La salute della donna come modello dell’interazione tra Ospedale e Territorio

Intervento del Presidente FIOG (federazione Italiana Ostetricia e Ginecologia)

Introduzione

Ogni ginecologo, nel seguire i diversi momenti entro cui si dispiega l’essere donna, ha il privilegio ed il dovere di essere medico versatile, forse il più versatile: qualcuno dedito soprattutto all’ ambulatorio, altri prevalentemente in sala da parto, con le sue gioie ed i suoi drammi, o in sala operatoria o in oncologia, altri  impegnati massivamente in campagne di prevenzione, o protagonisti delle più fantasiose ingegnerie sanitarie come nell’ambito della riproduzione assistita. Questa  sorta di poliformismo specialistico è naturalmente il riflesso delle diverse e molteplici esigenze della donna, la cui salute quindi, non a caso assurge a modello per verificare l’efficienza della organizzazione sanitaria, e più specificamente della interazione fra Ospedale e Territorio.

Due entità, queste ultime, profondamente mutate, forse evolute. Territorio non più, e non soltanto, come estensione geografica: la percezione, la ricerca, l’acquisizione di nuovi diritti ha reso i cittadini individualmente portatori di nuove e condivise esigenze. Rese ancora più autorevoli, quasi deliberative, quando espresse a più voci. Territorio quindi come Comunità, di diversa estensione, fino a quella regionale. Comunità nuove, che rappresentano una cittadinanza più o meno esigente.
Anche l’Ospedale è nel frattempo notevolmente mutato almeno nelle funzioni: il nuovo sistema di finanziamento ne ha necessariamente modificato il ruolo, caratterizzandolo ora come struttura di ricovero per pazienti acuti o con elevato livello di gravità. Limitandolo forse, ma anche esaltandone il ruolo, reso ora più specifico, come depurato da tanti ricoveri non necessari. Mutato anche nel modo di essere giudicato e valutato nella qualità delle offerte: non più ristretto agli aspetti tecnici ma anche, per le nuove esigenze, in base a quelli di relazione, di accoglienza, di immagine, di organizzazione. 
Entrambi, Ospedale e Territorio dovrebbero scambiarsi reciproci rapporti di interazione, influenzandosi reciprocamente nelle richieste e nelle offerte. E, tuttavia, mostrando il segno di trasformazioni ancora incomplete, è facile verificare come spesso Territorio ed Ospedale continuino a rappresentare realtà distanti e diverse, quasi impermeabili l’una all’altra.
Gli Ospedali, specie quando grandi, e poli-funzionali, spesso appaiono come cittadelle, con le loro regole, con i loro usi, con i loro orari, e soprattutto le loro preclusioni. Spesso auto-referenziati. Malgrado siano formalmente al servizio dei cittadini,  e da questi economicamente sostenuti, sono aziende nelle quali ancora non risulta previsto un ruolo autorevole dei cittadini nella valutazione della gestione, mancando un vero consiglio di Amministrazione. Quando piccoli, spesso appaiono insufficienti alle garanzie che dovrebbero assicurare. Ma soprattutto, gli uni e gli altri spesso appaiono poco monitorizzati, poco verificati, poco valutati nella loro capacità di garanzie verso i cittadini e verso i medici che vi lavorano e che rappresentano i garanti più immediatamente visibili.
Spesso l’Ospedale risulta poco aperto non solo ai cittadini, ma addirittura ai medici del Territorio. Capita che questi ultimi rimangano confinati nel ruolo di controllori di normalità degli eventi, ed inviino ogni paziente in ospedale al minimo segno di patologia. Oppure, con donne gravide, magari seguite in consultorio, le debbano inviare in ospedale per la fase conclusiva del parto, restando come costretti ad una dimensione di perdita e di estraneità, finendo con il sentirsi sempre avulsi dalle realtà ospedaliere, ed ai loro protocolli diagnostici e terapeutici. Dall’altro medici ospedalieri che, nell’interagire con il territorio, maturano  spesso l’impressione di dover accogliere i casi gravi scaricati  da altri, quasi avvertendo il peso di responsabilità non condivise dall’inizio.
