“Queste particelle sono impiegate nel processo di deacidificazione, con il quale si cura una delle principali malattie del legno d’epoca proveniente da relitti marini e fluviali. L’acidificazione del legno, chiamata anche cancro del legno è un processo che ha origine nelle componenti metalliche di una struttura in legno, in questo caso le viti presenti nella barca. Queste, attraverso una serie di fenomeni chimici, si trasformano in sistemi molto acidi che attaccano, disgregano e distruggono le componenti legnose”, spiega Claudia Mondelli del Cnr-Iom. “Finora la produzione di nanoparticelle di idrossido di magnesio e di calcio prevede l’impiego di processi multi-step, lunghi e costosi. L’uso di alcol come solvente in cui sospendere le nanoparticelle, ha reso proibitiva l’applicazione di questo metodo su campioni di grandi dimensioni. Immaginare infatti vasche sufficientemente grandi per l’immersione di una barca, piene di alcol, basta a capire la non sostenibilità economica ed ecologica del processo”, conclude Mondelli.
Tuttavia, il gruppo coordinato da Giuliana Taglieri dell’Università dell’Aquila ha brevettato un processo innovativo per la sintesi in grande quantità delle nanoparticelle in oggetto non in alcol, ma in acqua, rendendo l’intero processo molto più sicuro, ecologico e economico.
Ecco dunque che si aprono nuove possibilità. “Nel nostro studio ci siamo procurati dei campioni della barca galloromana. Abbiamo testato i campioni sia in presenza che in assenza di precursori acidi, e abbiamo dunque usato le nanoparticelle non solo in funzione curativa, per deacidificare la parte malata, ma anche in funzione preventiva, per conservare le parti ancora sane. Abbiamo dunque applicato le particelle ai campioni sani e li abbiamo poi sottoposti a un processo di acidificazione indotto, verificando l’effetto del trattamento: il legno è rimasto sano proprio grazie alle particelle basiche che gli avevamo fornito”, spiega Taglieri.
Ora si può passare alla fase successiva, in cui il processo verrà testato su preziosi campioni di dimensioni maggiori, che verranno trattati in vasche più grandi. A seguire la sperimentazione dovrebbe portare all’uso definitivo di queste nuove nanoparticelle per la cura degli interi relitti di navi antiche. La nave oggetto della ricerca, la Lyon Saint George 4, è stata rinvenuta in un lago vicino Lione nel 2003 e conservata in uno stagno fino al 2014. È datata al II sec d.C., e lunga 17 metri. Oggi appartiene al Museo Lugdunum ed è attualmente nei locali di ARC Nucleart a Grenoble per il suo consolidamento e restauro. Questa nave, come altre imbarcazioni d’epoca, ci racconta una parte della storia dell’uomo, per questo la ricerca di tecnologie adatte alla conservazione dei beni culturali costituisce, oltre a un risultato scientificamente importante, anche un elemento dall’innegabile valore storico e antropologico.