Ottobre 2024
Domenica, 13 Ottobre 2024 06:49

Plants Save Energy when Absorbing Potassium

 



Potassium is one of the nutrients that plants need in large quantities. However, the amount of potassium in the soil can vary greatly: potassium-poor soils can contain up to a thousand times less of this nutrient than potassium-rich soils. To be able to react flexibly to these differences, plants have developed mechanisms with which they adapt their potassium uptake to the respective soil condition.

Like the cells of the human body, plant cells also work with an operating potassium concentration of around 100 millimolar. If the roots find a potassium source with a significantly lower concentration or only traces of it, they can only absorb the potassium into their cells by expending energy. This is achieved by the interaction between the potassium ion channel AKT1 and the potassium transporter HAK5.

Research is Relevant for Plant Breeding

‘Although HAK5 has been known since the late 1990s, its transport mechanism has so far remained largely unknown,’ says Professor Rainer Hedrich from Julius-Maximilians-Universität (JMU) Würzburg in Bavaria, Germany. A team led by the Würzburg biophysicist now wanted to elucidate this mechanism: ‘Knowledge about this is important when it comes to breeding crops that also produce yields on non-fertilised or only lightly fertilised fields, i.e. that can manage with less fertiliser.’

In their experiments, the Würzburg research group led by first authors Tobias Maierhofer and Sönke Scherzer benefited from their extensive experience with the potassium channel AKT1. The group now describes their results in detail in the journal Nature Communications.

Pubblicato in Scienceonline


Sapienza nel team di ricerca coordinato da coordinato dall’Università di Trieste che ha dimostrato la radice biologica della preferenza di umani e animali per i suoni consonanti, questi ultimi alla base dei segnali sociali
Il team di ricercatori Sapienza hanno collaborato con l’Università degli Trieste in uno studio sulla preferenza delle specie animali, umane e non umane, per i suoni consonanti, che sarebbe in parte determinata fisiologicamente. L’ipotesi all’origine dello studio, condotto su centotrenta pulcini implumi, è che gli elementi costitutivi delle capacità musicali – di umani e animali – abbiano una radice biologica, condivisa tra specie anche filogeneticamente distanti, e non dipendono già solo dalla cultura e dall’esperienza musicale.

Pubblicato in Scienza generale

 

Lyu et al. (2024), in a recent study published in the Journal of Archaeological Science, have made a significant advancement in the analysis of organic residues in ancient pottery, combining two powerful analytical techniques: lipidomics and proteomics. By examining pottery fragments from the Xiawan site in the Taihu Lake region of China, the researchers obtained a detailed picture of the dietary habits and culinary practices of a population living during the Songze period (ca. 5800-5300 BP).

Lipid analysis revealed a wide range of organic compounds, including medium- and long-chain fatty acids, sterols, aliphatic alcohols, and isoprenoids, which are the building blocks of fats, oils, and waxes. These molecular biomarkers allowed the identification of the food sources used, distinguishing between products of animal and plant origin. In particular, lipids characteristic of fish, terrestrial mammals, and plants were identified, suggesting a diversified diet adapted to the available environmental resources.

Pubblicato in Scienceonline
 
 
 
Lyu et al. (2024), in un recente studio pubblicato su Journal of Archaeological Science, hanno compiuto un significativo passo avanti nell'analisi dei residui organici in ceramica antica, combinando due potenti tecniche analitiche: la lipidomica e la proteomica. Attraverso l'esame di frammenti ceramici provenienti dal sito di Xiawan, nella regione del Lago Taihu in Cina, i ricercatori hanno ottenuto un quadro dettagliato delle abitudini alimentari e delle pratiche culinarie di una popolazione vissuta durante il periodo Songze (ca. 5800-5300 BP).
 
L'analisi lipidica ha rivelato la presenza di una vasta gamma di composti organici, tra cui acidi grassi a catena media e lunga, steroli, alcoli alifatici e isoprenoidi, che rappresentano i "mattoni" costitutivi di grassi, oli e cere. Questi biomarker molecolari hanno permesso di identificare le fonti alimentari utilizzate, distinguendo tra prodotti di origine animale e vegetale. In particolare, sono stati individuati lipidi caratteristici di pesci, mammiferi terrestri e piante, suggerendo una dieta diversificata e adattata alle risorse ambientali disponibili.
Pubblicato in Archeologia


Il Living Planet Report 2024 rivela un "sistema in pericolo" mentre il mondo si avvicina a punti di non ritorno causati dalla perdita di natura e dal cambiamento climatico


Secondo il Living Planet Report (LPR) 2024 del WWF, c’è stato un catastrofico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni globali di vertebrati selvatici oggetto di monitoraggio in soli 50 anni (1970-2020). Il report avvisa che, mentre il Pianeta si avvicina a pericolosi punti di non ritorno che rappresentano gravi minacce per l’umanità, nei prossimi cinque anni sarà necessario un enorme sforzo collettivo per affrontare la duplice morsa della crisi climatica e biologica.

