Laserblood, il progetto europeo per la diagnosi precoce del tumore del pancreas

Il progetto, che ha visto la partecipazione del NanoDelivery Lab della Sapienza, insieme con la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, l'Istituto dei Tumori Regina Elena e altri enti internazionali, è stato selezionato dallo European Innovation Council nell’ambito del bando Pathfinder 2023 di Horizon Europe
Il progetto di ricerca Laserblood, presentato per Sapienza da Giulio Caracciolo e Daniela Pozzi, che coordinano il NanoDelivery Lab del Dipartimento di Medicina molecolare, è rientrato tra i 53 progetti Pathfinder selezionati dallo European Innovation Council (EIC) a fronte di quasi 800 domande pervenute.
Bolle di atomi ultrafreddi per studiare il vuoto quantistico e l’universo
Nel laboratorio di atomi ultrafreddi del Pitaevskii Center for Bose-Einstein Condensation di Trento sono stati osservati per la prima volta dei fenomeni che possono far luce sui meccanismi che determinano la stabilità del nostro universo. I risultati, frutto della collaborazione tra l'Istituto nazionale di ottica del Cnr, il Dipartimento di fisica dell'Università di Trento, il Centro Nazionale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare Tifpa e l'Università di Newcastle, sono stati pubblicati sulla rivista Nature Physics
In che tipo di vuoto si trova il nostro universo? Secondo la fisica moderna, l'universo è il risultato dell'interazione tra particelle e campi - tra cui, per esempio, quello elettromagnetico - e potrebbe trovarsi in una configurazione di equilibrio detta di falso vuoto, ovvero uno stato solo in parte “stabile”, caratterizzato da un livello di energia che non corrisponde al minimo assoluto possibile. Questo permette, in linea teorica, la transizione verso livelli di energia più bassi, a causa di fluttuazioni di energia di origine quantistica o termica che porterebbero a “decadere” nello stato veramente stabile a energia minore, detto di vero vuoto.
Nuova indagine di Greenpeace trova microplastiche anche sui più importanti ghiacciai italiani: “A rischio contaminazione corsi d’acqua ed ecosistemi a valle”

Le microplastiche arrivano fin sui giganti di ghiaccio dei Forni e del Miage, due dei più importanti ed estesi ghiacciai dell’arco alpino, tra Lombardia e Valle d’Aosta: le nuove evidenze emergono da campioni raccolti la scorsa estate da Greenpeace Italia e analizzati grazie al supporto del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e del Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile e la Transizione Ecologica (DiSSTE) dell’Università del Piemonte Orientale. I risultati mostrano che la contaminazione interessa l’80% dei campioni prelevati sul Ghiacciaio dei Forni e il 60% di quelli raccolti sul Ghiacciaio del Miage. Tra le microplastiche individuate, ossia tutte le particelle di plastica con dimensioni inferiori a un millimetro, le fibre rappresentano oltre il 70% dell’impronta di contaminazione. Nello specifico, il cellophane è il polimero prevalente (55%), seguito dal polietilene-polipropilene (35%) e dal nylon (10%).
«Le analisi confermano che la contaminazione da microplastiche è ormai ubiquitaria e ampiamente diffusa anche sui ghiacciai italiani», afferma Marco Parolini, docente di ecologia presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. «Questa evidenza risulta particolarmente importante in un periodo storico in cui l’aumento delle temperature globali può determinare il rilascio di inquinanti immobilizzati all’interno dei ghiacciai in fusione, contribuendo a contaminare gli ecosistemi acquatici e terrestri che si trovano a valle».
Cancro al seno e gravidanza: le portatrici di mutazioni BRCA possono avere figli in sicurezza

Diventare madri dopo una diagnosi di cancro al seno dovuto a mutazioni dei geni BRCA: si può ed è sicuro. È quanto emerge da uno studio pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista medica JAMA e presentato allo scorso San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante congresso internazionale sul cancro al seno. I risultati hanno dimostrato che donne, con mutazioni dei geni BRCA e che hanno avuto un tumore della mammella, possono con sicurezza avere gravidanze. Lo studio, coordinato da Matteo Lambertini dell’Università di Genova, ha coinvolto diversi centri nel mondo, tra cui la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.
Nuove applicazioni della terapia con cellule CART T: Bambino Gesù, trattati i primi tre pazienti con malattia autoimmune

2 ragazze italiane e 1 bambino ucraino in completa remissione: «Benefici rilevanti e sostenuti nel tempo». Il presidente Onesti: «Dalla terapia genica risposte concrete a pazienti senza speranza. Una sfida per i nostri sistemi»
2 ragazze italiane e 1 bambino ucraino di 12 anni, fuggito dalla guerra, sono i primi pazienti pediatrici affetti da gravi patologie autoimmuni ad essere stati trattati con cellule CAR-T capaci di mandare in remissione la loro malattia. Si tratta di un’applicazione innovativa della terapia genica basata sulla manipolazione dei linfociti T del paziente, sperimentata per la prima volta in ambito pediatrico su questo tipo di patologie. I risultati del trattamento, eseguito presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, sono stati presentati recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR, e ancora a Rotterdam, in occasione dell’ultimo Congresso europeo di Reumatologia pediatrica.
Nuovi materiali per rivestimenti intelligenti

