Lo studio nasce dalla constatazione che non esistevano misure in grado di rilevare il fenomeno del phubbing in ambito genitoriale, in particolare la percezione dei figli di essere ignorati dai loro genitori perché questi sono troppo spesso impegnati a prestare attenzione al proprio smartphone. Il gruppo di ricercatori ha quindi sviluppato il primo questionario per misurare il phubbing che i figli subiscono da madre e padre, raccogliendo dati su un campione di oltre 3000 adolescenti (età compresa tra i 15 e i 16 anni).
Oltre a ciò, i risultati della ricerca hanno confermato l’ipotesi di partenza dei ricercatori: gli adolescenti che si sentivano maggiormente vittime di phubbing da parte dei loro genitori, si percepivano anche più distanti da essi, socialmente disconnessi, ignorati ed esclusi. Grazie a quest'ultimo punto i ricercatori hanno quindi potuto legare lo studio di un fenomeno nuovo (il phubbing) alla lunga tradizione di ricerca sulle esperienze di esclusione sociale che, come è noto in letteratura, possono avere ripercussioni molto negative su chi le subisce, che possono spingersi fino allo sviluppo di sintomi depressivi e al suicidio.
«Il phubbing è un fenomeno che si caratterizza a tutti gli effetti come forma di esclusione sociale, in particolare di ostracismo, ossia essere ignorati, diventare invisibili e sentirsi non esistenti in un dato contesto. - spiega Luca Pancani, psicologo sociale -Il phubbing è particolarmente importante da studiare perché l’ubiquità dello smartphone fa sì che questo fenomeno di ostracismo possa essere agito da chiunque e in qualsiasi momento, accrescendo enormemente la possibilità di conseguenze negative per chi lo subisce. Ciò assume una importanza ancora maggiore nella relazione genitori-figli, in cui lo stile parentale e la responsività alle richieste dei figli rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo adolescenziale»
«Pur essendo ormai radicato in molteplici ambiti relazionali, incluso quello familiare - aggiunge Tiziano Gerosa, sociologo - il phubbing rimane un fenomeno relativamente recente e non ancora regolato da esplicite norme sociali (come, ad esempio, quelle che indicano in che modo “dobbiamo” comportarci a tavola, porci nei confronti del prossimo o esprimerci in determinate situazioni). La ricerca su questo tema, e la conseguente diffusione dei suoi risultati, possono incidere molto sulla costruzione di norme sociali che pongano dei limiti al phubbing anziché accettarlo indiscriminatamente.»
I ricercatori sostengono di essere solo all’inizio della ricerca sul phubbing genitoriale e hanno in mente una serie di studi futuri, tra i quali l’indagine della circolarità del fenomeno: non sono solo i figli a subire phubbing dai genitori, ma anche i genitori a subirlo dai figli e ciò andrebbe ad alimentare un circolo vizioso e la costituzione di una norma sociale che potrebbe favorire il phubbing e, quindi, accrescere le sue ripercussioni all’interno dell’intero contesto familiare.