Pubblicato in Ambiente
Oued Beht, Khemisset. Foto aerea del sito (foto: T. Wilkinson, Archivio OBAP)

Oued Beht, Khemisset. Foto aerea del sito (foto: T. Wilkinson, Archivio OBAP)

 


A Oued Beht in Marocco, grazie a un progetto di ricerche archeologiche multidisciplinari, è venuto alla luce il più antico complesso agricolo finora documentato in Africa al di fuori della Valle del Nilo. Le testimonianze individuate indicano, infatti, la presenza di un vasto insediamento di circa dieci ettari, paragonabile per dimensioni al sito di Troia dell’età del Bronzo Antico.

Oued Beht, secondo gli studiosi, fornisce nuove e importantissime informazioni sul popolamento del Maghreb tra IV e III millennio a.C., confermando il ruolo cruciale di questa regione nell'evoluzione delle società complesse nel Mediterraneo e in Africa settentrionale. I risultati delle ricerche sono stati pubblicati in un articolo open access sulla rivista Antiquity.

Pubblicato in Paleontologia
Martedì, 08 Ottobre 2024 07:08

Un perfetto "laboratorio" vivente


Dall’invertebrato Botryllus schlosseri nuove risposte per Alzheimer e Parkinson.
Pubblicato su «Brain communications» lo studio congiunto dell’Università di Padova e della Statale di Milano sulle specificità del cervello e sul ciclo di vita di un piccolo animale marino che vive nella Laguna Veneta.
Con l'aumento dell'aspettativa di vita, l'invecchiamento patologico ha acquisito sempre più importanza. Si stima che l'1% delle persone oltre i 60 anni, nei paesi industrializzati, sia affetta dal morbo di Parkinson e si prevede un aumento dai 50 milioni del 2010 ai 113 milioni nel 2050 per le diverse forme di demenza, tra cui l’Alzheimer.
Per capire i meccanismi alla base di queste malattie un aiuto potrebbe arrivare da un piccolo animale marino, l’invertebrato di nome Botryllus schlosseri (botrillo), che risulta essere un perfetto “laboratorio” di studio.

Pubblicato in Medicina
Lunedì, 07 Ottobre 2024 12:45

Anche i delfini ridono


I delfini sono giocherelloni e si sa, la scoperta è che quando giocano fra loro ridono pure. Una nuova ricerca, appena pubblicata sulla rivista Cell Press iScience e condotta dall’Università di Pisa, ha dimostrato infatti per la prima volta che questi animali (nome scientifico Tursiops truncatus) usano una particolare espressione facciale a “bocca aperta”, analoga alla risata di altre specie di mammiferi, nelle loro interazioni ludiche.

“Nel corso del nostro studio non solo abbiamo osservato questa espressione facciale, ma abbiamo anche dimostrato che i delfini sono in grado replicarla - spiega la professoressa Elisabetta Palagi dell'Ateno pisano che ha coordinato il team di ricerca internazionale - infatti quando vedono la “risata” di un loro simile la ricambiano una volta su tre”.

Pubblicato in Scienza generale

 

Un nuovo studio, frutto della collaborazione tra Sapienza Università di Roma e l’Università di Aarhus in Danimarca, ha adottato un approccio innovativo nell’analisi delle basi neurobiologiche delle abilità musicali e ha dimostrato che le differenze individuali dipendono da connessioni più o meno forti tra le regioni frontali e parietali del cervello aventi un ruolo cruciale nella memoria di lavoro

L’attitudine umana alla musica è un fenomeno affascinante e complesso che ha stimolato l’interesse scientifico per decenni. Nel tentativo di analizzare le basi neurobiologiche delle abilità musicali, molti ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sulle differenze individuali nella struttura e nella funzione di specifiche aree cerebrali, come le aree uditive per l'analisi dei suoni. Questo approccio, mirato a correlare variazioni in regioni cerebrali isolate con la diversità delle competenze musicali nelle popolazioni umane, ha tuttavia prodotto risultati insoddisfacenti e difficili da replicare.

Un recente studio, frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza Università di Roma e il Dipartimento di Medicina clinica dell’Università di Aarhus in Danimarca, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha adottato un approccio innovativo. Anziché concentrarsi su singole aree cerebrali, il team ha esaminato l’organizzazione della connettività tra queste regioni, ossia come le diverse parti del cervello comunicano tra loro

Pubblicato in Medicina

 

Il nuovo risultato scientifico raggiunto attraverso l’analisi delle deformazioni del suolo, la modellazione delle sorgenti vulcaniche e le simulazioni petrologiche sull’attività del vulcano dal 2007 al 2023.

Comprendere se l’attività sismica, la deformazione del suolo e l’emissione di gas, fenomeni che dal 2007 sono progressivamente aumentati per il bradisismo in corso nel vulcano Campi Flegrei, coinvolgano il movimento o un accumulo di magma in profondità e, quindi, tracciarne l’evoluzione nel tempo.
Questi gli obiettivi raggiunti da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre e l’Université de Genève, nell’ambito del progetto “LOVE-CF” finanziato dall’INGV per l’indagine multidisciplinare dei Campi Flegrei.

Pubblicato in Geologia
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