Febbraio 2025

 

Storia eruttiva semplificata dei Campi Flegrei (in alto a sinistra), mappa geologica (in alto a destra) e siti di ritrovamento dei depositi dell'eruzione di Maddaloni/X-6 (in basso)

 

Risale a oltre centomila anni fa una delle eruzioni più significative in quest’area. A rivelarlo, uno studio congiunto Cnr-Igag, Sapienza Università di Roma, Ingv e Università Aldo Moro di Bari, pubblicato sulla rivista scientifica Communications Earth and Environment di Nature. La conoscenza approfondita della storia eruttiva di questa regione potrà migliorare la valutazione dei rischi vulcanici associati alla zona.

I Campi Flegrei sono un complesso vulcanico attivo, circondato da aree urbane ad alto rischio. Tra i più studiati al mondo, la loro storia eruttiva è ben documentata solo negli ultimi 40.000 anni. Un nuovo studio rivela che, 109.000 anni fa, si verificò un'eruzione di magnitudo simile all’'Ignimbrite Campana', la più grande eruzione dell’area mediterranea.

Pubblicato in Geologia

Molte persone vorrebbero ritardare o addirittura fermare il processo di invecchiamento. Precedenti studi clinici hanno dimostrato che una ridotta assunzione calorica può rallentare il processo di invecchiamento negli esseri umani. Anche l'assunzione di vitamina D o acidi grassi omega-3 ha mostrato risultati promettenti nel rallentare l'invecchiamento biologico negli animali. Tuttavia, non era chiaro se queste misure avrebbero funzionato anche negli esseri umani.

Le terapie precedentemente testate nello studio DO-HEALTH guidato da Heike Bischoff-Ferrari sono anch'esse associate a un rallentamento del processo di invecchiamento. Queste hanno dimostrato che la vitamina D e gli acidi grassi omega-3, così come la regolare attività fisica, riducono il rischio di infezioni e cadute, e prevengono il cancro e la fragilità prematura. "Questi risultati ci hanno ispirato a misurare l'influenza diretta di queste tre terapie sul processo di invecchiamento biologico nei partecipanti svizzeri di DO-HEALTH", afferma Bischoff-Ferrari, professoressa di geriatria e medicina geriatrica all'Università di Zurigo.

Pubblicato in Medicina

 

Immagine 3D ottenuta con Nano-XPCT che permette di ottenere immagini dettagliate dell'intestino, distinguendo e quantificando le cellule immunitarie (gialle e blu) presenti. Questa tecnologia apre nuove strade per la ricerca sull'Alzheimer (credits: Alessia Cedola Cnr-Nanotec).

Un team di ricerca internazionale, guidato dall'Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche, ha fatto luce sul collegamento tra intestino e cervello nella malattia di Alzheimer utilizzando tecniche avanzate di imaging a raggi X. Lo studio, pubblicato su Science Advances, fornisce nuove informazioni sui meccanismi che collegano le alterazioni intestinali al loro potenziale ruolo nell'insorgenza della patologia

Una ricerca guidata dall’Istituto di Nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) sede secondaria di Roma, condotta in collaborazione con l'European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble e l’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, ha consentito di osservare dettagliatamente, utilizzando la nano- e micro-tomografia a raggi X a contrasto di fase (XPCT), le alterazioni strutturali e morfologiche provocate dalla malattia di Alzheimer nell'intestino di modelli animali.
Questa tecnica innovativa, disponibile presso la facility internazionale, ha permesso di ottenere immagini tridimensionali dell'intestino con una risoluzione e una qualità senza precedenti: la nitidezza ottenuta ha rivelato dettagli morfologici mai osservati prima, portando alla luce alterazioni a livello cellulare e strutturale nell'intestino in presenza di Alzheimer. Lo studio è descritto sulla rivista Science Advances: si tratta di una scoperta significativa, in quanto evidenzia per la prima volta un legame diretto tra questa malattia neurodegenerativa e specifiche modifiche morfologiche e cellulari a livello intestinale.

Pubblicato in Medicina


Passo, trotto e galoppo: le andature equine seguono dei veri e propri modelli ritmici. Due studi condotti dalla Sapienza e dall’Università di Torino indagano sulla loro musicalità
La sequenza degli zoccoli di un cavallo che colpiscono il terreno sembra intuitivamente ritmica, ma lo è davvero? Un team di ricercatori guidato da Marco Gamba dell’Università di Torino e da Andrea Ravignani della Sapienza Università di Roma, finanziato dal progetto ERC The Origins of Human Rhythm (TOHR), ha risposto a questa domanda in due studi pubblicati sul Journal of Anatomy e Annals of the New York Academy of Sciences mettendo in luce le somiglianze tra i ritmi della locomozione dei cavalli e quelli musicali. Questa connessione potrebbe spiegare perché le diverse andature equine - passo, trotto e galoppo - risultino così ritmiche e riconoscibili.

Pubblicato in Scienza generale

 

Scienzaonline con sottotitolo Sciencenew  - Periodico
Autorizzazioni del Tribunale di Roma – diffusioni:
telematica quotidiana 229/2006 del 08/06/2006
mensile per mezzo stampa 293/2003 del 07/07/2003
Scienceonline, Autorizzazione del Tribunale di Roma 228/2006 del 29/05/06
Pubblicato a Roma – Via A. De Viti de Marco, 50 – Direttore Responsabile Guido Donati

Photo Gallery