Di tale separatezza si trova conferma nella mancanza  di comunicazione diretta e concreta fra ospedale e territorio, spesso, addirittura, fra ospedale ed ospedale. Mancano del tutto gli strumenti informatici, adeguati e fruibili. Una assenza di scambi informativi che appare davvero sconcertante quando si consideri che spesso si tratta di medici che fanno dello stesso Sistema Sanitario Nazionale, magari dello stesso ordinamento regionale, a volte della stessa ASL. Veri e propri separati in casa.
In mezzo la donna, che spesso, soprattutto nei casi meno acuti, e di minore emergenza,  si trova a vivere non soltanto la separatezza e distanza delle due realtà, quella ospedaliera e quella territoriale, ma addirittura a subirne le conflittualità , trovandosi costretta a ad interpretare da sola segnali contrastanti, ed a disegnare una continuità di cura assai poco espressa, o addirittura negata. Per molte di esse l’ingresso in ospedale, dopo essere state seguite in gravidanza, o in consultorio, o in ambulatori libero-professionali, anziché rappresentare il completamento di un continuum diagnostico e terapeutico, viene ad essere una brusca frattura nell’assistenza sanitaria: per il trovarsi di fronte a persone sconosciute, in ambienti nuovi ed ovviamente particolari, inseriti in regole e protocolli spesso diversi, ma soprattutto ella stessa del tutto sconosciuta ai nuovi sanitari che la prendono in cura.
Da queste considerazioni di premessa si dispiegano le iniziative FIOG, volte a rimuovere o minimizzare una serie di ostacoli ed a favorire una piena comunicazione fra l’Ospedale ed il Territorio, ossia con la propria Comunità nel suo insieme, di cittadini, pazienti e sanitari.

La Figura del Medico in una Sanità non Sempre Trasparente

Fra gli ostacoli che oggi diventano sempre più pesanti, vi è una crescente sfiducia nei riguardi dei medici. Spesso accusati di essere negligenti ed avidamente mercantili.
Forse, per recuperare quel rapporto di fiducia sarebbe giusto far conoscere ai cittadini le condizioni nelle quali noi si lavora. I medici ospedalieri oggi hanno, tutti, la qualifica di Dirigente. E' una bella parola, che, per il suo etimo, lascerebbe intendere una funzione corrispondente, di tipo direttivo. In realtà si tratta di una qualifica a dir poco beffarda: spesso siamo senza neanche una scrivania sulla quale studiare, senza una linea telefonica fruibile, senza una segretaria, nemmeno part-time, con il computer spesso ancora lontano, o come un benefit, spesso lasciando comunque preclusa la possibilità di consultare le librerie in web.  . Con turni di lavoro a volte massacranti. Peraltro senza che gli ospedali riescano neanche in questo modo, a far quadrare i bilanci, sempre invariabilmente in rosso.
Purtroppo la medicina rappresenta una delle professioni più difficili da esercitare, e, in queste difficoltà, il medico è stato spesso lasciato da solo, senza strumenti adeguati per aggiornarsi, senza regole precise di valutazione, esaltandone i risultati, ma pronti a ai sospetti più pesanti in presenza di risultati negativi, anche quando impliciti nella patologia o negli eventi verificatisi. Uno dei settori nei quali la FIOG si sente impegnata è proprio quello di favorire l’aggiornamento continuo e specifico, come vedremo più avanti.
Occorre anche far considerare che gli stipendi dei medici risultano fra i più bassi in Europa. Sarebbe un grosso passo avanti se, fra la categoria dei mercanti e quella opposta dei medici missionari, si considerasse quella più semplicemente di professionisti, consapevoli dei loro doveri, ma anche dei loro sacrifici e degli umani bisogni, e quindi capaci di chiedere, per la loro attività, una adeguata organizzazione del lavoro e giuste gratifiche.
In ostetricia vi sono medici ultra-sessantenni ancora di guardia di notte, una o 2 volte la settimana, fino a quando non andranno in pensione. Mi dicono che, per gli autisti di automezzi pubblici, la guida sia considerata come lavoro usurante, tanto da esserne esonerati dopo i 50 anni. Per noi questa ipotesi comincia solo ora a porsi, con la possibilità di essere esonerati dalle guardie, ma senza rincalzi adeguati.
