Sito rupestre di Ait Ouazik (Tazzarine), sud del Marocco
L’animale-vittima delle primitive scene di caccia, con il passare del tempo assurge a simbolo di un mondo istintivo e dionisiaco da cui l’uomo, il più inquieto di tutti gli animali, si è faticosamente allontanato, ma al quale tende con tutte le sue forze. La rappresentazione dell’animale “rimanda a ciò che è più che umano, a ciò che sorpassa l’uomo da ogni parte indicandogli una realtà più alta, se non divina, o una realtà più bassa, cioè demoniaca”[1].
Sito rupestre di Ait Ouazik (Tazzarine), sud del Marocco
Quando l’uomo impara a scrivere, continua a raccontare gli animali, che diventano protagonisti di storie e leggende in tutto il mondo. Pur nell’estrema diversità di culture e sensibilità, gli animali delle favole rappresentano tipi umani, con tutte le caratteristiche, le virtù e i difetti dell’uomo.
Accanto ad una tradizione scritta di favole eziologiche o morali, esiste anche un vasto repertorio di tradizioni popolari tramandate attraverso il racconto orale: proverbi, frasi propiziatorie, preghiere, e canzoni che scandiscono i momenti importanti della vita dell’individuo e della sua comunità.
La tradizione popolare del Marocco, terra multiforme e ricca di culture che si sono intrecciate nel corso dei millenni, si è formata grazie all’apporto delle tribù berbere dell’Atlante, degli emigranti ebrei che vivevano nella mellah delle città imperiali e delle popolazioni nomadi del deserto.
Erg Chebbi, Merzouga (sud del Marocco)
Gli animali, belve feroci e infide da cui difendersi o regali simboli di forza, coraggio e virilità, fedeli alleati dell’uomo o preziose fonti di nutrimento e di calore nelle notti gelide del bivacco, popolano l’immaginario popolare del Marocco e costituiscono il tessuto vivo a cui attingere ogni volta che ci rivolgiamo all’essere amato o usiamo un proverbio della saggezza antica.
Aquile reali aprono trionfanti le loro ali sul collo di giovani donne berbere, un serpente striscia furtivo sul dorso della khamsa, prezioso talismano a forma di mano rovesciata, gibbosi dromedari passeggiano dinoccolati tra i fili color ocra dei tappeti, le curve stilizzate di esili gazzelle e maestosi cavalli disegnano parole d’amore nell’antica arte della calligrafia. Talvolta la rappresentazione degli animali si fa così astratta da diventare un’idea, pura suggestione. Un breve schizzo d’henné tatuato sulla pelle della sposa nasconde in realtà la silhouette di un pavone o i contorni di un leone.
La tendenza a stilizzare le figure animali al punto da renderle irriconoscibili sotto l’apparenza di arabeschi geometrici o decori floreali nasce da una tradizione islamica iconoclasta che vieta di rappresentare in immagini gli esseri viventi. Nel Corano, in realtà, non c’è nessun divieto esplicito di rappresentare gli animali, semmai l’interdizione è tramandata attraverso gli hadith, l’insieme delle interpretazioni della legge coranica. Si racconta, ad esempio, che il califfo Omar, ad un pittore iraniano che si lamentava di non poter più esercitare il suo mestiere, avesse consigliato: “continua a fare ritratti, ma dipingili in modo che sembrino fiori, disegna gli uccelli ma falli a quattro zampe”. Nell’Islam, infatti, le piante e i fiori non sono considerati esseri viventi.
Dettaglio decorazioni della Mederssa Ben Youssef (Marrakech)
Innumerevoli sono i motti della tradizione popolare, le leggende e i riti magici che hanno per protagonisti gli animali. Spesso, le origini di queste consuetudini sono così remote da perdersi nella notte dei tempi. L’incontro con un gatto o il volo di un uccello sono forieri di presagi; la medicina tradizionale fa ampio uso di prodotti ricavati dagli animali e le formule magiche e propiziatorie evocano quasi sempre nomi belluini. L’animale è vittima sacrificale dei riti sacri e simboleggia l’alleanza con le potenze invisibili che donano prosperità, gioia e fecondità.
