Il primo branco di dinosauri italiano
Sono almeno sette esemplari di Tethyshadros insularis, tra cui “Bruno”, il più grande e completo dinosauro mai rinvenuto in Italia. Hanno 80 milioni di anni, erano più grandi di quanto pensato finora e vivevano in un ecosistema unico sulle sponde di un antico oceano.
C’è un branco di dinosauri in Italia. Numerosi scheletri in perfetto stato di conservazione sono stati ritrovati nel sito di Villaggio del Pescatore, comune di Duino-Aurisina, a pochi chilometri da Trieste. La scoperta è stata riportata da un gruppo internazionale di ricerca coordinato da studiosi dell'Università di Bologna in un articolo pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.
Gli straordinari scheletri venuti alla luce appartengono alla specie Tethyshadros insularis: si tratta di almeno sette esemplari (ma probabilmente sono undici), tra cui in particolare un nuovo dinosauro, soprannominato “Bruno”, che rappresenta il più grande dinosauro mai rinvenuto in Italia.
Nello stesso sito sono stati inoltre ritrovati pesci, coccodrilli, rettili marini e persino piccoli crostacei: tutti elementi che hanno permesso di ricostruire una vivida immagine di questo antico ecosistema senza eguali al mondo. I reperti rinvenuti al Villaggio del Pescatore possono essere oggi ammirati al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, concessi in deposito da parte del Ministero della Cultura. "Per la prima volta abbiamo in Italia un giacimento di dinosauri, in cui non solo troviamo i resti di questi animali, che sembrano appartenere a mondi lontani da noi, ma ne troviamo tanti, insieme agli animali che con loro condividevano quel mondo perduto", dice Federico Fanti, professore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna, che ha coordinato lo studio. "Questo sito eccezionale è un luogo dove dal terreno possiamo, e lo stiamo facendo, estrarre tanti scheletri di dinosauri, uno più spettacolare dell’altro; e questa è la prima volta in cui sappiamo esattamente dove continuare a scavarli".
Sla: identificato un nuovo potenziale bersaglio terapeutico
Un farmaco già in uso per altre patologie ha mostrato effetti neuroprotettivi in uno studiopreclinico sulla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), condotto presso Fondazione Santa Lucia IRCCSdi Roma, in collaborazione con l’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr e grazie ad unfinanziamento di Fondazione AriSLA. Il lavoro è pubblicato su British Journal of Pharmacology.
Uno studio italiano ha individuato un nuovo potenziale bersaglio terapeutico, evidenziando l’efficacia di un farmaco in un modello preclinico di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) nel rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini. La Sla è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compromissione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Una parte rilevante dei pazienti affetti da Sla mostra un dispendio energetico aumentato, ovvero una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Questa alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia.
Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift), ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la Sla possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già in uso per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di Sla dove ha agito ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico.
Covid-19: due lipidi possibili marcatori per la gravità della malattia
I ricercatori dell’Università Statale di Milano, dopo aver osservato una diminuzione dei lipidi nei pazienti ricoverati per Covid-19, identificano 2 lipidi che potrebbero rappresentare dei marcatori candidati per monitorare la progressione e la gravità della malattia. Lo studio pubblicato su Scientific Report.
Da quando COVID-19, la malattia causata dal virus Sars-CoV-2, normalmente conosciuto come Coronavirus, è stata dichiarata pandemica, tutta la comunità scientifica si è mobilitata non solo per individuare una cura all’infezione, ma anche per definire dei possibili marcatori, ovvero molecole che segnano in anticipo la prognosi del paziente. È infatti importante poter predire, già al momento del ricovero, se il paziente deve essere trattato in modo aggressivo oppure può essere soggetto a trattamenti più blandi. Questo studio si è proposto di individuare dei marcatori in grado di predire se il paziente è destinato ad aggravarsi o, in altre parole, in grado di correlarsi con la gravità dell’infezione e con la prognosi.
Due mutazioni genetiche alla base della straordinaria resistenza al freddo dei Fuegini, gli antichi abitanti della Terra del Fuoco
L’analisi dei resti scheletrici e l’analisi genomica dei Fuegini, conservati presso il Museo di Antropologia Giuseppe Sergi della Sapienza, ha mostrato che l’adattamento alle basse temperature di questa popolazione era determinato da due particolari varianti genetiche che determinano una attivazione del grasso bruno. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports da un gruppo di ricercatori dei Dipartimenti di Medicina Sperimentale, Biologia ambientale e di Medicina molecolare dell’Ateneo romano
Nel 1881 Science pubblicava un articolo sulle testimonianze dei viaggi dei primi esploratori nella Terra del Fuoco, incluse quelle di Charles Darwin che nel 1871 aveva descritto gli abitanti dell’estremo sud della Patagonia nel libro The Descent of Man. Uno dei tratti distintivi degli uomini che vivevano in quella terra lontana e inospitale era una incredibile resistenza al freddo, anche a fronte di sistemi di protezione insufficienti. La peculiarità di questi uomini, detti Fuegini, di essere spesso nudi o al massimo coperti da un pezzo di pelle gettato sopra le spalle, colpì infatti i primi viaggiatori europei.