IGFBP3 si comporta quindi come una “betatossina” la cui produzione aumenta nella malattia diabetica ed è responsabile in parte della perdita di cellule beta insulino-secernenti. “Il nuovo asse che abbiamo individuato è in grado di controllare il destino delle cellule beta pancreatiche e modulare la loro sopravvivenza”, afferma il Professor Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia e Direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi. “Lo studio mostra come questo meccanismo attivato a livello del pancreas endocrino sia in grado di controllarne la funzione, soprattutto per quanto riguarda le cellule producenti insulina. La presenza di un aumento di IGFBP3 in circolo in pazienti affetti da malattia diabetica suggerisce che questo fattore possa funzionare come una tossina per la cellula beta pancreatica in corso di diabete, che interagendo con il recettore espresso sulla superficie delle beta cellule TMEM219 ne determina la morte.
Il malfunzionamento del segnale IGFBP3/TMEM219 porta quindi alla perdita di cellule beta che producono insulina e contribuisce quindi al danno beta cellulare che si sviluppa in corso di diabete. Infatti, l’inibizione genetica e farmacologica dell’asse in questione è in grado di preservare la massa beta cellulare, di prevenire l’apoptosi della beta cellula e l’insorgenza della malattia in vivo in modelli murini per lo studio della malattia diabetica. La possibilità di ristabilire il controllo dell’omeostasi beta cellulare e prevenire la perdita di beta cellule è di straordinaria importanza per i pazienti affetti da diabete, soprattutto coloro che soffrono di diabete di tipo 1 in cui la distruzione è massiva e rapida e costringe alla necessità di terapia con insulina” continua il professor Fiorina.
“Il blocco del danno indotto dall’attivazione dell’asse IGFBP3/TMEM219 rappresenta un’opzione terapeutica di grande rilevanza clinica nel mondo diabetologico e che ha le sue basi nello sviluppo farmacologico di composti volti ad inibire l’azione tossica di IGFBP3 sulla massa beta cellulare” aggiunge la professoressa D’Addio, ricercatrice al Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "L. Sacco". Commentando l’importanza dello studio il Professor Emilio Clementi direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "L. Sacco", a cui afferiscono gli autori aggiunge che “Questo lavoro conferma l’interesse strategico nel campo delle malattie metaboliche del nostro Dipartimento e la capacità dei nostri ricercatori di lavorare sempre più con la prospettiva di una ricerca traslazionale”.
“Questo è un altro successo del Centro di Ricerca Pediatrica-Romeo ed Enrica Invernizzi che si aggiunge a quelli già recentemente presentati” commenta il Professor Gian Vincenzo Zuccotti, direttore del Centro. “Questo Centro sta dimostrando in questi cinque anni tanto in termini di ricerca da poter diventare un punto di riferimento per la ricerca scientifica in Italia, un polo all’avanguardia per la cura del diabete di tipo 1”. continua il Professor Gian Vincenzo Zuccotti. “Senza la collaborazione tra l’Università di Milano e i Dipartimenti Clinici del Polo Ospedaliero Luigi Sacco questo sarebbe stato difficile, impossibile senza il sostegno fondamentale della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi che continua a sostenerci per fare sempre di più in questo campo”.