L'ombra delle grandi navi: il crepuscolo di un mondo innocente

Guido Donati * 08 Lug 2025



 Eccomi. Io sono Caonabó, cacique della Maguana. La mia storia non è solo la mia, ma quella del mio popolo, i Taíno, e di un mondo che, in un battito di ciglia, fu spazzato via. Ascoltate, e sentirete il lamento del vento che sussurra il nome della nostra terra perduta.

L'incanto breve: l'apparizione dal nulla
Ricordo il primo avvistamento, un giorno scolpito non nel ricordo, ma nel sangue stesso della nostra isola. Il sole irradiava la superficie delle acque, ma all'orizzonte, delle ombre titaniche danzavano come spettri. Non erano le nostre agili canoe, nate dall'abbraccio degli alberi, ma fortezze galleggianti con vele candide come sudari. Dalle loro oscure viscere emersero uomini. La loro pelle, chiara come la schiuma morente delle onde, i loro volti velati da strane boscaglie, i loro abiti che brillavano con una luce metallica, innaturale. Erano un enigma, un presagio, una cosa che i nostri antenati non avrebbero mai potuto concepire.
Il loro capo, Colón, si presentò con gesti amichevoli, una maschera sottile su un volto affamato. Portava con sé oggetti luccicanti: gemme di vetro che riflettevano un arcobaleno ingannevole, campanelli che tintinnavano con una melodia che presto sarebbe diventata un pianto, stoffe dai colori vividi che nascondevano il tessuto della distruzione. Noi, il popolo di Arawak, li accogliemmo con la nostra cieca, sacra ospitalità. Offrimmo loro la linfa della nostra terra, la dolcezza delle nostre acque, l'oro che per noi era solo un frammento del sole, puro ornamento. Loro ci diedero in cambio le loro "meraviglie", e per un fugace istante, fu uno scambio sublime, ma maledetto. Eravamo curiosi, sì, ma era la curiosità dell'agnello davanti al lupo travestito. Non capivamo che quello che offrivano con una mano, avrebbero strappato con la brutalità di entrambe, strappandoci l'anima stessa.


La violazione incomprensibile: il risveglio dei mostri
Poi l'incubo si dispiegò. Quando Colón si dileguò, lasciò dietro di sé non uomini, ma semi di corruzione a La Navidad, un miserabile avamposto eretto con i resti di una delle loro carcasse galleggianti. Ci sussurrarono promesse di pace, di un'eterna continuazione di questo strano, silenzioso inganno. Ma la maschera, fragile, si frantumò. La loro vera natura eruppe, una realtà più orribile di qualsiasi demone delle nostre leggende.
Noi Taíno siamo un popolo senza veli, la nostra essenza è la lealtà granitica, la nostra parola è il battito del nostro cuore. Siamo ciò che professiamo di essere, e le nostre azioni sono un sentiero dritto, senza deviazioni. Non conoscevamo la macchia dell'inganno, la profondità della doppiezza. Come potevamo comprendere che uomini che ci avevano sorriso e scambiato doni potevano trasfigurarsi in creature così grottesche? Questi individui, che avevamo accolto nel nostro santuario, si tramutarono in belve fameliche. I loro occhi, un tempo curiosi, ora ardevano di una cupidigia demoniaca per il nostro oro. Non onorarono più i nostri doni; li strapparono con violenza, calpestando le nostre piante, saccheggiando i nostri villaggi con un'arroganza che cresceva con ogni respiro.
Ma il culmine dell'orrore fu la loro bestiale violenza verso le nostre donne. Quelle che prima guardavano con un finto stupore, ora le afferrava con una ferocia inaudita. Le nostre sorelle e le nostre figlie, un tempo santuari di purezza e orgoglio, divennero carne offerta alla loro sfrenata, immonda lussuria. Come potevano esseri capaci di tale falsità coesistere con la loro apparente gentilezza iniziale? Il mio cuore, martoriato, non riusciva a contenere il veleno di tale metamorfosi. I lamenti dei cacique vicini giungevano alle mie orecchie, ogni giorno più strazianti, più disperati. Il mio cuore si riempiva di una rabbia che non aveva nome. Non potevo permettere che la nostra innocenza fosse così brutalmente, così irrevocabilmente, infranta.


La vendetta di sangue: il crollo di La Navidad
La mia pazienza si consumò. L'ospitalità si mutò in una furia cieca e implacabile. Radunai i miei guerrieri, le frecce intrise di una determinazione mortale, le macane cariche di una giustizia antica. Il
grido di battaglia che lacerò l'aria e gli alberi non era solo mio, ma un urlo corale, un'eco di ogni Taíno oltraggiato, di ogni spirito della nostra terra che invocava vendetta. La notte calò su La Navidad come un sudario. Li attaccai con la forza devastante di un uragano primordiale. Il fuoco avvolse le loro misere dimore, e le loro grida di terrore si mescolarono al crepitio famelico delle fiamme. Fu un massacro, sì, un necessario bagno di sangue. Fu la nostra risposta disperata all'orrore indicibile che ci avevano inflitto. Credemmo, in quell'attimo fuggente, di aver reciso la testa del serpente, di aver purificato il nostro suolo con il sangue dei profanatori. Ma era solo il lamento iniziale, il primo atto di una tragedia cosmica che avrebbe inghiottito un intero mondo.