Spesso, nel valutare le nostre funzioni, si è falsati dalla semantica. Fino a qualche hanno fa esisteva la figura dei Primari. Oggi si è Direttori, o Responsabili. Responsabili in modo  spropositato:  per esempio, anche della verifica dei sistemi antincendio, senza, in realtà, avere alcuna possibilità di intervenire su queste faccende. Ci viene affidato il peso di una responsabilità in vigilando. Talmente ampia che alcune compagnie di assicurazioni rifiutano la stipula di una polizza.  Si può davvero andare avanti in questo modo, facendo finta di niente ?
Siamo spesso accusati di interessi conflittuali, privilegiando il privato rispetto al pubblico. Ma si è davvero del tutto certi che non siano proprio alcune strutture pubbliche ad allontanare gli utenti, presentandosi nel peggiore dei modi? Il giornalista Gianni Riotta, in un editoriale di qualche anno addietro scriveva di come la Medicina Ufficiale appaia poco credibile soprattutto per il presentarsi a volte con strutture fatiscenti, o con una evidente disorganizzazione dei servizi. E' sembrato che fosse una variabile ininfluente.
Veronesi, da ministro, è stato il primo a denunciare come possa essere più vantaggioso costruire nuovi ospedali che  ristrutturare quelli decrepiti. Da lui abbiamo appreso che la vita media di un ospedale è di soli 30 anni. Una ammissione fatta quasi in sordina, senza nessuno per questa e per altre ammissioni che parlano delle gestioni inadeguate, che ringraziasse per quanto, malgrado l'incuria ed il vecchiume, noi si riesca ancora a fare. In un procedimento contro medici, a Gaeta, in un'aula di giustizia, si discuteva sul ritardo, di 5-10 minuti, con cui si era proceduto ad un cesareo per rottura spontanea di utero, trascurando il piccolo particolare che la sala operatoria era allocata 2 piani sopra la zona travaglio - sala parto, e con un ascensore, affollato e rallentato dal pubblico.
E, comunque è proprio così dimostrata l'attività concorrenziale fra ospedali e studi privati ? Il mio dipartimento quest'anno conterà più di 1.800 parti: è il totale delle nascite di una città come Modena. Il 70% delle gravidanze seguite in studi privati, senza i quali, per mancanza di ambulatori, non sarebbe stato possibile raggiungere questo livello di attività. Dunque davvero esecrabile concorrenza, o non, invece, a volte, preziosa sinergia ?
Se il pubblico si ponesse come obiettivi quelli di migliorare la qualità e l’efficienza delle organizzazioni pubbliche, il conflitto e la competizione con il privato risulterebbero trascurabili. Nessun cittadino amerebbe pagare cifre maggiori del possibile. Ma spesso, nel pubblico, mancano le segretarie, mancano telefoni efficienti, mancano locali accoglienti. Questo rende a volte indispensabile la ricerca del privato. Una mia paziente, dopo anni da un ricovero per parto, mi confessò di avermi abbandonato perché in quella occasione, per mancanza di posto, non riuscii ad effettuare il ricovero nel reparto per libera professione, costringendo a stare in stanza con altre 3 puerpere.
Questa incapacità oggi continua e si aggrava: pende ancora l’attuazione di una legge che impone a tutte le cittadine di prendere appuntamento solo mediante un Centro Unico di Prenotazione, comune a tutti gli ospedali, ed a tutti i medici. Anziché eliminare il conflitto con adeguanti miglioramenti, si sopprimono i motivi di qualità per svuotare i motivi per scegliere una più comoda attività libero-professionale. Anche l’esclusiva, spesso superata per molte professioni, dai giornalisti ai magistrati, posta come regola, appare espressione di un clima autoritario e centralista, di monopolio, che si vuole affermare senza ben calcolarne le conseguenze.
Oggi più di ieri l’obiettivo più avvertito ci sembra debba essere quello di arrivare a scelte razionali, condivise e trasparenti, che consenta di disporre di un Servizio costantemente monitorizzato, nella sua efficienza, nelle sue garanzie, nei suoi costi..
Noi abbiamo l’impressione che si sia stati tutti condizionati dal tono autoritario e paternalistico con cui si è posta la riforma del SSN. Un centralismo, o statalismo, decisionale che ha lasciato pochissimo spazio all'autonomia ed alla verifica. Proprio in conseguenza di queste scelte di vertice, forse la maggiore debolezza del Ssn è stata ed è la scarsa condivisione del progetto con la componente medica e paramedica, la mancanza di una chiara partecipazione sociale alle scelte sanitarie e la assenza di un monitoraggio continuo della efficienza.
