La guerra come meccanismo endogeno di crescita nel capitalismo: una prospettiva critica e proposte per modelli alternativi

Guido Donati* 02 Lug 2025





Elenco delle Parti:
Parte 1: Il paradosso del capitalismo: crescita infinita in un mondo finito 
• Parte 2: La guerra: un "reset" nascosto per l'economia capitalistica?
• Parte 3: Oltre il limite: l'insostenibilità di un modello distruttivo
• Parte 4: Verso un futuro di bene-essere: proposte per un paradigma di pace e sostenibilità

Parte 2: La Guerra: Un "Reset" Nascosto per l'Economia Capitalistica

 Guerra e capitalismo: un meccanismo di riavvio economico?Abstract: Nella Parte 1 del nostro saggio, abbiamo esplorato il profondo paradosso del capitalismo: un sistema che postula una crescita illimitata su un pianeta dalle risorse finite, alimentando critiche che affondano le radici in Malthus, Marx e l'economia ecologica. Questa tensione intrinseca genera una domanda fondamentale: come si sostiene un tale modello in un contesto di limiti crescenti? In questa seconda parte, approfondiamo la nostratesi centrale, esaminando come la guerra, lungi dall'essere un mero incidente, possa operare come un meccanismo endogeno per il riavvio e la rigenerazione dell'economia capitalistica. Analizzeremo i meccanismi attraverso cui i conflitti, pur devastanti, possono generare stimoli economici, e le critiche associate all'uso della spesa militare come volano di crescita.


2. La guerra come stimolo economico: meccanismi e giustificazioni celate
La relazione tra la spesa militare, i conflitti armati e la crescita economica è un campo di studio complesso e multifacettato. Sebbene la letteratura economica offra risultati eterogenei e spesso ambivalenti riguardo a una correlazione lineare semplice, le evidenze storiche di macro-periodi supportano l'idea che, in determinate circostanze, la guerra e la successiva ricostruzione possano fungere da potente stimolo economico, agendo quasi come un "reset" del sistema capitalistico. Questa prospettiva, pur riconoscendo le immense tragedie umane e i costi sociali della guerra, analizza la sua funzione, a volte celata, nel perpetuare la logica di crescita continua.


2.1 Distruzione, ricostruzione e nuova domanda
Uno dei meccanismi più evidenti di stimolo economico post-bellico è la massiccia distruzione di capitale fisico (infrastrutture, fabbriche, abitazioni) che i conflitti comportano. Questa distruzione, sebbene devastante, genera una domanda di ricostruzione enorme e immediata.
• Il dopoguerra della seconda guerra mondiale. Il periodo successivo al 1945 è un esempio paradigmatico. Paesi come la Germania Ovest (Wirtschaftswunder), il Giappone (Miracolo Economico Giapponese), la Francia (Trente Glorieuses) e l'Italia (Miracolo Economico Italiano), nonostante la devastazione, sperimentarono una crescita economica straordinaria (Skidelsky, 2009 [42]; IMF, 2000 [18]). Questo boom fu alimentato dalla necessità di ricostruire intere nazioni, il che implicò massicci investimenti in edilizia, trasporti e industria. La domanda di materiali da costruzione, macchinari e beni di consumo, precedentemente limitata dalla guerra, esplose, riattivando catene produttive e creando milioni di posti di lavoro.
• Negli Stati Uniti, che subirono meno danni territoriali diretti, la produzione industriale, gonfiata dallo sforzo bellico, si riconvertì per soddisfare la domanda interna ed estera (anche grazie a programmi come il Piano Marshall, che funse da volano per le esportazioni americane e la ripresa europea), mantenendo un'elevata occupazione e sostenendo la crescita del PIL. Il PIL
reale degli Stati Uniti passò da circa $1,475 miliardi nel 1945 a $2,277 miliardi nel 1955 (dati in dollari del 2010), un aumento significativo in un decennio post-bellico (U.S. Bureau of Economic Analysis [45]).
• Dati generali. Alcuni studi empirici (Ben-David, 2007 [3]) hanno rilevato che, per molte nazioni, i periodi successivi a grandi shock economici o guerre sono stati seguiti da fasi di crescita sostenuta che hanno superato i tassi pre-crisi. Ciò suggerisce che un "azzeramento" parziale del capitale può creare opportunità per investimenti più efficienti e nuove traiettorie di sviluppo.


