Ricercatori dell’Università di Ulm (Germania), dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto Auxologico Italiano presentano un esame del sangue che facilita la diagnosi differenziale della SLA. Il test consente inoltre una previsione del decorso di malattia.

Il contributo scientifico del gruppo del prof. Markus Otto dell’Università di Ulm e del dott. Federico Verde dell’Università di Milano e dell’ Auxologico è apparso sulla rivista scientifica Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry. Milano, 16 ottobre 2018 - Non sono trascorsi molti anni da quando la SLA era circondata dal “mistero”. I medici, i neurologi in particolare, raccontavano di arrivarci per “esclusione”. Ci voleva molta preparazione clinica e molta esperienza. Si arrivava alla diagnosi, escludendo altre malattie neurodegenerative, soprattutto attraverso i sintomi e le disabilità.

Tanto che erano sorti centri specializzati nella diagnosi della SLA. Oggi il quadro della malattia, pur sempre drammatica, sta cambiando. Accanto alle serrate ricerche internazionali sulla genetica della SLA, a cui il gruppo guidato dal prof. Vincenzo Silani sta dando contributi fondamentali, ora si affianca un test, un esame di laboratorio sul sangue del paziente, che consente non solo di diagnosticare la SLA, ma pure di seguirne l’evolvere della malattia. Tutto ciò apre ancor più la strada alla diagnosi precoce e alla futura terapia della SLA. Con circa 8.000 persone colpite a livello federale, informano i ricercatori tedeschi, in Italia almeno 3500 malati e 1000 nuovi casi all’anno, la SLA appartiene alle malattie neurodegenerative rare. Tuttavia questa malattia neurologica fatale è nota ad un più vasto pubblico per effetto di pazienti illustri come il fisico da poco deceduto dopo una lunga sopravvivenza Stephen Hawking e diversi casi tra i calciatori italiani. Nel corso della malattia muoiono le cellule nervose responsabili del comando dei muscoli (motoneuroni).

 

Lo studio del Cnr-Ibcn, Irccs Fondazione S. Lucia, Università di Chieti e di Milano dimostra per la prima volta che la riduzione delle calorie consumate durante lo sviluppo di una neuropatia allevia sensibilmente il dolore cronico sia in animali normali sia in animali con profilo metabolico simile a quello diabetico. I risultati sono pubblicati su Plos One

 

Un periodo limitato di dieta a ridotto apporto calorico è in grado di attivare meccanismi anti-infiammatori, riducendo e prevenendo la cronicizzazione del dolore neuropatico. Ad arrivare a questa conclusione, pubblicata sulla rivista Plos One, un team di ricerca dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) e della Fondazione Santa Lucia (Irccs), in collaborazione con le Università di Chieti e Milano. Lo studio, finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito dei progetti 'Giovani Ricercatori' presso la Fondazione Santa Lucia, apre la strada a nuove strategie terapeutiche non farmacologiche, in alternativa o in supporto alle cure convenzionali.


La scoperta, frutto di uno studio collaborativo tra la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica e l’Università della Tuscia, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Scientific Reports”, potrebbe portare a nuovi test per stimare il rischio individuale di ammalarsi.
Grazie a uno studio condotto presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica, in collaborazione con l’Università della Tuscia di Viterbo, si è scoperto che anche la composizione della flora batterica che si annida nel tessuto delle mammelle potrebbe avere un ruolo nel predisporre certe donne al cancro del seno. In futuro questa conoscenza potrebbe portare alla messa a punto di un test di rischio per questo big killer delle donne.

La scoperta, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, è frutto di una ricerca coordinata dal professor Riccardo Masetti, Direttore del Centro di Senologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Direttore dell’Istituto di semeiotica chirurgica dell’Università Cattolica, e dal professor Nicolò Merendino, Responsabile del laboratorio di ricerca di nutrizione molecolare e cellulare, Università degli Studi della Tuscia, con la collaborazione della ricercatrice Lara Costantini, Università degli Studi della Tuscia, e del dottor Stefano Magno, Responsabile del Servizio di Terapie Integrate del Centro di Senologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma.