Sappiamo bene come un aspetto fondamentale riguardi l'economia e le risorse disponibili. E sappiamo altrettanto bene come, soprattutto nella politica sanitaria sia indispensabile una dimensione economica. Che tenga conto dei fondi disponibili, sempre troppo limitati, e degli obiettivi sempre più numerosi.
Ma, proprio nel decidere come spendere le risorse insufficienti, può essere necessario superare un metodo ancora diffuso, del razionamento, ossia della distribuzione equa (un poco, per tutti), considerando che l'equità che può anche rivelarsi singolarmente ingiusta, magari insufficiente per i più poveri ed i più malati. E’ ancora necessaria una profonda ricerca per approdare ad una razionalizzazione, tendenzialmente più giusta e doverosamente esplicita.
Sappiamo che non è facile, perché spesso le scelte sono da operare fra obiettivi tutti importanti. Sono i cosidetti dilemmi morali, che si verificano quando è necessario definire criteri di priorità fra diritti comunque riconosciuti. Ma, proprio per queste difficoltà, diventa necessario utilizzare apporti diversi, che garantiscano l'espressione del pluralismo, inteso come esigenza specifica della nuova e più esigente cittadinanza.
Ecco, compito della politica, nel senso più nobile, dovrebbe essere quello di armonizzare le tante esigenze, trovando adattamenti e correttivi, che sappiano tenere conto degli interessi collettivi, contemperandoli anche con le esigenze dei singoli, magari sollecitando la nascita di differenze fra obiettivi nelle diverse regioni, ossia dando corpo ad una sorta di federalismo biomedico, proposto dal politologo Paolo Martelli.
Ma, soprattutto, questi obiettivi rendono necessario poter discutere il senso delle scelte, rendendole chiare e trasparenti, per rendere possibile poter passare da un razionamento sottaciuto ad una razionalizzazione esplicita e giusta rimane ancora molto da fare. In tal senso la FIOG si propone l’obiettivo ambizioso di rappresentare una piazza di discussione aperta e continua.
Ma, prima di entrare nelle proposte più elementari, forse ancora una considerazione sulla situazione attuale da correggere. L’attuale orientamento delle politiche sanitarie, pressati da motivi di bilanci economici deficitari è, per gran parte, derivato dal lavoro di pochi esperti, economisti-epidemiologi, che hanno saputo tracciare disegni ampi e pluriennali. Quelle analisi e prospettive hanno dato corpo a quella che Cavicchi, sul Sole 24 Ore Sanità, chiamava la Sanità Amministrata.  E’ come una sorta di élite, capace di soluzioni tecniche di grossa efficienza. Ma, tuttavia, non sempre di provata efficacia: il reale ed individuale bisogno di assistenza, quando viene avulso dalle specifiche circostanze, ed inserito nelle ampie e generiche dinamiche economiche, può risultare a volte minimizzato o deformato, fino diventare quasi una sorta di artefatto, differente da quel bisogno originario per il quale si era chiesto aiuto.
Per la verità, a volte, si ha l'impressione che quella élite abbia finito con il coltivare una sorta di ideologia tecnocratica, ponendosi in modo preminente sia rispetto alla Assistenza Medica più convenzionale, sia rispetto all'Insieme dei Bisogni individuali. Tanto preminente da consentirsi toni di moralismo e giudizi che hanno travalicato i margini entro i quali quella Sanità Amministrata appare politicamente giusta.
Come se le strategie economicamente più vantaggiose vedessero sia il medico che il cittadino più come occasioni per abbattere sprechi, inutilità ed irrazionalità, che non i veri destinatari e comunque i co- protagonisti di una nuova Medicina.

Le Politica che Vorrebbe Sviluppare la FIOG

La Federazione, proprio per il suo discendere dal concerto di più Società ed Associazioni, vuole intervenire ponendosi come strumento politico, capace di avanzare proposte ed assumere iniziative rivolte al bene comune, alla protezione delle pazienti ed alla difesa della professione sanitaria, favorendo la ricostruzione di regole e comportamenti adeguati.