2.2 Moltiplicatori della spesa militare e contesti specifici
Il concetto di moltiplicatore fiscale (Keynes, 1936 [26]) si riferisce all'effetto amplificato che un'iniziale variazione della spesa pubblica ha sul PIL complessivo. Nel contesto della spesa militare, l'esistenza e l'entità di tale moltiplicatore sono oggetto di dibattito e dipendono fortemente dal contesto.
• Evidenza di moltiplicatori positivi (in certi contesti). Alcuni studi suggeriscono che un aumento degli investimenti nella difesa possa agire come stimolo fiscale. Ricerche come quelle di Ramey e Zubairy (2018) [39] indicano che, per gli Stati Uniti, un aumento cumulativo dell'1% del PIL nella spesa militare può innalzare il PIL di circa lo 0,7%, un moltiplicatore paragonabile a quello della spesa per infrastrutture o istruzione in certi periodi. Inoltre, Antolin-Diaz e Surico (2022) [2] stimano che un aumento temporaneo dell'1% della spesa militare rispetto al PIL possa incrementare la produttività totale dei fattori (TFP) dello 0,3%, lasciando un'eredità duratura di competenze e know-how industriale.


• Contesto macroeconomico e tipologia di spesa. La dimensione del moltiplicatore varia significativamente a seconda del contesto. Studi indicano che i moltiplicatori sono maggiori durante le recessioni (quando c'è una maggiore capacità produttiva inutilizzata nell'economia che la spesa militare può riattivare, a differenza di periodi di piena occupazione dove tenderebbe a generare solo inflazione) rispetto ai periodi di espansione. Sono anche più grandi in economie chiuse e sotto regimi di tasso di mcambio fisso. Un'analisi di ABN AMRO (2024) [1] suggerisce che i moltiplicatori della spesa per la difesa in Europa possono variare tra 0.6 e 1.0, o anche più alti a lungo termine se si considerano gli spillover sulla produttività.
• Impatto diverso tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. È cruciale notare una distinzione: mentre la spesa militare può avere effetti positivi sulla crescita nei paesi sviluppati (spesso tramite l'innovazione e una base industriale sofisticata), tende ad avere un impatto negativo nelle economie in via di sviluppo (d'Agostino et al., 2023 [7]; Dunne & Tian, 2013 [9]). Questo è spesso dovuto alla deviazione di risorse da settori più produttivi come l'istruzione, la sanità o le infrastrutture civili, oltre che a problemi di corruzione e dipendenza dalle importazioni di armamenti.

2.3 Innovazione tecnologica e "spillovers" dal settore militare
La spesa militare è un motore potente per la ricerca e sviluppo (R&D) e l'innovazione tecnologica. In tempo di guerra o di corsa agli armamenti, ingenti fondi pubblici vengono destinati allo sviluppo di tecnologie all'avanguardia che, pur nascendo per scopi bellici, spesso trovano successivamente applicazioni civili (i cosiddetti "spillover" o ricadute tecnologiche).
• Esempi emblematici. Lo sviluppo di Internet/ARPANET (anni '60), nato come rete di comunicazione resistente agli attacchi per il Dipartimento della Difesa americano, del GPS (Global Positioning
System), inizialmente concepito per scopi militari, e delle tecnologie aerospaziali, dei materiali avanzati e dell'informatica moderna, inclusa l'intelligenza artificiale, ha spesso ricevuto un impulso decisivo dagli investimenti nel settore della difesa, prima di essere adottato dall'industria civile, rivoluzionando intere economie.
• Investimento pubblico mascherato. La spesa militare rappresenta un'enorme iniezione di fondi pubblici nell'economia, agendo come uno stimolo fiscale significativo. A differenza di altre forme di spesa pubblica (es. welfare, infrastrutture civili), che possono affrontare resistenze politiche o ideologiche, la spesa per la difesa è spesso più facilmente giustificabile e accettata in nome della sicurezza nazionale, anche in assenza di un conflitto attivo. Questo permette di canalizzare risorse verso l'industria, la ricerca e l'occupazione in un modo che altri settori potrebbero non riuscire a ottenere.