Ad ogni età il gioco adatto. Nel nuovo numero di ‘A Scuola di Salute’ i consigli degli esperti del Bambino Gesù. Contatto con mamma e papà, letture e fantasia strumenti irrinunciabili. Il valore del gioco in ospedale.

“Giocare è una cosa seria”. In ogni fase dell’infanzia non è solo svago e divertimento, ma un modo di conoscere il mondo attraverso il corpo, i sensi, l’intelletto. Con l’attività ludica il cervello del bambino si evolve e accresce la propria
complessità. Per questo è necessario proporre il gioco giusto all’età giusta. A cominciare dalla vicinanza con il corpo di mamma e papà, prima palestra per l’allenamento dei sensi del piccolo; puntando molto sulla lettura, fondamentale per il processo di crescita e con un dosaggio oculato di tablet e videogiochi.

Nel nuovo numero di ‘A scuola di salute’, il magazine digitale a cura dell’Istituto Bambino Gesù per la Salute del Bambino e dell’Adolescente diretto dal prof. Alberto G. Ugazio, gli esperti dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede spiegano come funziona il gioco nelle diverse età, con informazioni utili per orientarsi nella scelta di quello più adatto. Una sezione speciale della rivista affronta il tema dello sviluppo dei processi di lettura nell’era digitale attraverso l’intervista
alla neuroscienziata statunitense Maryanne Wolf, una delle maggiori esperte sull’argomento e autrice del libro “Lettore, vieni a casa”.

LE FASI DEL GIOCO
Appena nato, il gioco del bambino passa attraverso il contatto con il corpo dei genitori. Questa forma di relazione favorisce la regolazione delle funzioni vitali, la riduzione dello stress, la comunicazione istintuale con mamma e papà, lo
sviluppo cognitivo e le capacità motorie. Dopo i primi mesi di vita, infatti, gli adulti possono diventare la palestra su cui far giocare il bambino. Arrampicandosi, spingendosi e rotolandosi sul corpo del genitore apprenderà progressivamente nuove capacità di movimento come la posizione seduta, il gattonamento, il porsi in piedi da solo. Dopo i 4-6 mesi i giochi possono essere dedicati anche allo stimolo della sensorialità. In questo periodo gli oggetti della
vita quotidiana sono i più interessanti. I bambino tocca, osserva, annusa, ascolta, assaggia. Attraverso la manipolazione e il contatto impara a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda. E’ il periodo giusto per preparare il “cesto dei
tesori”: un contenitore di stoffa o vimini da riempire con oggetti della quotidianità domestica, di materiali, forme e colori diversi, che incuriosiranno il bambino e stimoleranno lo sviluppo dei sensi e delle sue capacità motorie.
Dai 2 anni di vita il gioco si trasforma e i bambini cominciano a “fare finta di”: è il gioco simbolico, esperienza fondamentale per lo sviluppo cognitivo, sociale ed affettivo. Il bambino esplora il mondo della fantasia, si confronta con un numero infinito di situazioni, avventure, sfide e, in questo modo, allarga il suo campo di azione. Il gioco simbolico si sviluppa partendo dal gioco imitativo: tra i 12 e i 18 mesi i bambini iniziano ad imitare piccole azioni che vedono intorno a loro (cullare, dare da mangiare, dormire, bere). Dai 2 anni passano al cosiddetto gioco parallelo: spesso in presenza di altri bambini ma senza una reale collaborazione, cominciano a creare piccole storie. Dai 3 anni in poi le trame del gioco diventano sempre più lunghe e complesse. I bambini amano travestirsi e diventare i protagonisti delle loro storie, oppure iniziano ad utilizzare pupazzi o personaggi per metterle in scena. In questo periodo giocano a lungo da soli o con altri bambini, creando delle vere relazioni.

