È l’espressione “più potente” di un set di geni a determinare lo sviluppo delle fragole. La scoperta arriva da una ricerca di un team internazionale che ha indentificato per la prima volta i meccanismi genetici che sono che sono alla base dello sviluppo di questo “falso frutto” primaverile. Pubblicato sulla rivista “GigaScience” e coordinato dal centro di ricerca inglese Driscoll’s Genetics Limited, lo studio è stato realizzato dai genetisti e bioinformatici dell’Ateneo pisano del gruppo del professore Andrea Cavallini insieme ai ricercatori delle università di Modena, Milano, Padova e della Fondazione Mach di San Michele all'Adige.
“Abbiamo confrontato il genoma della fragola e quello di una specie vicina, Potentilla micrantha, che non produce i tipici frutti carnosi della specie coltivata – spiega Andrea Cavallini dell’Università di Pisa – questo ci ha consentito di identificare i meccanismi genetici che sono potenzialmente alla base dello sviluppo delle fragole, in realtà un falso frutto, prodotto dall'accrescimento del ricettacolo della infiorescenza”.
La specie Potentilla micrantha, conosciuta anche come “fragola secca” o “cinquefoglia” condivide infatti numerose caratteristiche morfologiche ed ecologiche con la fragola e queste somiglianze hanno spinto i ricercatori a realizzare uno studio di genomica comparata, sequenziando, per la prima volta, il genoma e il trascrittoma di Potentilla.
“Come emerge dalla ricerca, lo sviluppo delle fragole – continua Cavallini – sembra essere legato alla diversa espressione di alcuni specifici geni, che codificano delle proteine del tipo ‘MADS-box’, molto più attivi nella fragola e che sono già noti per essere implicati nello sviluppo del frutto in altre specie”.
Come nascono le fragole
L’Università di Pisa partner di uno studio internazionale pubblicato sulla rivista “GigaScience” sui meccanismi genetici che danno origine alle fragole
Want to remember your dreams? Try taking vitamin B6
New research from the University of Adelaide has found that taking vitamin B6 could help people to recall their dreams. The study published online ahead of print in Perceptual and Motor Skills, included 100 participants from around Australia taking high-dose vitamin B6 supplements before going to bed for five consecutive days. "Our results show that taking vitamin B6 improved people’s ability to recall dreams compared to a placebo," says research author Dr Denholm Aspy, from the University's School of Psychology. "Vitamin B6 did not affect the vividness, bizarreness or colour of their dreams, and did not affect other aspects of their sleep patterns. “This is the first time that such a study into the effects of vitamin B6 and other B vitamins on dreams has been carried out on a large and diverse group of people," Dr Aspy says.
The randomised, double-blind, placebo-controlled study saw participants taking 240mg of vitamin B6 immediately before bed. Prior to taking the supplements, many of the participants rarely remembered their dreams, but they reported improvements by the end of the study. “It seems as time went on my dreams were clearer and clearer and easier to remember. I also did not lose fragments as the day went on,” said one of the participants after completing the study. According to another participant of the study, “My dreams were more real, I couldn't wait to go to bed and dream!"
Glaucoma, tra le cause stress ossidativo e disfunzione mitocondri
Con quali conseguenze per la salute dell'occhio? Il danno ossidativo induce alla lunga uno stress dei mitocondri, organi che producono l'energia necessaria alle cellule ganglionari retiniche e che- messi sotto attacco dai radicali liberi- diventano meno efficienti. Ecco perche' stress ossidativo e disfunzione del mitocondrio giocano, insieme all'aumento della pressione dell'occhio, un ruolo importante anche nello sviluppo del glaucoma.
Cosa c'entra lo stress ossidativo con il glaucoma. Quando si parla di glaucoma si pensa subito solo alla pressione elevata dell'occhio. In realta', diversi studi hanno dimostrato che vari altri fattori, oltre alla pressione oculare, agiscono sulle cellule ganglionari retiniche (RGCs) condizionandone il buon funzionamento e la sopravvivenza. "In particolare, gioca un ruolo lo stress ossidativo e la conseguente disfunzione del mitocondrio- spiega il professor Luciano Quaranta, direttore del Centro per lo Studio del Glaucoma presso l'Universita' degli Studi di Brescia- La cellula ganglionare e' sensibile all'azione nociva dei radicali liberi dell'ossigeno (chiamati Ros), sostanze che si formano durante le normali attivita' corporee, come respirare, e che solitamente il corpo stesso neutralizza grazie alla presenza degli antiossidanti. Quando, pero', i radicali liberi aumentano in presenza ad esempio di una elevata pressione oculare elevata, le difese antiossidanti non sono sufficienti e si viene a creare una condizione di stress ossidativo in cui i radicali liberi hanno la possibilita' di danneggiare varie tipi di cellule presenti all'interno dell'occhio".
