L'eredità maledetta delle Americhe: la piaga del “conquistador”

Guido Donati 08 Lug 2025



Sono Martín Alonso Pinzón, e ho avuto l'onore di comandare la Pinta attraverso il grande Mare Oceano. È stata un'esperienza incredibile, un viaggio che ha cambiato il mondo per sempre, anche se, col senno di poi, quel cambiamento portò con sé un'ombra inaspettata.
Siamo giunti a una terra che chiamavamo le Indie Occidentali, isole rigogliose e profumate. Ricordo ancora il momento in cui la terra apparve all'orizzonte, un verde smeraldo che si levava dalle acque blu. Ci hanno accolto genti dalla pelle ramata, curiosi e amichevoli, con sguardi ingenui e gesti semplici. Il Generale Colón si raccomandò subito: "Siate gentili, figlioli. Queste anime sono pure." E noi lo fummo, o almeno ci provammo. Poi vennero le donne. Ah, le donne! Meravigliose, con i loro corpi snelli e gli occhi scuri e lucidi. Erano disponibili, sì, dopo un semplice cerimoniale fatto di canti e danze. Forse pensavano di divenire le nostre spose, spose di semidei scesi dal cielo. Eravamo uomini, marinai, lontani da casa da troppo tempo. Le notti erano calde, l'aria intrisa di profumi sconosciuti e la compagnia era dolce, troppo dolce per rifiutarla.


Il viaggio di ritorno fu diverso. Il mare era più agitato, le vele strappate, e dentro di me, qualcosa iniziò a tormentarmi. Non fu subito, ma a un certo punto, laggiù nei Caraibi, mi comparve una strana lesione sui genitali. Era un'ulcera, netta, quasi come se fosse stata scolpita. E il peggio era che non faceva male.
Questo mi terrorizzò più di ogni dolore acuto. Un'ulcera così evidente, su una parte così delicata, eppure... silenziosa. Era contro natura. La toccavo, ed era dura alla base, ma non sentivo nulla, solo un
freddo, inquietante torpore.
Che fosse una maledizione? Un castigo divino per le nostre licenziosità? Provai a curarla con unguenti improvvisati, ma non sapevo cosa fosse. Poi, dopo alcune settimane, senza alcun preavviso, scomparve del tutto. Tirai un sospiro di sollievo, sperando fosse stata solo una brutta fantasia, un frutto della mia
stanchezza. Ingenuo che fui. Arrivammo in Spagna, stanchi ma euforici per la scoperta. Poi, dopo alcuni giorni, la calma si ruppe. Iniziai a sentirmi strano, febbricitante. Poi, un mattino, mi svegliai e mi guardai allo specchio. Il mio corpo era ricoperto di strane eruzioni cutanee, macchie rosse e squamose. Le vidi sul torso, sulle braccia, e persino sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi. Non pruriginose, ma lì, a testimoniare qualcosa che non capivo. Era come se la pelle mi stesse fiorendo in una maniera orribile. Chiamai subito il miglior cerusico di Palos, un uomo di grande esperienza con ferite e malattie di ogni genere tra i marinai. Lo feci venire al mio capezzale, gli mostrai le lesioni, gli descrissi l'ulcera precedente. Mi guardava con fronte corrugata, scrutando ogni macchia, palpando le ghiandole ingrossate. Scuoteva il capo, borbottando tra sé. "Mai visto nulla di simile, signor Pinzón," mi disse, la voce incerta. "Non riesco a comprendere questa... questa piaga. Non conosco rimedio." Fu un colpo tremendo, la consapevolezza che neppure i più sapienti tra noi potevano aiutarci.
E non ero il solo. Molti dei miei compagni, quelli che avevano condiviso le notti e le gioie con le donne delle Indie, soffrivano gli stessi problemi. C'era un marinaio che si lamentava di dolori alle ossa, un altro che aveva ulcere in bocca. Una malattia strana, che sembrava insinuarsi nelle profondità del corpo. Non aveva nome, ma era giunta con noi, nascosta nel sangue, dalle terre appena scoperte.
La mia forza mi stava abbandonando. La febbre non mi dava tregua, i dolori alle giunture si facevano insopportabili. Quel che era iniziato come un piccolo, strano segno, si era trasformato in un tormento che mi stava consumando dall'interno. Questa nuova piaga, che avevo portato io stesso in patria, stava lentamente spegnendo la mia vita. Morirò qui, nella mia casa a Palos, ma il ricordo di quelle terre e la malattia che mi ha dato non mi abbandoneranno mai.

Breve spiegazione
Il racconto di Martín Alonso Pinzón fa riferimento all'ipotesi colombiana sull'origine della sifilide. Si ritiene che la malattia sia stata portata in Europa dalle Americhe dai marinai della spedizione di Cristoforo Colombo, e che si sia poi diffusa rapidamente.
Nel racconto, vengono descritte le fasi iniziali della sifilide non trattata:
• Sifilide Primaria. È rappresentata dall'ulcera sui genitali (sifiloma o chancre). Come correttamente evidenziato, questa lesione è tipicamente indolore e tende a scomparire spontaneamente dopo alcune settimane. Questa caratteristica la rende spesso sottovalutata o non notata dal paziente.
• Sifilide Secondaria, Compare settimane o mesi dopo la scomparsa del sifiloma primario. È caratterizzata da una diffusione del batterio (Treponema pallidum) nel sangue, causando sintomi sistemici come febbre, malessere, dolori articolari e, soprattutto, un'eruzione cutanea diffusa. Questa eruzione è spesso non pruriginosa e può interessare anche le palme delle mani e le piante dei piedi, come descritto nel racconto. Possono comparire anche ulcere in bocca e ingrossamento dei linfonodi. La mancanza di conoscenza e di cure efficaci per questa "nuova" malattia nel XV secolo portò a conseguenze devastanti per molti, inclusi, come suggerito dalle fonti, lo stesso Martín Alonso Pinzón. I "cerusici" dell'epoca non avevano gli strumenti diagnostici o i trattamenti (come gli antibiotici, che sarebbero arrivati secoli dopo) per comprendere o curare la sifilide.


• Board Member, SRSN (Roman Society of Natural Science)

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