
Astrofisica (61)
Le tane fossili indicano dove cercare la vita su Marte
13 Ott 2021 Scritto da Università Statale di Milano
Uno studio congiunto dell’Università di Genova in collaborazione con l’Università Statale di Milano e il Naturtejo UNESCO Global Geopark/Istituto D. Luiz ha scoperto che su Marte ci potrebbero essere tane e piste lasciate dagli antichi abitanti del Pianeta Rosso. Lo studio, pubblicato su PeerJ, Fornisce strumenti di pianificazione utili per le prossime analisi condotte dal rover Perseverance, e per le future missioni in cui verranno raccolti campioni di rocce marziane.
Su Marte, tutt’attorno al Cratere Belva, ci potrebbero essere tane e piste lasciate dagli antichi abitanti del Pianeta Rosso. Questa conclusione rivoluzionaria è stata raggiunta in un nuovo studio condotto da un team multidisciplinare di scienziati guidati dal paleontologo Andrea Baucon (Università di Genova) in collaborazione con Fabrizio Felletti (Università degli Studi di Milano), Carlos Neto de Carvalho (Naturtejo UNESCO Global Geopark/Istituto D. Luiz, Portogallo), Antonino Briguglio (Università di Genova), Michele Piazza (Università di Genova). Lo studio è stato pubblicato sul numero di settembre della rivista PeerJ. Lo studio combina tane fossili (icnofossili) provenienti da 18 siti paleontologici terrestri e sofisticati modelli al computer per rispondere ad una delle domande più fondamentali della scienza: dove trovare (eventuale) vita su Marte?
Il primo sorvolo di Mercurio della missione BepiColombo
01 Ott 2021 Scritto da Università di Roma La Sapienza
Il 2 ottobre all’1.35 ora italiana la sonda spaziale passerà a 200 km dalla superficie del pianeta. A bordo un esperimento, il Mercury Orbiter Radioscience Experiment (MORE), sviluppato dal team guidato da Luciano Iess della Sapienza, che permetterà di determinare la gravità e l’orbita del corpo celeste più vicino al sole
La sonda spaziale BepiColombo, lanciata il 20 ottobre 2018 dal Centro spaziale di Kourou nella Guyana francese, è in viaggio verso Mercurio, la sua destinazione finale. Il primo dei sei sorvoli del pianeta più vicino al Sole avverrà il 2 ottobre 2021 all’1.35 ora italiana (23.15 del primo ottobre, ora di Greenwich), quando la sonda passerà a 200 km dalla superficie.
Scoperte due nuove galassie formatesi all’alba dell’universo nascoste dietro la polvere interstellare
24 Set 2021 Scritto da Università di Roma La Sapienza
L’attuale censimento della formazione e della crescita delle galassie dopo il Big Bang è ancora incompleto. Lo svela un team di ricerca internazionale, che in Italia coinvolge cosmologi della Sapienza e della Scuola Normale Superiore di Pisa. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature
L’universo primordiale è probabilmente molto più ricco di quanto sembri. La polvere interstellare potrebbe celare intere popolazioni di galassie finora sconosciute. È di queste settimane la scoperta ad opera di un team di ricerca internazionale, che in Italia vede coinvolte la Sapienza e la Scuola Normale Superiore di Pisa, di due galassie antichissime, risalenti a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando l’Universo aveva raggiunto poco meno dell’8% della sua età.
Quegli scontri e fusioni all'alba dell'universo che hanno aiutato le galassie a crescere
22 Set 2021 Scritto da Università di Padova
Un team internazionale di astronomi, coordinato da Michael Romano, dottorando presso l’Università degli Studi di Padova e associato all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha scoperto che circa il 40% delle galassie nell’Universo primordiale si trova in sistemi in fase di fusione.