Nuovo studio sulla rivista Oncogene finanziato da Airc. Regina Elena e Ibpm-Cnr: scoperta nella regolazione di fattori cruciali per la formazione dei tumori
“Aurora B - spiega Cinzia Rinaldo - è spesso deregolata nei tumori e il suo malfunzionamento può portare alla formazione e progressione dei tumori”. Ciliberto: “Il lavoro aggiunge un nuovo tassello che chiarisce i meccanismi della divisione cellulare e della proliferazione di cellule tumorali”
Dimmi come ti dividi e ti dirò chi sei. Circa un terzo dei tumori umani, infatti, possono originare da cellule ‘difettose’ che si dividono ‘male’. Un recente studio dei ricercatori dell’Istituto Regina Elena (Ire) e dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibpm-Cnr), pubblicato sulla rivista Oncogene, ha identificato un nuovo ruolo della proteina Aurora B che risulta cruciale per un corretto completamento della divisione cellulare. Aurora B è espressa in maniera anomala in molti tipi di tumori ed è stata identificata come bersaglio molecolare di nuove terapie antitumorali; farmaci che ne bloccano l'attività sono oggetto di studi pre-clinici e clinici. Il recente studio dei gruppi di ricerca diretti da Silvia Soddu del Regina Elena e da Cinzia Rinaldo dell’Ibpm-Cnr apre un nuovo capitolo sulla comprensione del meccanismo di controllo della divisione cellulare e sulle cause scatenanti l’insorgenza di molti tumori.
L’Artico si riscalda più del resto del pianeta
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche è presente con la base Dirigibile Italia nell'Artico, luogo fragile e cruciale per lo studio dei processi legati al cambiamento climatico. Ecco due risultati della ricerca su questi importanti e complessi aspetti che danno conferma e in qualche modo quantificano il riscaldamento dell’acqua e dell’aria e lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) è presente con proprie stazioni e attività di ricerca in entrambi i poli terrestri. In particolare, nel Circolo Polare Artico, gestisce la base Dirigibile Italia.
L’Artico, un luogo fragile e cruciale per la Terra, si sta riscaldando in modo molto maggiore di quanto avvenga nel resto del pianeta. In tale regione molti processi legati al cambiamento climatico possono essere amplificati. Ad esempio, il ritiro dei ghiacci causato dal riscaldamento causa ulteriore riscaldamento perché riduce l’albedo (la capacità delle superfici “bianche” di riflettere la radiazione solare), il riscaldamento della colonna d’acqua in assenza di ghiaccio estivo porta allo scioglimento del fondale marino perennemente ghiacciato (permafrost), con la possibilità che il metano intrappolato nei fondali marini possa essere ceduto all'atmosfera, conseguente aumento di concentrazione di questo gas serra e ulteriore riscaldamento del pianeta.
“La ricerca scientifica italiana in Artico contribuisce agli studi internazionali e interdisciplinari per aumentare la conoscenza dei cambiamenti climatici”, afferma il presidente del Cnr Inguscio. “Il fine è informare i policy maker, la comunità scientifica, le organizzazioni internazionali, le singole persone e, al tempo stesso, collaborare a mitigarne gli impatti e consentire una gestione sostenibile degli ecosistemi naturali e dell’attività umana nella regione”.
Allo stato attuale, l’attività del Cnr nella Stazione artica si esplica attraverso oltre 20 progetti di ricerca, concernenti fisica dell'atmosfera, oceanografia e biologia marina, geologia e geofisica, indagini sugli ecosistemi e sul paleoclima. Ecco due risultati della ricerca su questi complessi e cruciali aspetti:
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Il sito osservativo integrato CNR alle Svalbard dimostra che il riscaldamento in Artico è maggiore di quello globale
Un ancoraggio (mooring) posizionato dal CNR nel Kongsfjorden alle Isole Svalbard misura il riscaldamento delle acque e la stagionalità del ghiaccio marino da sette anni. I dati offerti dall’ancoraggio permettono di misurare temperatura, salinità e altri parametri su tutta la colonna d’acqua per un centinaio di metri di profondità. I dati sono confrontati con quelli della Amundsen-Nobile Climate Change Tower, la torre con cui da dieci anni il CNR monitora l’atmosfera, sempre alle Svalbard. I dati integrati mare/aria dell’ancoraggio nel fiordo e della torre documentano in Artico un indubitabile aumento delle temperature. L'aumento della temperatura di aria e acqua ha anche un ulteriore inequivocabile impatto sulla velocità di scioglimento dei ghiacciai e sui flussi di “particellato”, il materiale solido che questi portano nel fiordo.
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