Molti animali in Marocco acquistano un significato particolare quando sono associati alla parola “jnoun”. I jnoun sono spiriti della tradizione popolare. Possono essere sia buoni che cattivi, ma di solito prediligono il mondo sotterraneo, infatti sono chiamati anche “gente che viene dal basso”. Invisibili, amano i luoghi deserti, l’oscurità e le rovine. Possono manifestarsi in varie forme, a volte umane, a volte animali. E’ così difficile distinguere queste creature dagli animali veri che, secondo le credenze popolari, non si sa mai se dietro gli occhi di un gatto si cela un animale o uno “jnoun”.
L’ape
Chi saprebbe separare l’ape dal suo fiore?/ Chi saprebbe togliere luce allo sguardo/ Senza ucciderlo?
Simbolo di laboriosità, costanza e intelligenza, ma anche di dolcezza e femminilità, questo insetto vive sotto l’influsso del “baraka”, ossia la grazia divina che emana da certi luoghi e da certe persone come le figure dei santi. La tradizione vuole che l’anima dei morti si separi dal corpo sotto forma di ape, che svolazza intorno alla tomba del defunto per 40 giorni prima di raggiungere il barzah, il suo posto nei cieli. L’ape è anche simbolo di generosità perché regala il miele, considerato da sempre un rimedio universale contro le malattie.
L’immagine delle api intente a bottinare i fiori ha ispirato una tipica danza nuziale della tribù degli Ait M’goun, in cui gli uomini “sono come api che raccolgono il nettare dal fiore”, allusione al potere fecondatore di questi preziosi insetti.
L’aquila
Questo maestoso rapace è la regina di tutti i volatili. Taïr el horr, ossia “uccello di razza pura”, è simbolo di vittoria. Dominatore incontrastato della montagna, svetta così in alto da sfiorare il sole; nulla sfugge al suo sguardo penetrante che tutto conosce. L’aquila è considerata il nume tutelare della tribù. Secondo un’antica leggenda, l’aquila appare nelle grandi occasioni sotto le vesti di un santo per benedire la tribù, proteggerla dall’attacco dei nemici o indicare il punto esatto dove sorgerà una grande città. L’aquila, però, è anche una creatura solitaria ed implacabile. Domina il mondo, ma a volte è un mondo fatto di rovine. Vedere un’aquila in sogno, infatti, è segno d’incendio e devastazione.
L’aquila è un motivo ricorrente nei gioielli tradizionali del Marocco: cesellata sul dorso della khamsa, rafforza il valore protettivo di questo caratteristico talismano berbero. Un’aquila bicefala adorna uno dei più sontuosi gioielli antichi di Tangeri e Tétouan: un grosso medaglione tempestato di smeraldi e rubini con il quale erano solite adornarsi le spose ebree. I contorni stilizzati di un’aquila disegnano le parole con cui inizia ogni sura del Corano: “Bism Illah al rahman al rahim” (“In nome di Allah, il compassionevole, il misericordioso”). In una canzone berbera di Amori M’Bark, l’aquila diventa simbolo della solitudine dell’immigrato, lontano dal suo Paese d’origine:
“O madre mia, sono come un’aquila / che vola sopra Parigi/ e non ha ancora trovato un nido su cui posarsi” (1980).
L’ariete
Questa denominazione mitologica comprende diversi animali di grande importanza nella cultura popolare del Marocco: il caprone, il montone, la pecora, l’agnello, la capra. L’ariete e il caprone sono simboli di forza procreatrice. La capra, la pecora e l’agnello, invece, simboleggiano rassegnazione e docilità, considerate tradizionalmente doti femminili.
In Marocco è difficile immaginare il pendio di un monte senza un gregge di pecore o di caprette intente a spogliare voracemente gli alberi di Argan o a strappare gli ultimi fili d’erba a cui è appesa la vita della nuda montagna. Sono molti, infatti, i massicci montuosi che prendono il nome dai loro assidui frequentatori: Jbel Zalagh (il monte dell’ariete), Tizi n’Taratine (il colle delle capre), Tioumliline (le caprette), Chaouene (le due corna). L’ariete è un animale sacro per molte tribù berbere dell’Atlante.
