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Pubblicati su Nature Communications i risultati di un progetto di ricerca coordinato dall’Università di Pisa


L’elettronica del futuro prende forma grazie a un progetto di ricerca condotto dall’Università di Pisa insieme all’Università di Manchester, all’IIT e alla TUW di Vienna: per la prima volta è stato infatti stampato su carta un transistor utilizzando materiali bidimensionali come il Solfuro di Molibdeno, attraverso un processo basato su stampa a getto di inchiostro. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications nell’articolo “Low-voltage 2D materials-based printed field-effect transistors for integrated digital and analog electronics on paper”.


Comincia la campagna sperimentale tra reale e virtuale del progetto sviluppato in collaborazione fra il Dipartimento di Ingegneria astronautica, elettrica ed energetica e l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Sabato 11 luglio la presentazione in livestream.
Un orto hi-tech per coltivare micro-verdure sulla luna e in ambienti estremi come quelli polari, allestito all’interno di una speciale ‘serra igloo’ progettata per resistere a temperature molto basse. Ma anche missioni spaziali simulate grazie a tecniche avanzate di realtà virtuale immersiva. È la sfida di V-GELM (Virtual Greenhouse Experimental Lunar Module) il progetto sperimentale che prenderà il via da domani 10 luglio fino al 19 luglio nel Centro Ricerche Casaccia con l’obiettivo di sviluppare un modulo di coltivazione lunare abbinando tecniche di coltivazione idroponica innovative a esperimenti virtuali per il supporto alla vita degli astronauti nelle future missioni di lungo periodo. Il progetto verrà realizzato da un team di ricercatori ENEA e di studenti del Centro Interdipartimentale Territorio Edilizia Restauro Ambiente (CITERA) e delle Università Sapienza di Roma e della Tuscia e sarà presentato in diretta streaming sabato 11 luglio (ore 11-12,30).


L’utilizzo di velivoli senza pilota è una delle principali sfide degli ultimi decenni nel settore aerospaziale, con un numero crescente di applicazioni in ambito militare e civile. Per garantire il funzionamento efficiente e sicuro di questi sistemi, lo sviluppo di un affidabile sistema di monitoraggio strutturale è un passaggio obbligato. Capofila del progetto europeo SAMAS – SHM (Application to Remotely Piloted Aircraft Systems– Structural Health Monitoring), il Politecnico di Milano ha progettato, implementato e testato un sistema di monitoraggio strutturale real-time che consente di prevedere i carichi di volo e identificare in tempo reale impatti sull'aeromobile per poter stimare immediatamente eventuali danni.


Aerei senza pilota: opportunità e criticità
I velivoli a pilotaggio remoto (RPAS – Remotely Piloted Aircraft Systems) sono utilizzati in operazioni di difesa in spazi aerei segregati, nonché in missioni civili di sicurezza e di carattere scientifico. In futuro l'utilizzo di questi sistemi si estenderà a diversi campi di applicazione, come l'agricoltura, e a spazi non segregati, aumentando così la necessità di piattaforme efficienti, affidabili ed economiche. Tuttavia, l'assenza del pilota a bordo pone alcune sfide: l’impatto con uccelli o grandine, impatti ad alta velocità e incidenti durante le fasi di rullaggio o di atterraggio sono condizioni che generalmente vengono valutate dall'equipaggio e che in un velivolo autonomo devono essere identificate attraverso un sistema di rilevamento intelligente.

Il progetto
SAMAS - SHM (2017-2020) è un progetto triennale dell'Agenzia Europea per la Difesa incentrato sulla diagnosi e la prognosi di strutture in materiale composito soggette a carichi di volo e sovraccarichi
dovuti a impatti a bassa o alta velocità. Il Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano è coordinatore del progetto per la sua consolidata esperienza nella ricerca sul monitoraggio strutturale e sulla previsione di danni da impatto balistico. Il consorzio SAMAS comprende anche l'azienda italiana Leonardo S.p.A. e due enti polacchi, il centro di ricerca Air Force Institute
of Technology e il centro di manutenzione aeronautica Military Air Works 1.
“Il progetto, iniziato nel 2017, si poneva due obiettivi principali”, spiega il responsabile scientifico Marco Giglio, Professore Ordinario di Progettazione Meccanica e Costruzione di Macchine del Politecnico. “Il primo: la realizzazione di un sistema di monitoraggio del carico,  composto da nodi di sensori reali e virtuali, capace di combinare in un quadro statistico unico e coerente le conoscenze da simulazione numerica della struttura e i dati acquisiti on-line a bordo velivolo. Il secondo, lo sviluppo di un sistema di monitoraggio degli impatti in grado di rilevare eventuali urti, localizzarli e quantificarne la forza per poter stimare l'insorgenza di danni su un componente dell'aeromobile”.

