Schumann iniziò la sua carriera di pianista che aveva all’incirca vent’anni, ma presto dovette abbandonarla a causa di un disturbo alla mano destra (probabilmente una forma di distonia), ed allora divenne direttore d’orchestra del Comitato dei concerti della sua città, un incarico però dal quale venne sollevato perché “dirigeva con mediocre rendimento”, e nel contempo scriveva articoli su alcune riviste. Data la carriera concertistica fallimentare, le sue energie si concentrarono nella composizione, un’arte che egli seppe molto ben articolare, e la prova è nelle splendide pagine di musica che ci ha lasciato.
L’insuccesso però lasciò una traccia emotiva molto forte in lui, che per molti anni ebbe ripetuti episodi di forte depressione da cui si svilupparono una serie di paure (paura dell’acqua, degli spazi aperti, dell’altitudine, paura di essere avvelenato, di morire, di diventare pazzo), di manie (ordinava e catalogava ogni cosa con perizia e meticolosità certosina, come se il controllo sugli oggetti attorno a sé potesse proteggerlo dalla follia che lui stesso sentiva germogliare dentro di sé) e di vere allucinazioni uditive. Schumann riferiva di sentire un suono continuo “come di lontani ottoni, sottolineato dalle più meravigliose armonie”, che dopo un po’ di tempo s’intensificò fino a diventare un coro di angeli che cantavano una melodia che lui cercava affannosamente di trascrivere senza riuscirci. Nel diario di sua moglie Clara leggiamo in proposito: “La sua idea fissa era che gli angeli gli volteggiassero intorno, offrendogli le più gloriose rivelazioni, e tutto con una musica meravigliosa; chiamavano per darci il benvenuto e prima della fine dell'anno tutti e due saremmo stati uniti a loro “.
Presto tali allucinazioni divennero delle ossessioni, e dall’esaltazione si passò al terrore. Le voci degli angeli si trasformarono in gridi demoniaci, schiere di diavoli gli dicevano che era un peccatore e che sarebbe finito all’inferno, e c’erano tigri e iene che piombavano su di lui per afferrarlo.
Una mattina del 1854 Schumann uscì di casa e si gettò nel Reno, con il proposito di morire per non soffrire più. Non morì. Alcuni pescatori riuscirono a salvarlo ed a riportarlo a riva, ma il suo stato era tale che l’unico rimedio che poté essere trovato fu il ricovero in una casa di cura ad Endenich, nei pressi di Bonn. Lì giacque per due anni, depresso e solo, passivo a tutto ciò che gli era intorno. Non compose più nulla, non parlò più con nessuno, nemmeno con i familiari o con gli amici che andavano a visitarlo (raramente, in verità), fino a che morì il 29 giugno 1856.
Lo stato doloroso di Schumann è molto ben descritto nei diari e nelle testimonianze della moglie e degli amici, ma dal punto di vista medico la ricostruzione della sua patologia presenta molti aspetti sommari e poco chiari, ed anche le cure cui fu sottoposto non ci permettono un esatto quadro della situazione.
Endenich era un istituto mentale privato diretto dal dottor Franz Richarz, uno psichiatra che sottopose Schumann ad una terapia farmacologica a base di erbe e droghe, interpretando la sua malattia come una patologia organica di origine circolatoria o genericamente cerebrale, senza badare alcunché ai fattori emotivi e personali che da molti anni angustiavano la vita del compositore. Va detto però che al tempo una tale diagnosi era assai comune - visto che la psicologia e la psicanalisi erano ancora scienze lontane - così che ogni qualsivoglia disturbo del comportamento era attribuito ad una causa organica al cervello, e come tale curata (se di cura si può parlare).
Schumann rimase a Endenich per due anni senza uscire mai, ed anche i rapporti con i familiari furono scarsi e discontinui, in quanto il dottor Richarz non li favorì mai, pensando che l’isolamento fosse la miglior cosa per un paziente come lui.
Durante la degenza in clinica il comportamento di Schumann fu piuttosto passivo, e ad un certo punto egli accusò anche una difficoltà di articolazione delle parole. Poco prima di morire il suo linguaggio si era ridotto a semplici monosillabi, ma anche qui la descrizione è troppo vaga per illuminarci su quale fosse precisamente il suo male, così che, pur restando vero che le malattie mentali portano ad un cambiamento del linguaggio, è impossibile fare una diagnosi certa del male che aveva.
Anche le cure che gli furono prestate sono imprecise, ma comunque discutibili. A parte la somministrazione di calmanti, l’unico rimedio fu l’isolamento, una condizione che lo portò inevitabilmente al male oscuro della follia. I medici non cercarono in nessun modo di comunicare con lui per tentare di aiutarlo ad uscire da quel tunnel di cupezza ed apatia, e forse il motivo risiede nel fatto che il dottor Richarz considerava responsabile del suo stato una malattia organica e nulla di più. Resta quindi aperto il dubbio se Schumann avrebbe potuto avere cure migliori, a cominciare dal contatto con la famiglia, che invece mancò del tutto.
Quando Schumann morì sul suo corpo venne eseguita un’autopsia. Il suo cervello fu analizzato al microscopio e ad occhio nudo, ma, anche se di lesioni organiche non vi fu traccia alcuna, le indagini non andarono oltre, così che i suoi disturbi comportamentali furono liquidati in fretta con la generica dicitura di “demenza paralitica”. L’unico fattore oggettivo che Richarz trovò a favore della sua diagnosi fu che il cervello di Schumann era di peso leggero, poco più di 1300 grammi, ma questa non è la prova di malattia cerebrale, qualunque essa sia. E poi c’è da dire che all’epoca la pratica dell’autopsia non era certo perfetta, quindi uno sventramento del cadavere troppo lento oppure un’asportazione del cervello tardiva o grossolana potrebbe essere la spiegazione di ciò che fu trovato.