Una prima esigenza che si vuole sottolineare è quella di una più ampia e fruibile informazione. Lo slogan potrebbe e vuole essere: ‘Meglio sapere’. Informazione per la donna, sia nei percorsi di prevenzione, sia nei momenti più vulnerabili, dalla adolescenza, alla gravidanza, alla menopausa, sia ancora nelle patologie più specifiche. Naturalmente informazione-aggiornamento scientifico per i medici, per consentire di poter condividere e discutere le proprie opinioni, e poterle poi uniformare in procedure omogenee e trasferibili nelle diverse realtà sanitarie.
Ma anche, ed ancora, informazione guidata sulle possibilità e limiti non solo delle nostre acquisizioni, ma anche delle nostre strutture, delle nostre difficoltà di lavoro, delle arretratezze organizzative in molti dei nostri ospedali.
Un secondo obiettivo politico è quello rafforzare i collegamenti fra singoli medici del Territorio e fra singole pazienti  e gli Ospedali. Questo aspetto viene affrontato inizialmente discutendo la possibilità di una maggiore ma graduale fruibilità degli ospedali, su proposta delle pazienti, da parte di medici esterni allo staff. In tal senso parte l’iniziativa Porte Aperte in Ospedale.
Molti di questi obiettivi resterebbero lettera morta se non si determinasse anche un preciso intervento, anche di supporto, da parte del Territorio, ossia della Cittadinanza, verso gli ospedali e verso i sanitari, assumendo una reciprocità di ruoli che sottolinei la necessità di rapporti bi-direzionali. Territorio che sappia quindi assumere un ruolo fondamentale, con giusta esigenza di riforme sostanziali, ma, allo stesso tempo, capace di rendere meglio superabili le tante difficoltà che oggi condizionano il nostro lavoro . Il terzo grosso obiettivo è proprio quello di voler creare una specifica consapevolezza del Territorio, ossia della Comunità, sulle tante difficoltà economiche, gestionali, assicurative e legali che possono derivare, oggi, dall’esercizio della nostra professione. L’obiettivo può essere sintetizzato nello slogan ‘Cittadinanza esigente e solidale’
Questi i primi obiettivi sui quali si vuole lavorare, e sui quali vorremmo soffermarci con qualche dettaglio e precisazione.

Meglio Sapere : 
L’informazione appare una priorità assoluta, resa necessaria e pressante sia dalla nuova e oramai acquisita consapevolezza del diritto di ciascuno a sapere, sia dal rischio di lasciare spazi troppo ampi al sapere di internet, sempre più accessibile a tutti, ma troppo spesso erogatore di un sapere caotico, poco giustamente informante.
Informazione dunque per la donna che sta bene, per stimolarla a custodire e prolungare il proprio benessere, ed informazione sulla singole pazienti, per fornirle di una specie di passaporto sanitario con cui potersi recare presso qualsiasi altro medico o presidio o ospedale con la certezza di essere prontamente riconosciuta nelle annotazioni e raccomandazioni dei medici che l’hanno già avuta in cura. Un passaporto capace di creare una comunicazione appropriata non solo per le pazienti, ma anche fra i medici esterni all’ospedale e quelli che ne compongono lo staff. Un qualcosa del genere è stato realizzato in Inghilterra (www.preg.info/pages/index.htm) con moduli cartacei.
Da noi, dove questo sistema non ha mai funzionato, si vuole ri-provare mettendo a disposizione qualcuno degli strumenti già di routine nei settori commerciali, ma ancora desueto nel mondo della Sanità. La proposta è quella di realizzare una sorta di postazione informatica individuale, che avrebbe una serie di funzioni tutte concentrate in un computer e in un software dedicato. Tramite la postazione il medico può stampare dei fogli con le informazioni ritenute importanti, stilate da un comitato editoriale, eventualmente arricchite e/o modificate dal medico che le riceve, e personalizzate. In aggiunta il software consente ad ogni medico di ordinare e di archiviare i casi clinici mediante l’utilizzo di una cartella informatizzata, ma, in aggiunta l’aiuta a ricordare, ad informarsi e quindi a decidere.  La postazione informatica dovrebbe essere capace, ad ogni visita, di fornire degli stampati alle pazienti, per ricette, per esami, per informazioni, per la richiesta di consenso. Fogli tutti adeguatamente personalizzati, elaborabili da ciascun medico, da consegnare alla paziente, perché  possa poi leggerli anche oltre il momento della visita. Ma, molto importante, fra i vari benefit, il programma riesce a fornire quasi istantaneamente il passaporto sanitario  di cui si parlava, mettendo insieme i dati anagrafici, qualche annotazione anamnestica,  e le annotazioni sottolineate, creando ex novo un testo formattato automaticamente che può essere utilizzato a mo’ di relazione scritta, senza perdere tempo Quindi un software programmato proprio per descrivere al meglio il caso in esame. Questa possibilità, ossia di pazienti che possono arrivare in ospedale fornite di relazione verrebbe a concretizzare una esigenza avvertita, ma lasciata largamente inevasa. Un modo concreto e pratico per rispettare l’esigenza della continuità terapeutica.