I risultati
Il sistema di monitoraggio sviluppato e implementato dal team di ricerca guidato dal professor Giglio riesce a rispondere a entrambe le esigenze. “Il sistema è stato testato qualche mese fa durante test di volo per il load monitoring. Per il monitoraggio degli impatti abbiamo eseguito prove a terra, in un ambiente di laboratorio, su un componente RPAS su scala reale, a fine giugno”, prosegue Giglio. “Entrambi i dimostratori tecnologici hanno dato i risultati sperati e hanno evidenziato l'affidabilità del sistema. Con quest'ultimo test svolto a fine giugno, il progetto giunge al termine della sua fase di ricerca. Abbiamo raggiunto un livello di maturità tecnologica tale da consentire al consorzio di dedicare l'ultimo semestre alle applicazioni industriali dei risultati ottenuti. Il sistema di monitoraggio che abbiamo realizzato porterà a veicoli autonomi più sicuri, efficienti ed efficaci”.


Sviluppate in laboratorio nanoparticelle d’oro in grado di contrastare la morte cellulare dei neuroni esposti a sovraeccitamento.


Lo studio, pubblicato sulla rivista ACS Nano della American Chemical Society, è il risultato di una collaborazione internazionale coordinata da Roberto Fiammengo, ricercatore del Centro di Nanotecnologie Biomolecolari dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Lecce. Il team internazionale vede coinvolti anche ricercatori dell’Università di Genova, Imperial College, King's College di Londra, del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e del Max Planck Institute for Medical Research di Heidelberg.
L'eccessiva stimolazione dei neuroni da parte del neurotrasmettitore glutammato, normalmente coinvolto nella comunicazione eccitatoria tra neuroni, può danneggiare le cellule nervose e causarne la degenerazione. Questo fenomeno, conosciuto con il termine di eccitotossicità, è frequente in svariate patologie neuroinfiammatorie e neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer e la corea di Huntington, ma anche in caso di epilessia, trauma cerebrale e ictus.


Uno studio congiunto dell’Università di Pisa con Università di Milano Bicocca dimostra la possibilità di costruire dispositivi termoelettrici all’avanguardia con nanostrutture in silicio, in grado di sfruttare su larga scala sorgenti di calore a temperature basse, come l’energia geotermica o addirittura il calore prodotto dal corpo, per generare energia elettrica


Nuovi dispositivi termoelettrici nanostrutturati basati su silicio permetteranno la conversione diretta del calore in elettricità a basso costo e ad alta resa. Lo studio, dal titolo “High power thermoelectric generator based on vertical silicon nanowires” pubblicato sulla rivista “NanoLetters” (autori: S. Elyamny, E. Dimaggio, S. Magagna, D. Narducci, G. Pennelli, DOI: 10.1021/acs.nanolett.0c00227), è frutto di una collaborazione tra il laboratorio di Nanotecnologie del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e l’Università di Milano Bicocca, e dimostra la possibilità di generare potenze elettriche molto elevate su differenze di temperatura di meno di 20°C .

 


Tecnologie antighiaccio efficaci e sostenibili da applicarsi nei settori dell'aeronautica e dell'automobilistica. Algoritmi in grado di combinare dati genomici su larga scala per ricostruire le mutazioni del Coronavirus nel corso della sua diffusione pandemica. Modelli per definire le caratteristiche e le modalità di circolazione dell'acqua a 15-20 chilometri nella crosta terrestre.

Sono gli obiettivi di “Surfice”, “Alpaca” e “Fluidnet”, i tre progetti di ricerca dell'Università di Milano-Bicocca – in partnership con altri atenei, imprese ed enti europei – che hanno ottenuto finanziamenti per oltre 1 milione di euro vincendo il bando MSCA - Innovative training networks del Programma quadro europeo per la ricerca e l'innovazione Horizon 2020. Il bando si era chiuso lo scorso 14 gennaio. A fine maggio i risultati sono stati trasmessi ai candidati. In un caso (“Surfice”) Milano-Bicocca è l'ente coordinatore del progetto, negli altri due figura come partner. Con 23 proposte presentate e 3 progetti selezionati, l'Ateneo milanese ha riscontrato un tasso di successo del 13 per cento, superiore alla media europea (10 per cento, pari a 147 ricerche finanziate su 1.503 presentate e valutate).