Comunque, se di malattie si è parlato tanto a lungo, è giusto anche prendere in considerazione alcune delle patologie che potrebbero averlo ridotto in quel modo.
Per esempio la sifilide. Non è un’affermazione azzardata, al tempo era una malattia endemica, ne soffrivano (e ne morivano) in molti. L’ipotesi della sifilide fu supposta anche dai medici che effettuarono l’indagine autoptica, in quanto sul suo corpo fu trovata una lieve lesione genitale, ma è una possibilità latente, e comunque non in linea con i sintomi descritti, ed inoltre, se fosse quella la reale causa della sua condizione, il ricovero a Endenich non sarebbe stato il rimedio idoneo.
Alcuni campioni dei capelli di Schumann presentavano tracce di mercurio, che al tempo era un rimedio assai diffuso nella cura della sifilide, ma nulla è provato, anche perché lo stesso mercurio era contenuto nei cappelli di feltro che egli indossava. È possibile che Schumann assumesse del mercurio, del resto, anche prima del ricovero, egli faceva spesso uso di medicine di molti generi. Un’intossicazione da farmaci può avere effetti collaterali gravi, ma difficilmente porta alla pazzia, anche se è verosimile che il mercurio associato ad altri rimedi potrebbe aver influito sui suoi disturbi, o forse anche sulla malattia organica al cervello di cui il dottor Richarz era tanto sicuro.
Un’altra ipotesi: la schizofrenia. Anche questa è un’eventualità, ma le documentazioni non sono affatto chiare né mai diagnosticate con precisione. I musicologi che ne fecero menzione si basarono infatti sul carattere dei suoi articoli, in particolare quelli che egli firmava con gli pseudonimi di Florestano ed Eusebio, come fossero la prova di una personalità multipla, tipica dello schizofrenico, ma sono tesi labili. È pur vero, però, che le allucinazioni uditive sono un sintomo di una tale patologia, e sappiamo che Schumann ne ebbe per molti anni.
Indubbiamente è plausibile che una componente schizoide possa esser stata presente nel quadro clinico di Schumann, ed anche il suo comportamento potrebbe esservi ricondotto. Nel primo periodo del ricovero Schumann era di umore mutevole (ma gli sbalzi d’umore erano sempre stati una sua caratteristica fin da giovanissimo), aveva una serie infinita di paure e parlava con un immaginario interlocutore di temi musicali mai messi su carta né eseguiti al pianoforte, strumento che lo stesso dottor Richarz riferiva egli suonasse “come una macchina le cui molle sono rotte, ma che cercava ancora di funzionare”.
La schizofrenia fu invero presa in considerazione dai medici, oltre al dottor Richarz ne fece menzione il dottor Mobius, che lavorava come suo collaboratore nella stessa clinica. Ma la diagnosi clinica, così come la terapia, non ebbero alcuna variazione, anche perché, nel caso accertato di schizofrenia c’è sempre una base patologica cui riferirsi (la famosa malattia organica riferita dal dottore), e poiché l’autopsia di Schumann è quella che è non abbiamo alcuna possibilità di confermare o smentire certe affermazioni o diagnosi.
Nel XX secolo ricerche autorevoli sulla malattia di Schumann sono state condotte dallo psichiatra americano Peter Otswald, il quale nel suo libro “Music and Madness” offre prove convincenti sul fatto che il disturbo di cui egli soffrì era di chiara origine psichiatrica.
Ad avvalorare tale tesi ci sono le moderne conoscenze mediche sulla malattia mentale, che davvero sanno addentrarsi con molta precisione nella mente del musicista, così che la sua follia è equiparata senza tema di smentita ad un disturbo maniaco-depressivo presente in lui probabilmente sin dalla prima giovinezza. Una tale malattia presenta infatti tutti i sintomi descritti, ed inoltre ha un andamento fluttuante che può perdurare per molti anni, e tali presupposti accrediterebbero l’altrettanto oscillante vena creativa della sua produzione musicale. Una recrudescenza del disturbo sviluppa inoltre un serio disturbo della personalità, proprio come avvenne in Schumann quando presentò paure continue ed ossessioni maniacali, come un rivissuto delle proprie ambizioni negate: egli infatti avrebbe voluto essere un grande virtuoso del pianoforte, un bravo direttore d’orchestra, un compositore ed uno scrittore di successo, avrebbe insomma voluto essere un uomo affermato, ed invece, nonostante l’incontestabile bravura, il suo tempo non gli riconobbe tali doti. In definitiva, alla base di tutto ci fu una brama disattesa di successo, e i conflitti che ne derivarono fecero il resto.
Per di più, e non è una cosa da poco, Schumann ebbe una serie di problemi fisici non indifferenti. Era obeso, iperteso, alcolista, forte fumatore, bevitore di caffè, e, dato che era ipocondriaco, gran consumatore di medicine. È probabile che l’alcool ed il tabacco siano stati co-fattori del suo quadro clinico, così come l’assunzione del mercurio. Nondimeno fu un uomo dalla personalità raffinata e dall’indole ipersensibile.
Schumann ebbe una vita tormentata ed infelice, forse la peggiore fra le tante esistenze di altri suoi colleghi. Solo la musica, oggi, gli rende giustizia.
Marina Pinto