Viene così confermato lo scenario secondo cui, nelle prime fasi della loro evoluzione, le galassie hanno accresciuto in modo significativo la loro massa fondendosi tra loro Tra gli eventi più spettacolari che si possono osservare nell'Universo locale ci sono sicuramente gli “scontri tra galassie” (galactic mergers, in gergo tecnico): questi avvengono quando due o più galassie si avvicinano a tal punto da iniziare a spiraleggiare l'una sull'altra a causa della gravità, fino a fondersi in un'unica galassia più grande. Se le due galassie hanno più o meno lo stesso numero di stelle (quindi la stessa massa stellare), la galassia risultante avrà circa il doppio della massa di quelle individuali: questo infatti è il meccanismo più veloce con cui le galassie possono crescere.
Tuttavia, solo l’1% delle galassie nell’Universo locale sono osservate nell’atto di fondersi: al giorno d’oggi le galassie crescono prevalentemente perché accrescono gas freddo trasformandolo in stelle (il cosiddetto meccanismo di “formazione stellare”).
Alcune stelle nascondono un segreto per invecchiare più lentamente
08 Set 2021 Scritto da Università degli studi di Bologna
Un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha mostrato per la prima volta che alcune Nane Bianche sono in grado di trattenere un sottilissimo strato di idrogeno che consente loro di continuare a produrre energia, rallentando così la fase finale della loro esistenza.
Non tutte le stelle invecchiano allo stesso modo: alcune, nella fase finale della loro vita, conservano una piccola riserva di energia che permette loro di apparire più giovani. Lo ha scoperto un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) confrontando la popolazione di Nane Bianche in due sistemi stellari gemelli, grazie ad osservazioni ottenute con il telescopio spaziale Hubble. Quello di “Nana Bianca” è lo stadio finale a cui va incontro la stragrande maggioranza delle stelle nell’Universo (circa il 98%), incluso il nostro Sole. In questa fase, resta solo il nucleo “nudo” della stella che, dopo aver perso gli strati esterni, non è più in grado di produrre alcuna forma di energia e si spegne lentamente, con un progressivo calo sia della luminosità che della temperatura. Fino ad oggi si era sempre ritenuto che tutte le Nane Bianche invecchiassero allo stesso modo e con la stessa velocità. Il nuovo studio – pubblicato su Nature Astronomy – mostra invece per la prima volta che alcune Nane Bianche invecchiano più lentamente di altre perché in grado di trattenere un sottilissimo strato di idrogeno che consente loro di continuare a produrre energia attraverso reazioni termonucleari.
La NASA sceglie VERITAS: la Sapienza su Venere
04 Giu 2021 Scritto da Università di Roma La Sapienza
La missione spaziale selezionata dalla Nasa per l’esplorazione di Venere vede coinvolto in maniera determinante il gruppo di ricerca della Sapienza guidato da Luciano Iess. VERITAS dovrà rispondere a molte domande sull’evoluzione di questo pianeta ancora misterioso che, da un passato molto simile a quello della Terra, è diventato uno dei luoghi più inospitali del sistema solare
La missione spaziale VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, INSAR, Topography and Spectroscopy) a cui la Sapienza partecipa con un contributo fondamentale, è risultata vincitrice nella selezione delle missioni planetarie della Nasa. Lo ha comunicato la Nasa stessa il 2 giugno scorso nell’ambito della selezione delle prossime missioni di classe Discovery da 500 milioni di dollari.
VERITAS sarà lanciata tra il 2026 e il 2028 e ospiterà a bordo una strumentazione molto sofisticata finanziata dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) a cui ha contribuito il gruppo di ricerca guidato da Luciano Iess, composto da giovani ricercatori della Sapienza.
Cosmologia: la “costante di Hubble” non sarebbe costante
26 Mag 2021 Scritto da Università di Roma La Sapienza
La scoperta di un team di ricercatori della Sapienza, dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e dell’Università di Pisa. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal.
La costante di Hubble, un parametro cosmologico fondamentale che serve per misurare il tasso di espansione dell’universo, in realtà secondo gli scienziati non sarebbe costante. La scoperta arriva da una nuova ricerca pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal e condotta da un team internazionale composto da ricercatori della Sapienza, dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), delle università di Pisa, Salerno e di Michigan, coordinati dal National Astronomical Observatory in Giappone.