Albero di Argan (Tafroute)
Nel Corano l’ariete di Abramo e il “montone d’Israele” fanno parte degli animali ammessi al paradiso di Allah. Il montone, inoltre, evoca il sacrificio d’Isacco, quando Dio intimò ad Abramo di sacrificare suo figlio in segno di sottomissione, ma poi scambiò il bambino con un montone. Per commemorare questo sacrificio, ogni anno l’Islam festeggia l’Aid el kebir, ossia la “grande festa”, durante la quale ogni famiglia deve sacrificare un montone. Secondo tradizione, il mattino dell’Aid el kebir il Re sgozza un montone nella moschea reale, la Msalla. L’animale dissanguato viene trasportato in tutta fretta al palazzo reale. Se al suo arrivo si muove ancora, vuol dire che sarà una buona annata. Questo tipo di sacrifici accompagna molti momenti importanti nella vita individuale e collettiva del popolo marocchino: nascita, matrimonio, guarigione, pellegrinaggio. Sgozzare un montone nero, ad esempio, serve a scacciare l’epilessia, considerata la manifestazione di forze demoniache. I conciatori, che lavorano tutto il giorno immersi nelle vasche a contatto con pelli di pecora e capra, sono considerati i migliori “esorcisti”. Bou Jloud, ossia “l’uomo coperto di pelli”, è un personaggio mascherato che, durante i festeggiamenti dell’Aid el kebir e dell’Achoura, si sposta di villaggio in villaggio ballando, cantando e recitando formule magiche.
Conceria di Fes
Il montone e la capra sono considerati animali sacri in Marocco anche per l’importanza che hanno nell’economia del Paese, basata ancora in larga misura sulla pastorizia. L’immagine di questi animali, però, viene raramente riprodotta negli oggetti ornamentali, come se il loro carattere sacro non potesse essere rappresentato. Unica eccezione, le capre color ocra dipinte sulle mura che cingono la parte sud-orientale di Marrakech, nei pressi di Bab Aylen. Fanno parte di un insieme di animali disegnati nel XVII secolo da alcune tribù in rivolta contro la dinastia regnante saadiana. Il simbolismo originario, però, non ha lasciato tracce.
Il gallo
Il profeta disse: il gallo bianco è mio amico ed è nemico del nemico di Allah.
E’ quindi permesso uccidere il gallo bianco, ma è vietato recargli offesa
Insegna di una bottega (Taroudannt)
Il gallo annuncia il giorno, infatti è associato alla vita e alla luce. E’ simbolo di fierezza, vigilanza e laboriosità. Sembra che nell’XI secolo l’antica città di Rissani, che sorge fra le dune del deserto, si fosse salvata dall’attacco della tribù dei Berhouata grazie al canto di un gallo.
La gazzella
Mio Signore e Maestro, Youssef, / Che Allah gli allunghi la vita, / E’ come le gazzelle del deserto, / Slanciato e di corporatura media, / Con occhi ardenti e dolci allo stesso tempo; / Come le gazzelle è agile ed instancabile.
In questi versi la donna canta le qualità del suo amato, Youssef, e lo paragona ad una gazzella, in cui convivono dolcezza e violenza allo stesso tempo: un’ambivalenza che possiedono tutte le creature del deserto.
La gazzella, che in Marocco gode di una sterminata iconografia, dalle primitive pitture rupestri ai francobolli di oggi, è il simbolo di femminilità per eccellenza: fragile, dolce, aggraziata, è l’appellativo più frequente per indicare una donna giovane e attraente. Chiamata Azencot in berbero, nell’Atlante centrale è anche conosciuta come “tamlalt”, ossia “la bianca”. Insieme al montone e alla capra, la gazzella è simbolo di fecondità ed è evocata nei riti propiziatori della pioggia e delle inondazioni durante lunghi periodi di siccità nella valle del Draa. Alcune popolazioni berbere sono solite versare del latte sulle pitture rupestri che raffigurano una gazzella perché il latte e la gazzella sono entrambi simboli di procreazione. La gazzella è anche l’unico animale non domestico di cui si sono trovate tracce nei siti funerari protostorici.