Composito termocromico a base di perovskite 2D (copyright Advanced Materials 2023)
Uno studio del Cnr e dell’Università del Salento ha portato allo sviluppo di un nuovo materiale con proprietà termocromiche, in grado cioè di variare le proprietà ottiche al variare della temperatura. Lo studio, pubblicato sulla rivista Advanced Materials, rappresenta un importante risultato nel campo dei rivestimenti intelligenti.
Ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Cnr-Nanotec), in collaborazione con colleghi dell’Istituto di cristallografia del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Cnr-Ic) e dell’Università del Salento, hanno sviluppato un nuovo materiale composito con proprietà termocromiche, in grado cioè di variare proprietà ottiche quali colore, trasparenza e riflettanza se soggetto a variazioni di temperatura. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Advanced Materials.
Megalodon: uno studio rivela l’aspetto del gigantesco squalo estinto

Il Megalodon assomigliava ai grandi squali bianchi dei mari di oggi? Da anni gli studiosi si interrogano sull’aspetto dell’enorme squalo estinto vissuto circa 15–3,6 milioni di anni fa, e finalmente la risposta sembra essere giunta. Un nuovo studio scientifico, a cui ha preso parte anche il dottor Alberto Collareta, paleontologo presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, ha dimostrato infatti che il gigantesco squalo - noto con il nome scientifico di Carcharocles megalodon (o Otodus megalodon) - era provvisto di un corpo più slanciato di quanto suggerito dagli studi precedenti.
Un trattamento “chemio-free” per la leucemia acuta linfoblastica Philadelphia-positiva degli adulti

I risultati del follow-up a lungo termine di uno studio italiano del Gruppo GIMEMA coordinato da Robin Foà, della Sapienza Università di Roma, confermano l’efficacia, a oltre quattro anni dalla diagnosi, di una terapia di prima linea basata sull’uso combinato di due farmaci che agiscono in modo mirato sul tumore senza il ricorso a chemioterapia e trapianto. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology.
La leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LAL Ph+) rappresenta il sottogruppo più frequente di questo tipo di tumore del sangue negli adulti, la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età. Sopra i 50 anni può infatti interessare un caso su due. Nel passato era considerata la neoplasia ematologica con il decorso più infausto, in quanto poco rispondente alla chemioterapia. L’unica strategia potenzialmente curativa era legata alla possibilità di effettuare un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, una procedura raramente percorribile per la scarsa sensibilità alla chemioterapia e per l’età avanzata di molti pazienti.
La vegetazione dopo il ritiro dei ghiacciai: prima piante pioniere, poi competitive

L’Università Statale di Milano ha guidato uno studio internazionale - condotto su 46 ghiacciai in fase di ritiro in tutto il mondo - sullo sviluppo della vegetazione dopo il ritiro del ghiacciaio: passata una prima fase in cui solo poche piante pioniere crescono su un suolo povero e instabile, a distanza di 50 anni nuove specie avanzano per sostituire le pioniere. Il lavoro, pubblicato su Nature Plants, rappresenta un modello per comprendere l’evoluzione dei nuovi ecosistemi.
In tutto il mondo, i ghiacciai si stanno ritirando rapidamente. Le aree che si liberano dopo il loro ritiro sono rapidamente colonizzate da una moltitudine di organismi. Tra
questi, le piante sono sicuramente gli organismi più visibili. Dopo la colonizzazione di queste aree, le comunità di piante cambiano nel tempo, in un processo chiamato successione ecologica. Quali meccanismi determinano queste successioni? Negli anni, sono stati proposti due meccanismi: nuove specie possono arrivare senza escludere quelle che erano già presenti (aggiunta), oppure le nuove arrivate possono sostituire le specie già presenti (sostituzione).
Intelligenza Artificiale: verso un futuro più “umano” e sostenibile

Creare dei microprocessori in grado di replicare i sistemi di apprendimento biologico, così da rendere l’Intelligenza Artificiale più flessibile, efficiente e sostenibile anche dal punto di vista ambientale. È questa la sfida lanciata da un gruppo internazionale di ricercatori - coordinato dal Neuromorphic AI Lab (NUAI Lab) della UTSA (University of Texas at San Antonio) - di cui fa parte anche Vincenzo Lomonaco, tra i massimi esperti italiani di Continual Learning, ricercatore presso il Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa e tra gli autori dell’articolo “Design principles for lifelong learning AI accelerators”, da poco uscito sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Electronics.
“La fallibilità dell’Intelligenza Artificiale è ancora troppo alta e questo perché l’AI, così come la conosciamo oggi, si basa su sistemi di apprendimento automatico troppo rigidi, che la rendono incapace di affrontare condizioni nuove, non precedentemente incontrate durante il processo di addestramento – spiega Vincenzo Lomonaco – Di fatto, le facciamo apprendere una grande quantità di informazioni tutte insieme, ma ogni volta che emerge una novità su un determinato tema dobbiamo aggiornare il sistema da zero. Tutto ciò, oltre ad essere poco efficiente, ha anche dei costi altissimi, sia in termini economici che ambientali, visto l’elevato consumo di energia e le conseguenti emissioni di CO2 di questi processi”.
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