A Torre Guaceto non sono estati evidenziati gravi fenomeni di mortalità sugli organismi studiati, ma anche in quest’area marina protetta si possono osservare gli effetti dei cambiamenti climatici, come lo sbiancamento delle alghe corallinacee, soprattutto alle profondità più superficiali, e del madreporario mediterraneo (Cladocora coespitosa). O, ancora, la presenza di specie termofile sia native che aliene, come l’alga Caulerpa cylindracea, dominante tra i 20 i 30 metri di profondità. Si tratta di fenomeni che andranno monitorati nel tempo per capire come le variazioni della temperatura possano influenzare l’ecosistema. A questo scopo, in maggio, nell’ambito del progetto “Mare caldo”, l’area marina protetta di Torre Guaceto ha posizionato dei sensori in grado di monitorare le temperature marine dalla superficie fino a 40 metri di profondità. Nell’Adriatico, la rete creata da Greenpeace per studiare gli impatti dei cambiamenti climatici comprende, oltre a Torre Guaceto, anche l’area marina protetta di Miramare (Trieste): il confronto dei dati raccolti tra le due stazioni aiuterà a capire le dinamiche in atto in questo bacino semichiuso e di confrontarle con quelle degli altri mari italiani.
Proprio a Torre Guaceto in questi giorni ha fatto tappa la spedizione di ricerca “Difendiamo il mare” di Greenpeace, che sta studiando gli impatti dell’inquinamento da plastica e microplastiche e dei cambiamenti climatici nel Mar Adriatico centro-meridionale. Partita da Ancona lo scorso 21 giugno, si concluderà domani con un evento organizzato dai volontari di Greenpeace e di “Puliamo il mare” Brindisi, insieme all’area marina protetta, per ripulire parte della riserva dai rifiuti in plastica portati dal mare.
«I monitoraggi mostrano come gli impatti del cambiamento climatico e delle anomalie termiche siano sempre più evidenti in diverse aree dei mari italiani, con fenomeni simili, anche se di diversa intensità, alle varie latitudini, che perdurano nel tempo», dichiara Monica Montefalcone, responsabile scientifico del progetto per il DiSTAV dell’Università di Genova. «Allo stesso tempo è evidente un ‘effetto riserva’ creato dalle aree protette che, limitando l’impatto delle pressioni antropiche locali, aumenta la resilienza degli ecosistemi marini ai cambiamenti climatici».
«Lavorare in rete è importante per comprendere quali siano gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, per questo abbiamo aderito con convinzione al progetto di Greenpeace. Le aree marine protette giocano un ruolo fondamentale sia nel monitoraggio sul lungo periodo, sia nello sviluppo di misure di tutela, ma non possono lavorare come unità a sé stanti: per essere efficaci hanno bisogno di operare insieme a tutti gli attori impegnati nelle attività di ricerca e conservazione degli habitat. In mare, infatti, non esistono barriere», afferma Alessandro Ciccolella, direttore dell’area marina protetta di Torre Guaceto.
«La crisi climatica sta accelerando la perdita di biodiversità dei nostri mari, acuendo l’impatto delle attività umane più distruttive. Dobbiamo tutelare le aree più sensibili, allargando e rafforzando la rete di aree marine protette nel nostro Paese e nel mondo. L’Italia, insieme all’Europa, si è posta l’obiettivo di tutelare il 30 per cento dei mari entro il 2030, non c’è più tempo da perdere», conclude Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.