La sua silhouette sottile e stilizzata ricorre in molti oggetti d’uso quotidiano e nell’artigianato locale, ma è anche il logo di marchi molto diffusi in Marocco, come “Aiguebelle Maroc”, famosa marca di cioccolato, o “La Gazelle d’Or”, lussuoso riad da Mille e una notte che sorge a Taroudannt, nel sud-ovest del Marocco. Una “gazzella d’oro” è il primo premio in palio per i vincitori del Festival del Cinema Mediterraneo di Tangeri.
Il Pavone
L’onore è come un bicchiere da tè con i colori del pavone: nulla lo può ricomporre se è in frantumi.
La Terra è un pavone, il Marocco è la sua coda.
Passeggiando nella medina di Fes o di Marrakech, può capitare di vedere illustrazioni popolari dell’Eden, in cui Adamo ed Eva sono in compagnia del serpente e di un pavone. Il pavone, con i suoi colori sgargianti e la sua coda variopinta, è chiamato “uccello del paradiso”.
Medina di Taroudannt
Una leggenda narra che quando Satana, scacciato dal paradiso, volle vendicarsi tentando Eva, chiese al pavone di aiutarlo nell’impresa e disse: “mi trasformerò in serpente e tu mi nasconderai nella tua gola”. Fu così che Allah, dopo aver scacciato Adamo ed Eva, allontanò dal paradiso anche l’incauto pavone che era stato complice di Satana. Da allora, il pavone ha perso le pietre preziose che ornavano il suo splendido piumaggio: al loro posto gli restano solo le impronte che occhieggiano dalla coda. Oggi questo uccello è simbolo di magnificenza e vanità, ma anche di rinnovamento: le sue piume, che cadono in autunno per “fiorire” ancora più maestose in primavera, rappresentano la rinascita e la fecondità. La sua immagine è ricamata con fili d’oro sui cuscini e sui kaftani da sposa nelle cerimonie nuziali.
Il pesce
Sotto il pesce c’è l’acqua, sotto l’acqua c’è l’oscurità e la scienza umana non vede più in là.
Il pesce, simbolo della sessualità, è il re del mare e, come il mare, anch’esso nasconde molti misteri. Un pesce pescato di notte può celare lo spirito di uno jnoun. La triglia è considerata il re dei pesci (sultan el hoût). L’osso di seppia, invece, è un portafortuna: protegge la casa dagli spiriti maligni e porta la pioggia. Presso alcune tribù berbere è ancora viva l’abitudine - probabilmente di origine punica - di posare un piatto di pesce sulla soglia di casa per accogliere la novella sposa.
Tra i pesci del mare si nascondono anche mostri marini. Uno dei più noti è kra ben sensens, metà uomo e metà pesce. Sprigiona un liquido dal potere ipnotico e lo schizza sul pescatore, il quale si addormenta fatalmente sulla barca, in balia del mare e delle onde.
Riserva naturale di Massa, sulla costa atlantica del Marocco
Secondo una leggenda popolare, la balena che aveva inghiottito Giona lo avrebbe sputato fuori sulla riva di Massa, una spiaggia a sud di Agadir, oggi riserva naturale. Da allora, la spiaggia è diventata celebre soprattutto perché ricca di aromatica ambra grigia, una sostanza secreta dall’intestino dei giganteschi capodogli che si arenano in questo tratto di costa affacciata sull’Atlantico.
Note:
[1] Vittorio Martucci, Introduzione a “Gli animali nella fiaba e nella leggenda” ( a cura di Emanuela Luisari), Franco Muzzio Editore (2002), pag. 9.
Bibliografia
Goldenberg, André “Bestiaire de la culture populaire Musulmane et Juive au Maroc” ÉDISUD (2000).
Baistrocchi, Massimo “Antiche civiltà del Sahara” MURSIA (1986).
Luisari, Emanuela (a cura di) “Gli animali nella fiaba e nella leggenda. Storie fantastiche alle origini dell’etologia”, Franco Muzzio Editore (2002).
Veronica Rocco