 

 

Cosa accadrebbe se il nostro cervello smettesse di produrre la serotonina, ovvero la cosiddetta molecola della felicità? La risposta arriva da uno studio tutto italiano pubblicato su “Scientific Reports”, rivista del gruppo "Nature", che ha mostrato l’esistenza di un legame causale fra la riduzione dei livelli di serotonina nel cervello e l’insorgenza del disturbo bipolare.


Lo studio è stato condotto dal professore Massimo Pasqualetti del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, dal professore Alessandro Usiello dell’Università della Campania e del Ceinge di Napoli e dalla dottoressa Chiara Mazzanti del Fondazione Pisana per la Scienza. La ricerca ha inoltre coinvolto competenze di elettrofisiologia e imaging funzionale delle équipe guidate da Alessandro Gozzi dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Rovereto e da Raffaella Tonini dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. 
“Il nostro studio ha permesso di associare il deficit di serotonina allo sviluppo di sintomi riconducibili alla sindrome maniacale – spiega il professore Massimo Pasqualetti dell’Università di Pisa – infatti abbiamo dimostrato che la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress da ‘insulti’ ambientali provenienti dal mondo esterno, senza di essa il nostro cervello è più attivo e da cui appunto la fase “up” o maniacale che fa da contraltare alla depressione”.
I ricercatori hanno condotto lo studio attraverso una sperimentazione su modelli animali e così hanno visto che i topi a cui veniva inibita la produzione di serotonina mostravano comportamenti, come ad esempio la perdita del senso del rischio, assimilabili a quelli delle persone in fase maniacale.

Il particolare mix che nasce da filiera tutta toscana è stato studiato nell’ambito di un progetto a cui hanno partecipato l’Università di Pisa, l’Azienda Ospedaliera Universitaria A. Meyer come coordinatore e l’Istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana

Latte di asina e olio extra vergine di oliva, dall’unione di queste due eccellenze toscane nasce un alimento gustoso e adatto per la nutrizione dei bambini allergici alle proteine del latte vaccino. L’idea di mettere insieme questi due ingredienti è stata studiata nell’ambito di “L.A.B.A. Pro.V.”, un progetto della Regione Toscana sulla Nutraceutica di cui la professoressa Mina Martini, che studia da anni le proprietà del latte di asina, era responsabile per l’Università di Pisa e al quale hanno partecipato l’Azienda Ospedaliera Universitaria A. Meyer come coordinatore e l’Istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana. Un “mix della salute” tutto toscano quindi composto da olio evo e da latte proveniente dal Complesso agricolo forestale regionale “Bandite di Scarlino”, dove il latte d’asina Amiatina viene prodotto, pastorizzato e confezionato con la supervisione scientifica della professoressa Martini e dei suoi collaboratori. 
“Per i bambini il latte di asina è un buon sostituto in caso di allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) – spiega Mina Martini – e questo sia per le sue proprietà nutritive sia perché risulta gradevole al gusto, diversamente da alcuni sostitutivi”.

 


Lo studio del Bambino Gesù pubblicato su Antioxidant and Redox Signaling

 


L’idrossitirosolo, una sostanza contenuta nell’olio di oliva, migliora lo stress ossidativo, l’insulino resistenza e la steatosi epatica nei bambini obesi e affetti da fegato grasso. Lo dimostra uno studio condotto da medici e ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e pubblicato sulla più importante rivista scientifica del settore, Antioxidant and Redox Signaling.