2.4 Controllo delle risorse e strategie geopolitiche
Al di là della distruzione e della ricostruzione, i conflitti possono anche essere strumenti per ridefinire l'accesso e il controllo sulle risorse naturali e sulle rotte commerciali globali, elementi vitali per il mantenimento e l'espansione del sistema capitalistico.
• Conflitti per il petrolio. Numerosi conflitti nel Medio Oriente sono stati analizzati anche sotto la lente della contesa per il controllo delle vaste riserve petrolifere, essenziali per l'industria e i trasporti globali. La retorica di "liberazione" o "antiterrorismo" può mascherare spesso interessi economici e geostrategici profondamente legati a dinamiche di neocolonialismo o imperialismo economico.
• Minerali rari e nuove tecnologie. L'esigenza di minerali rari, cruciali per le tecnologie moderne (elettronica, batterie, veicoli elettrici), sta influenzando le dinamiche geopolitiche e può essere un fattore sottostante a tensioni o conflitti in regioni ricche di tali risorse.


2.5 Critiche al "Keynesismo militare". Efficacia e moralità a lungo termine
Il concetto di "Keynesismo militare" suggerisce l'uso della spesa per la difesa come strumento deliberato per stimolare la domanda aggregata e mantenere la piena occupazione. Sebbene abbia trovato applicazione storica, soprattutto negli Stati Uniti durante la guerra fredda, è oggetto di severe critiche sulla sua efficacia e moralità a lungo termine.
• Bassa efficienza lavorativa. Una delle critiche più dirette è che la produzione bellica moderna, sebbene altamente tecnologica, è capital-intensive e relativamente poco labour-intensive. Ciò significa che crea meno posti di lavoro per unità di spesa rispetto a investimenti equivalenti in settori civili come la sanità, l'istruzione, le energie rinnovabili o le infrastrutture. Stime indicano che un miliardo di dollari spesi in armamenti genera significativamente meno occupazione rispetto a un investimento analogo in energie rinnovabili o infrastrutture civili (IPS Journal, 2025 [21]). L'IPS Journal (2025) sottolinea come l'industria degli armamenti abbia "bassi moltiplicatori" rispetto a questi settori, contribuendo meno alla capacità produttiva generale dell'economia.


• "Crowding out" (spostamento) degli investimenti produttivi. Invece di stimolare la crescita complessiva, l'alta spesa militare può spiazzare (crowd out) investimenti pubblici e privati in settori più produttivi per il benessere sociale e lo sviluppo a lungo termine. Risorse finanziarie, ingegneri qualificati, scienziati e capacità industriali vengono deviati dalla produzione di beni e servizi civili verso quella militare. Ciò può portare a una riduzione della produttività complessiva e della competitività a lungo termine di un'economia (IPS Journal, 2025 [21]).
• Consumo di risorse e impronta ambientale. Le moderne forze armate sono tra i maggiori consumatori istituzionali di combustibili fossili e produttori di inquinamento (IPS Journal, 2025 [21]). Il settore militare globale rappresenta una quota considerevole delle emissioni totali di gas serra. L'espansione delle capacità militari implica un blocco della domanda per tecnologie ad alta intensità di carbonio in un'epoca in cui la transizione ecologica è urgente, contrastando direttamente gli obiettivi di sostenibilità.
• Costi sociali e opportunità perse. La spesa per la difesa, specialmente se è "l'unico budget senza limiti" (CADTM, 2025 [5]), può portare a tagli nel welfare, nella sanità, nelle pensioni e nei servizi pubblici essenziali. Questo peggiora la qualità della vita dei cittadini, aumenta le disuguaglianze e sacrifica lo sviluppo umano a favore della macchina bellica, generando un costo opportunità sociale incalcolabile. Come evidenziato da Noam Chomsky (in diverse opere) [6], i governi possono preferire la spesa militare perché genera meno interesse e partecipazione pubblica rispetto alla spesa sociale, rendendo più facile la sua attuazione senza un controllo democratico significativo.
• Mancanza di "bene sociale". A differenza degli investimenti in educazione o infrastrutture, che generano benefici diffusi per la società, la produzione di armi ha come fine primario la distruzione o la minaccia di essa. Si argomenta che questo tipo di spesa, pur potendo creare attività economica, non genera un "bene sociale" comparabile e può persino perpetuare un ciclo di violenza e insicurezza.

