Condotto da Costanza Del Gobbo, titolare del corso "Global and Regional Climate Change" all’Università degli studi di Trieste e assegnista di ricerca all’Istituto di Scienze Polari del CNR, lo studio ha richiesto 4 anni di lavoro, è stato finanziato dall’International Centre for Theoretical Physics ed è stato supervisionato dal Premio Nobel Filippo Giorgi (ICTP), da Renato R. Colucci, ricercatore all’ISP-CNR e docente di Glaciologia all’Università degli studi di Trieste e da Giovanni Monegato, ricercatore all'Istituto di Geoscienze del CNR.
Durante l'Ultimo Massimo Glaciale (LGM) avvenuto sulle Alpi tra 26mila e 21mila anni fa, i ghiacciai si spinsero nelle pianure pedemontane e sono ancora oggi identificabili grazie alle grandi morene frontali ben conservate, ad esempio quelle del Tagliamento a Nord di Udine, del Garda a nord di Verona o nel comprensorio Ivrea-Verbano in Piemonte.
I ghiacciai sono fortemente controllati dalla temperatura e dalle precipitazioni e quindi sono eccellenti indicatori del cambiamento climatico. In questo lavoro è stato utilizzato un modello climatico regionale (RCM) sviluppato dall’ICTP innestato nel modello paleoclimatico del Max Planck Institute (Germania), che ha permesso di studiare alcuni dei processi fisici che hanno sostenuto i ghiacciai alpini 21mila anni fa.
In particolare, il lavoro ha potuto ricostruire la linea di equilibrio glaciale (ELA) durante l'LGM, confrontandola con quella dei livelli preindustriali, ossia all’inizio del 1800.
I risultati di questo lavoro sono riusciti, per la prima volta, a trovare ottima coerenza con le evidenze geomorfologiche e geologiche sul terreno, dove invece i modelli precedenti avevano grossi errori in diversi settori alpini a causa di errate stime legate alle precipitazioni.
I risultati mostrano come il clima delle Alpi fosse mediamente 6.8°C più freddo rispetto ai livelli preindustriali (quindi circa 9°C più freddo rispetto ad oggi) e in particolare nei settori orientali. Le precipitazioni annuali erano più scarse di circa il 15%.
La stagione a subire le variazioni più significative fu l’estate con una diminuzione di 7.3°C rispetto ai livelli preindustriali, ossia quasi 10°C in meno rispetto alle estati attuali. Queste condizioni permettevano ricorrenti nevicate attorno ai 1000 metri di quota in piena estate, e a volte anche a quote inferiori, mentre le pianure del Nord Italia erano coperte di neve da novembre a maggio.
La distribuzione delle precipitazioni era molto diversa rispetto ad oggi, con l’estate come stagione più piovosa (in particolare sul settore alpino settentrionale), mentre l’inverno era verosimilmente molto freddo e secco a causa dell’influenza di una vasta area di alta pressione estesa dalla Scandinavia, dove aveva sede una calotta glaciale simile a quella della Groenlandia attuale, alla Siberia. Solo sul settore meridionale delle Alpi le precipitazioni erano frequenti anche nel corso dell’inverno, prevalentemente a carattere nevoso fino in pianura.
Questo studio ha aperto nuove prospettive sull'uso dei modelli climatici regionali per lo studio dei climi passati, in quanto tali modelli possono offrire un dettaglio spaziale che ci permette di capire meglio gli indicatori climatici rilevati sul campo soprattutto in aree, come quella Alpina, caratterizzate da morfologie molto complesse.