L'obesità è uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti. L'aumento del numero dei bambini con sovrappeso e obesità nei Paesi industrializzati ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica (NAFLD). Negli ultimi vent'anni infatti la steatosi ha raggiunto proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli diventando la patologia cronica del fegato di più frequente riscontro nel mondo occidentale. In Italia si stima che ne sia affetto circa il 15% dei bambini, ma si arriva fino all'80% tra i bambini obesi. Tra le cause del fegato grasso c’è l’aumento dello stress ossidativo che le cellule subiscono come conseguenza dell'obesità. Per stress ossidativo si intende qualsiasi condizione patologica causata dalla rottura dell'equilibrio fisiologico fra la produzione e l'eliminazione, da parte dei sistemi di difesa antiossidanti, di sostanze chimiche ossidanti. Queste sostanze possono essere misurate nel sangue dei bambini e in questo studio ci si è avvalsi dell’esperienza del dipartimento di chimica biologia e farmacologia dell’Università di Messina. Quello condotto dai medici del Bambino Gesù è il primo trial pediatrico con l'uso dell'idrossitirosolo, un fenolo dell'olio di oliva con elevato potere antiossidante. I fenolisono infatti dei composti chimici presenti in diversi alimenti e bevande (olio, vino, ecc.) capaci di inibire iprocessi ossidanti.

Realizzata per la prima volta la connessione sinaptica tra neuroni tramite un dispositivo elettronico (memristore) sviluppato da polimeri, garantendo funzionalità analoghe alle sinapsi naturali. Viene così abilitata la diretta comunicazione tra neuroni in modo artificiale, aprendo prospettive nelle interfacce brain-computer e nella protesica di nuova generazione. La ricerca, condotta dal Cnr-Imem, è pubblicata su Advanced Materials Technologies

 

Una sinapsi è una struttura biologica che connette due neuroni stabilendo tra essi un flusso di informazioni specifico e unidirezionale. Queste connessioni sono elementi chiave per funzioni neuronali essenziali come l’apprendimento e la memorizzazione che si fondano sul numero di ripetizioni (o prove) e il raggiungimento di varie soglie di tensione.

L’emulazione delle loro proprietà e la realizzazione di interfacce tra cervello e macchine (brain-computer), in grado di acquisire, leggere e stimolare l’attività celebrale naturale, è oggetto di studio intensivo crescente nel panorama delle ricerche internazionali.

Grazie allo studio condotto da Silvia Battistoni, Victor Erokhin e Salvatore Iannotta, l’Istituto dei materiali per l'elettronica ed il magnetismo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imem) ha realizzato dei memristori organici, dispositivi in grado di trattenere una memoria della corrente passata al loro interno, in grado di emulare i comportamenti sinaptici di memorizzazione e apprendimento delle cellule neuronali naturali. Lo studio è stato pubblicato su Advanced Materials Technologies. “I risultati dimostrano l’effettiva interfaccia funzionale ‘neurone-memristore-neurone’, in cui il dispositivo gioca il ruolo di una sinapsi, consentendo la comunicazione tra le due cellule in modo pressoché analogo a quanto avviene in natura con un importante cambio di paradigma rispetto all’approccio consolidato basato su microelettrodi”, spiega Salvatore Iannotta del Cnr-Imem. “Dettagli molto rilevanti della comunicazione interneuronale sono riprodotti, sia dal punto di vista dell’eccitazione reciproca tra i neuroni sia nel dettaglio dell’evoluzione temporale”.


Pensare alla salute del quando si e' gia' adulti puo' essere troppo tardi. Perche' i giochi si fanno prima della nascita, o quantomeno da bambini e adolescenti: essere sedentari prima dei 18 anni si associa a un maggior rischio di malattie cardiovascolari da adulti ma anche nascere da mamme che non hanno prestato attenzione a dieta, movimento e salute durante la gravidanza puo' compromettere il benessere cardiaco futuro.

Cosi' i cardiologi puntano alla prevenzione iper-primaria, dal concepimento ai 18 anni, e in occasione del 79esimo Congresso Nazionale della Societa' Italiana di Cardiologia (SIC), a Roma dal 14 al 17 dicembre, sottolineano che l'esercizio fisico e' il metodo migliore per proteggere il cuore fin da bambini, aderendo alle raccomandazioni delle recenti linee guida statunitensi sull'attivita' fisica secondo cui la "dose" di movimento e' di almeno 3 ore al giorno fra 3 e 5 anni e di almeno 60 minuti quotidiani dai 6 ai 17 anni. Purtroppo, stando alle stime appena il 3% dei bambini e ragazzini raggiunge l'obiettivo, con possibili ripercussioni negative nel lungo termine.