L'inganno fino all'anima: le catene di un destino infausto
Colón tornò, e questa volta portava una flotta intera, un'armata, una marea di uomini e di armi che copriva l'orizzonte. Sapeva chi aveva osato sfidare il suo inarrestabile delirio di conquista. Io ero
l'ostacolo, il fuoco indomito della resistenza. Fu allora che giunse Alonso de Ojeda, l'uomo dalla lingua viscida, un serpente con sembianze umane. Parlò con voce melliflua, offrendo una pace avvelenata e un onore fasullo. Mi promise un dono straordinario: delle "manillas" luccicanti, più preziose dell'oro stesso, un simbolo che avrebbe consacrato il mio potere agli occhi di tutti. La mia diffidenza era forte, ma la loro astuzia era un abisso insondabile. Mi attirò lontano dai miei fedeli guerrieri, in un luogo solitario, dove il tradimento poteva fiorire indisturbato. Mi fece montare su uno dei loro cavalli, una bestia maestosa e sconosciuta, e mi pose quelle "manillas" ai polsi e al collo. Brillavano al sole, ma la loro freddezza era il presagio gelido della morte.
Erano catene, non gioielli.
In quel momento, l'inganno si rivelò in tutta la sua brutale, spietata verità. Fui legato, impotente, l'anima avvolta in un terrore che non era mio, ma del destino del mio popolo. I miei uomini rimasero a guardare, le spade spuntate contro di loro, la disperazione nei loro occhi. Fui trascinato via, prigioniero, la dignità
calpestata, il cuore una brace ardente.
Mi gettarono nelle profondità di una delle loro grandi navi, una tomba galleggiante che mi strappava via dalla mia terra, dalla mia gente. Volevano esibirmi, la mia sconfitta come trofeo nella loro lontana,
barbara terra. Ma il mare, antico e saggio, una volta ancora ebbe pietà. Durante il viaggio, non so come, forse in una tempesta che era il pianto degli spiriti, o in un'improvvisa, furiosa scossa delle acque, la nave cedette. Non arrivai mai alla loro riva. Il mio corpo fu avvolto dalle fredde, oscure acque dell'oceano, un riposo eterno che mi liberò dalle catene, ma non dalla memoria del tradimento. Sono Caonabó. La mia morte in quelle acque non fu solo la fine di un uomo, ma l'inizio della desolazione, la fine irrevocabile di un mondo intero, un mondo di pace e ingenuità, inghiottito dall'ombra delle grandi
navi e dalla sete insaziabile di un popolo venuto da lontano. Il mio spirito, tuttavia, veglia ancora su Hispaniola, un monito eterno contro la tirannia e un richiamo disperato alla libertà.


Chi era Caonabó: il cacique ribelle di Hispaniola
Caonabó fu un potente cacique (capo o sovrano) del caciccato di Maguana, uno dei cinque grandi regni in cui era divisa l'isola di Hispaniola (oggi condivisa tra Repubblica Dominicana e Haiti) al momento dell'arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492. Era una figura di spicco tra i Taíno, il popolo indigeno predominante delle Grandi Antille.
A differenza di altri cacique Taíno, che inizialmente si mostrarono più concilianti, Caonabó si distinse per la sua feroce opposizione all'insediamento spagnolo. Non era originario di Hispaniola, ma delle Lucayas (l'attuale arcipelago delle Bahamas), e si era guadagnato il suo ruolo e il suo potere grazie alle sue abilità di guerriero e leader. Era sposato con la celebre cacique Anacaona, regina del caciccato di
Jaragua, rafforzando così la sua influenza.