Uno studio, frutto della collaborazione tra l’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Cnr e l’Università di Pisa, ha evidenziato come il “machine learning”, che utilizza gli algoritmi per l’analisi delle immagini cliniche, può essere utilizzato anche per modificarle, creando i cosiddetti “attacchi avversi”, in grado di ingannare gli stessi sistemi di analisi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista European Journal of Nuclear Medicine and Molecular Imaging del gruppo Springer Nature

Un articolo, pubblicato sulla rivista European Journal of Nuclear Medicine and Molecular Imaging del gruppo Springer Nature da Andrea Barucci dell’Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifac) e dal radiologo dell’Università di Pisa Emanuele Neri, analizza attraverso lo strumento del machine learning[1] la possibilità di modificare le immagini radiologiche, pilotando l’esito di una diagnosi. Un rischio che solo lo studio dell’Intelligenza artificiale (Ai) può consentire di fronteggiare, sventando errori o azioni compiute in malafede.

 

La ricercatrice Carmen Giordano riceve altri 2 grant, pari ad un valore di € 280.000 € per i suoi studi sull’asse microbiota-intestino-cervello.

Link per scaricare immagini: https://we.tl/t-V18xsRSCqU

Si chiamano DIANA e PEGASO, nomi mitologici entrambi “figli” di MINERVA (ERC 2016), i due nuovi progetti finanziati rispettivamente dal recente bando Proof-of Concept dell’ERC (European Research Council) e dal bando italiano MIUR FARE, dedicato ai vincitori di progetti ERC.

I due progetti permetteranno a Carmen Giordano, professore associato presso il Politecnico di Milano, di approfondire ulteriormente l’insieme di connessioni che legano la flora batterica (microbiota) intestinale ed il funzionamento del nostro cervello, e di sviluppare un innovativo dispositivo tecnologico multiorgano che studierà nuove strategie terapeutiche per patologie a carico del cervello, consentendo lo sviluppo di nuovi farmaci in modo più mirato. Nei prossimi decenni si prevede un notevole incremento nel numero di pazienti affetti da patologie cerebrali come la malattia di Alzheimer o il morbo di Parkinson. Un punto critico è che lo sviluppo di nuovi farmaci richiede un processo che dura globalmente 10-15 anni ed investimenti pari a circa 1-3 miliardi di euro a fronte di un altissimo tasso di fallimento, che è oltre il 95% per la sola malattia di Alzheimer.

 

 


Un rivestimento applicabile su qualsiasi superficie con proprietà antibatteriche, antifungine e, soprattutto, antivirali in grado di annientare il Coronavirus. È questa la tecnologia inventata e brevettata dal gruppo di ricerca della professoressa Monica Ferraris del DISAT (Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia) del Politecnico di Torino.

Grazie ad un rivestimento a base di silice e nanoparticelle di argento a cui il team della professoressa Ferraris lavora da più di 10 anni, si potranno realizzare filtri più sicuri e più affidabili per l’eliminazione di eventuali patogeni esterni, tra cui il virus che provoca il Covid-19, come dimostrato dai test condotti dalla dottoressa Elena Percivalle presso Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia e in fase di pubblicazione sulla rivista Open Ceramics.


L’uso di nanoparticelle reattive per la bonifica di falde contaminate – detta nanoremediation - è una tecnica di bonifica all’avanguardia, che prevede l’iniezione del nanomateriale, in forma di sospensione acquosa, direttamente nella zona contaminata da trattare per eliminare solventi e altri agenti contaminanti.

L’osservazione alla scala microscopica delle interazioni tra nanomateriali e solventi alla sorgente di contaminazione è al centro di un articolo pubblicato sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Sciences, organo ufficiale della United States National Academy of Sciences, frutto della collaborazione tra Teesside University (Regno Unito), Universidade Federal do Paraná (Brasile), Brazilian Center for Research in Energy and Materials (Brasile) e Politecnico di Torino. Per l’Ateneo ha contribuito allo studio la professoressa Tiziana Tosco, docentedel Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture nel gruppo di ricerca di Ingegneria degli Acquiferi (www.polito.it/groundwater), che svolge da anni attività di ricerca e trasferimento tecnologico nel campo della nanoremediation.

 

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