"L'attivita' fisica - spiega Giuseppe Mercuro, Presidente SIC professore ordinario di cardiologia all'Univ. di Cagliari - ha un ruolo importante e in molti casi addirittura superiore alla terapia farmacologica nella prevenzione e trattamento delle malattie cardiovascolari, che in larga parte sono provocate proprio dalla sedentarieta': il 9% delle morti premature e' attribuibile all'inattivita' fisica, un "peso" simile a quello del fumo L'esercizio fisico ha un effetto fortemente benefico sul cuore e sulla salute in generale, praticato in modo regolare riduce fino al 30% la mortalita'; tuttavia l'Italia e' un Paese di pigri e anche i giovanissimi non si discostano dalla media, anzi.

Gli studi scientifici indicano che solo il 30% dei bambini e adolescenti raggiunge nell'arco della settimana una media di 60 minuti di attivita' fisica giornaliera, grazie ai giorni in cui si pratica sport per piu' di un'ora consecutiva; tuttavia, se si va a vedere quanti fanno almeno 60 minuti di esercizio moderato ogni giorno, la percentuale crolla al 3% con i maschi un po' piu' attivi (5,5%) e le femmine molto sedentarie, visto che solo l'1,2% si muove quotidianamente a sufficienza. I bambini con meno di 6 anni - continua Mercuro - sono in una fase di rapido sviluppo e 3 ore di movimento al giorno, di qualsiasi intensita', possono migliorare la crescita e contribuire all'apprendimento di importanti capacita' motorie. Il periodo fra 6 e 17 anni e' altrettanto critico per sviluppare le capacita' motorie ma soprattutto imparare stili di vita sani, da mantenere nell'arco di tutta la vita successiva: per questo e' importante che bambini e adolescenti si impegnino in attivita' intense e che rinforzino muscoli e ossa almeno 3 giorni alla settimana, meglio se un'ora tutti i giorni. Fattori di rischio come l'obesita', l'iperinsulinemia, l'ipertensione, l'aumento dei grassi nel sangue possono instaurarsi anche nell'infanzia e nell'adolescenza, minando la salute cardiovascolare futura: un regolare esercizio e' fondamentale per la prevenzione".

 

Uno studio sull'infezione in piante di barbabietola condotto da Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr di Torino e Università di Cambridge, pubblicato su Nature Communications, ha mostrato le fasi iniziali del trasferimento genico orizzontale tra specie vegetali mediato da un virus

 

I virus sono potenziali vettori per il trasferimento genico orizzontale, cioè il passaggio di materiale genetico tra specie diverse anche geneticamente molto distanti. Da uno studio sull'infezione virale in piante di barbabietola condotto in collaborazione tra l’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ipsp) di Torino e l’Università di Cambridge, pubblicato su Nature Communications, è stata osservata per la prima volta la formazione di DNA ibridi circolari composti da una parte di DNA della pianta ospite ed una parte di DNA virale, mostrando così le fasi iniziali del trasferimento genico orizzontale tra specie vegetali mediato da un virus.

“Il trasferimento genico orizzontale è oggi considerato di importanza primaria nell'evoluzione dei genomi, soprattutto dei batteri e archeobatteri, ma anche degli eucarioti”, spiega Gian Paolo Accotto direttore del Cnr-Ipsp. “I virus sono considerati potenziali induttori di tale passaggio di materiale genetico da una specie ad un’altra poiché entrano in stretto contatto con le cellule dell’organismo ospite in cui si replicano, sono trasmessi in modo efficiente tra ospiti diversi e i loro genomi hanno una forte propensione naturale a ricombinarsi. Uno degli esempi più caratteristici di trasferimento genico mediato da virus è quello dei baculovirus, responsabili del trasferimento di frammenti di DNA tra specie diverse di insetti”. 

 

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