Antefatti: l'Arrivo degli stranieri e la loro incomprensibile metamorfosi

Gli antefatti della resistenza di Caonabó affondano le radici nel primo contatto tra i Taíno e gli europei.
1. L'accoglienza iniziale (e ingenua): quando Cristoforo Colombo arrivò per la prima volta su Hispaniola nel dicembre del 1492, lui e i suoi uomini furono accolti con curiosità e, soprattutto, con la generosa ospitalità che era una caratteristica intrinseca della cultura Taíno. I Taíno erano un popolo pacifico e diretto, le cui parole e azioni corrispondevano sempre alle loro intenzioni. Non conoscevano l'inganno o la doppiezza. Rimasero affascinati dalle grandi navi, dagli strani vestiti e dagli oggetti luccicanti portati dagli spagnoli (perline di vetro, campanelli), che scambiarono volentieri con il loro oro, considerato un semplice ornamento. Inizialmente, la percezione era quella di ospiti misteriosi, forse esseri superiori, venuti da un mondo sconosciuto.
2. La costruzione di La Navidad: dopo il naufragio della sua nave ammiraglia, la Santa María, Colombo decise di costruire un forte con i suoi resti: La Navidad, il primo insediamento europeo nel Nuovo Mondo. Qui lasciò circa 39 uomini con l'ordine di mantenere buoni rapporti con gli indigeni.
3. La Trasformazione Incomprensibile degli Spagnoli: fu durante l'assenza di Colombo, tornato in Spagna, che la situazione precipitò. Gli uomini rimasti a La Navidad si rivelarono l'esatto contrario degli "ospiti" amichevoli. La loro vera natura emerse, brutale e incomprensibile per i Taíno. Questi uomini, accecati dalla febbre dell'oro e dalla lussuria, iniziarono a:
• Saccheggiare i villaggi circostanti, prendendo con la forza cibo e risorse.
• Pretendere oro dagli indigeni, con minacce e violenza.
• Violentare le donne Taíno, un atto di profonda profanazione e disonore in una società che valorizzava l'armonia e il rispetto.
• Mostrare un'arroganza e una crudeltà che i Taíno, con la loro mentalità lineare e onesta, non potevano concepire. Come potevano esseri che si erano presentati con un sorriso trasformarsi in tali mostri? Questa incoerenza tra parole e azioni degli spagnoli scioccò profondamente Caonabó e il suo popolo.

Fatti principali: la resistenza e la tragedia
Di fronte a questa incomprensibile brutalità e alla crescente disperazione dei cacique vicini, Caonabó prese una decisione drastica.
1. L'Attacco a La Navidad (1493): incapace di tollerare gli abusi e la profanazione della sua terra e del suo popolo, Caonabó radunò i suoi guerrieri e, con un'azione decisa e sanguinosa, distrusse La Navidad, uccidendo tutti gli spagnoli rimasti. Fu il primo grande atto di resistenza armata indigena contro gli europei nel Nuovo Mondo. Per Caonabó, era un atto di giustizia e difesa della sua gente.
2. Il Ritorno di Colombo e la Ricerca di Vendetta: quando Colombo tornò ad Hispaniola nel suo secondo viaggio (fine 1493), trovò La Navidad distrutta. Ben presto apprese che Caonabó era il responsabile. La sua presenza, il suo spirito indomito e la sua capacità di radunare altri cacique rendevano Caonabó una minaccia diretta al progetto coloniale spagnolo.

3. La Cattura di Caonabó (1494): per neutralizzare questa minaccia, Alonso de Ojeda, uno dei più astuti e spietati capitani di Colombo, escogitò un inganno. Convocò Caonabó per un incontro, promettendogli doni e onori speciali da parte del re e della regina di Spagna, inclusi "manillas" (braccialetti) luccicanti, che in realtà erano manette. Approfittando dell'ingenuità di Caonabó riguardo alle vere intenzioni e alla natura delle loro usanze, Ojeda lo convinse a montare a cavallo (un animale sconosciuto ai Taíno) e, una volta isolato dai suoi guerrieri e intrappolato dalle "manillas", lo fece prigioniero. Fu un atto di tradimento puro, in netto contrasto con l'onestà Taíno.
4. La Morte in Mare: Caonabó fu incatenato e imbarcato su una nave diretta in Spagna, dove sarebbe stato esibito come un trofeo della conquista. Tuttavia, non arrivò mai a destinazione. Morì durante il viaggio, probabilmente a causa di un naufragio o delle dure condizioni di prigionia, e il suo corpo fu gettato in mare.

I comportamenti e il loro contesto culturale
Il comportamento di Caonabó e la sua reazione agli spagnoli vanno compresi nel contesto della cultura Taíno:
• Ospitalità e Linearità: i Taíno erano un popolo intrinsecamente ospitale, basato su un codice morale di onestà e fiducia. Le loro interazioni erano dirette: se ti accoglievano come amico, agivano da amico. Non c'era spazio per la dissimulazione o il sotterfugio.
• Profonda Connessione con la Terra e la Comunità: la terra non era una proprietà, ma un'entità sacra da rispettare. La violenza contro il loro popolo, in particolare le donne (che detenevano un ruolo importante nella società Taíno), era una profanazione che richiedeva una risposta decisa.
• Ruolo del Cacique: un cacique come Caonabó aveva il dovere di proteggere il suo popolo, la sua terra e la sua cultura. La sua resistenza non era un atto di aggressione, ma di legittima difesa di fronte a un'aggressione percepita come ingiustificabile e incomprensibile.
• Incapacità di Comprendere la Doppiezza: l'aspetto più tragico fu l'incapacità di Caonabó e dei
Taíno di comprendere la doppiezza e la perfidia spagnola. Per loro, un accordo era un accordo, un gesto amichevole era sincero. Questa ingenuità culturale li rese vulnerabili all'inganno e al tradimento, culminato nella cattura di Caonabó.
La storia di Caonabó è quella di un leader che si scontrò con una forza incomprensibile e spietata. La sua morte in mare simboleggia non solo la fine di un individuo, ma l'inizio della distruzione di un intero mondo, quello Taíno, che fu travolto dalla conquista europea.

* Board Member, SRSN (Roman Society of Natural Science)

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