Alle origini della Via Lattea: età e provenienza delle sue stelle più antiche
18 Mag 2021 Scritto da Università di Bologna
Utilizzando il metodo dell’asterosismologia, un gruppo internazionale di studiosi è riuscito a determinare con grande precisione l’età di un centinaio di stelle giganti rosse, alcune delle quali sono originarie di GaiaEnceladus, una galassia che venne inglobata nella Via Lattea circa 10 miliardi di anni fa.
Circa 10 miliardi di anni fa, una galassia nana, conosciuta come Gaia-Enceladus, entrò nel campo gravitazione della Via Lattea finendo per venire inglobata al suo interno. Per capire come questa collisione galattica, avvenuta nelle prime fasi di vita della Via Lattea, ha influenzato l’evoluzione della nostra galassia è però necessario riuscire a ricostruire una cronologia precisa: cosa non certo semplice per un evento avvenuto in un’epoca così remota. Un importante passo avanti in questa direzione arriva ora da un gruppo internazionale di ricerca, che ha coinvolto anche l’Università di Bologna, il quale è riuscito a determinare con una precisione senza precedenti l’età relativa di un centinaio di giganti rosse – una classe di stelle longeve e particolarmente brillanti – presenti nella Via Lattea, alcune delle quali sono però originarie della galassia GaiaEnceladus. Pubblicato su Nature Astronomy, lo studio nasce nell’ambito del progetto Asterochronometry, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) e guidato da Andrea Miglio, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associato INAF.
Nella ricerca pubblicata su Physical Review Letters coinvolta anche l’Università di Pisa.
Nell’agosto del 2019 quando, per la prima volta in assoluto, fu scattata una fotografia di un buco nero i rivelatori Ligo negli Stati Uniti e Virgo a Pisa intercettarono un segnale gravitazionale che etichettarono come GW190814. A produrlo fu la fusione di due oggetti compatti: un buco nero da 23 masse solari e un oggetto due volte e mezzo circa la massa del sole (M⊙) di natura misteriosa. Ma una risposta a questo enigma arriva ora da uno studio appena pubblicato su Physical Review Letters secondo cui si tratterebbe di una stella di quark, cioè una stella compatta composta da una miscela di quark up, down e strange.
“L’oggetto secondario che ha partecipato alla fusione stellare che ha generato GW190814 poteva essere o il buco nero più leggero di sempre o la stella di neutroni più massiccia mai scoperta. E tuttavia entrambe le possibilità presentavano dei problemi e, in particolare, non era chiaro se una stella di neutroni potesse raggiungere una massa così elevata”, spiegano Ignazio Bombaci e Domenico Logoteta del Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa e INFN di Pisa, fra gli autori dello studio.
Alle origini del buco nero supermassiccio della Via Lattea
14 Mag 2021 Scritto da Università di Roma La Sapienza
Uno studio coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza fornisce nuove informazioni sulla formazione del buco nero che si trova al centro dalla nostra Galassia. Lo studio suggerisce che il buco nero super massiccio sia il residuo di un insieme di buchi neri più leggeri che, orbitando, hanno perso energia fino a fondersi. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
Sagittarius A* (Sgr A*) è una intensa sorgente di onde radio molto compatta, situata al centro della Via Lattea, e nello specifico, nella costellazione del Sagittario. Sgr A* è anche il punto della nostra Galassia in cui si trova un oggetto estremamente compatto - 4 milioni di volte più massiccio del Sole - un componente caratteristico dei centri di molte galassie ellittiche e spirali.
L’identificazione di questo “mostro celeste” ha fatto vincere il premio Nobel 2020 per la fisica agli scienziati R. Genzel e A. Ghez, che hanno effettuato misurazioni dei movimenti delle stelle nella regione centrale della Galassia così precise da contribuire a dimostrare l’esistenza di questo oggetto, molto probabilmente assimilabile a un buco nero supermassiccio.