse idriche. Questi risultati portano a confutare l'ipotesi deterministica secondo la quale il clima abbia influito in maniera significativa sullo sviluppo delle comunità”.

Secondo i ricercatori, le comunità archeologiche della Mezzaluna Fertile erano molto più versatili di quanto si potesse immaginare: “La nostra ipotesi è che la variabilità climatica, che porta a un aumento dello stress o al miglioramento delle condizioni ambientali di fondo, sembra solo modulare le dinamiche culturali e di sussistenza esistenti, che tuttavia non sono direttamente attribuibili al cambiamento climatico stesso”, aggiunge Zerboni, del dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio” della Statale di Milano. “In questo caso, così come sempre più spesso emerge dal record geo-archeologico, si vede come le variazioni climatiche giochino un ruolo limitato nel governare le dinamiche delle comunità complesse, generalmente resilienti e con grandi abilità di resistere a condizioni apparentemente avverse, agendo invece solo come spinta per accelerare processi culturali già in atto”.

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