3. Esempi Storici a Supporto della Tesi

Gli esempi storici forniscono prove a supporto di questa interpretazione:
• Il secondo dopoguerra (1945-1970 circa). Le economie occidentali, in particolare Stati Uniti, Germania Ovest, Giappone, Francia e Italia, conobbero un periodo di crescita economica senza precedenti, spesso definito "miracolo economico". Questa fase fu alimentata in larga parte dalla necessità di ricostruire
intere nazioni devastate dal conflitto, con massicci investimenti infrastrutturali e un'enorme domanda interna ed esterna. La guerra aveva "azzerato" una parte del capitale obsoleto e stimolato
un'innovazione tecnologica bellica che trovò poi vastissime applicazioni civili (es. elettronica, telecomunicazioni, aviazione commerciale), aprendo nuovi mercati.
• La guerra fredda e la corsa agli armamenti. Nonostante non fosse un conflitto "caldo" su vasta scala, la guerra fredda ha rappresentato un periodo di enorme e continua spesa militare, alimentando un complesso militare-industriale (espressione coniata dal Presidente Eisenhower) che ha sostenuto settori chiave dell'economia delle superpotenze. Questo "investimento" costante in armamenti e tecnologia ha generato un flusso continuo di innovazione e occupazione, fungendo da stabilizzatore economico e da impulso alla ricerca scientifica.
• Conflitti moderni per le risorse: Numerosi conflitti dalla fine del XX secolo ad oggi, in particolare nel Medio Oriente e in alcune regioni africane, possono essere analizzati, tra le altre cause, anche sotto la lente della contesa per il controllo di risorse naturali vitali (petrolio, gas, minerali rari) o rotte commerciali strategiche. Questi conflitti, pur mascherati da complesse dinamiche politiche o religiose, spesso servono a garantire l'approvvigionamento di risorse essenziali per il mantenimento dell'apparato produttivo globale.

Bibliografia (Parte 2)


• [1] ABN AMRO. (2024). Can defence spending revitalise the eurozone economy? Macro Watch.

• [2] Antolin-Diaz, J., & Surico, P. (2022). The Macroeconomic Effects of Military Spending: A Century of Evidence. CEPR Discussion Paper DP17316.
• [3] Ben-David, D. (2007). Trade and the Rate of Income Convergence. Journal of International Economics, 71(1), 77-93. 
• [5] CADTM (Committee for the Abolition of Illegitimate Debt). (2025). From welfare to warfare: military Keynesianism. https://www.cadtm.org/Militarism?lang=en
• [6] Chomsky, N. (diverse opere, ad es. Profit Over People: Neoliberalism and Global Order.
• [7] d'Agostino, S., d'Agostino, F., & Scartozzi, F. (2023). Military expenditure and economic growth: a meta-analysis. Defence and Peace Economics, 34(5), 580-608.
• [9] Dunne, P., & Tian, N. (2013). Military expenditure and economic growth. In Handbook on the Economics of Conflict (pp. 58-75). Edward Elgar Publishing.
• [18] International Monetary Fund (IMF). (2000). World Economic Outlook: Focus on Transition Economies. IMF.

• [21] IPS Journal. (2025). Military Keynesianism is a dead end — both economically and politically.

• [26] Keynes, J. M. (1936). The General Theory of Employment, Interest and Money. Macmillan.

• [39] Ramey, V. A., & Zubairy, S. (2018). Government Spending Multipliers in Good Times and in Bad: Evidence from U.S. Historical Data. Journal of Political Economy, 126(2), 850-901.

• [42] Skidelsky, R. (2009). Keynes: The Return of the Master. PublicAffairs.

• [45] U.S. Bureau of Economic Analysis (BEA). National Income and Product Accounts (NIPA) Tables.

Nota per il lettore: Hai completato la Parte 2 del saggio. Nella prossima, la Parte 3: Oltre il Limite: L'Insostenibilità di un Modello Distruttivo, approfondiremo le crescenti sfide poste dai limiti planetari e l'illusione della crescita illimitata.

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