In aggiunta, ed egualmente importante, la postazione informatica consente di ricevere informazioni in rete in forma automatica, quasi come gli aggiornamenti del computer. Una sorta di libreria virtuale, ordinata per argomento, sempre alimentata, consultabile rapidamente, con semplicità e precisione.
In questa direzione è in fase avanzata di elaborazione una cartella già sperimentata ed utilizzata, nella versione base, da molti anni da circa 600 colleghi: ora, nella versione più avanzata, molto semplificata, quasi come un foglio bianco su cui scrivere con pochissime regole, quindi come nelle cartelle tipiche. Soprattutto riscritta in linguaggio digitale più moderno, capace di essere anche trasferita sul proprio palmare, e quindi utilizzabile in qualsiasi posto, con l’ambulatorio sempre in tasca.

Porte Aperte in Ospedale
In questa iniziativa vi sono diversi obiettivi. Uno dei più importanti è sicuramente quello di realizzare un preciso continuum terapeutico per ogni donna che si reca in ospedale. Un passo avanti è sicuramente fornirle il passaporto. Ma, in aggiunta, appare anche importante consentire una maggiore apertura degli ospedali al territorio, favorendone una sorta di trasformazione, da luoghi spesso troppo chiusi in vere piattaforme di servizio, aperti alle esigenze non solo dei pazienti, ma anche dei medici territoriali esterni, rendendo quei luoghi sanitari più inseriti nel connettivo della Comunità, in un certo senso più trasparenti e più fruibili dai cittadini.
Nella foga di difendere il tempo esclusivo si è sentito parlare di tutti i vantaggi del lavorare solo in ospedale. Credo sarebbe il sogno di molti di noi, se si potesse avere sufficiente fiducia nelle capacità e nelle volontà organizzative. E, tuttavia, vi è un aspetto su cui riflettere, forse. Quando tutti lavorassero esclusivamente in ospedale, si creerebbe una separazione netta fra medici ospedalieri e tutti gli altri. Si accentuerebbe una situazione in parte già attuale: grossi ospedali e centri universitari, di fatto, chiusi ai medici esterni, che, quando vi si recano, perdono gran parte delle loro specifiche potenzialità.
Tale separatezza non appare conveniente neanche per il cittadino, che finirebbe o con il restare fuori dal circuito ospedaliero per continuare ad essere seguito dal suo medico non ospedaliero, o con il doversi recare in quelle strutture, con medici non conosciuti, soltanto per potere usufruire di attrezzature migliori.
L’obiettivo nostro sarebbe sostanzialmente quello di rimuovere la separatezza fra medici dello staff  e medici del Territorio, consentendo il principio che medici esterni, previa valutazione, possano entrare in ospedale con specifiche, misurate e valutate possibilità di autonomie professionali. Sarebbe, in qualche modo, una evoluzione della attuale figura del medico frequentatore, e recepirebbe l’esigenza dei medici che lavorano fuori dall’ospedale. Ricalcando, in qualche modo, i contratti fatti con qualche medico, spesso quando utilizzati per le guardie o per determinati servizi., chiamati gettonasti. La differenza sarebbe nel fatto che non vengono chiamati dall’ospedale, ma sarebbero loro stessi a proporsi, per potere seguire le proprie pazienti, sotto le direttive dello staff ospedaliero, ed, acquisendo, per tempi delimitati, la facoltà di agire in ospedale con una misurata autonomia. Li vedremmo come medici accreditati, autorizzati dunque ad accompagnare le loro pazienti e gestirne il trattamento, autonomamente o con l’aiuto dello staff, all’interno degli ospedali. Ogni paziente potrebbe sentirsi molto più a suo agio se potesse far intervenire il proprio medico, specialista o di famiglia.
Crediamo che sarebbe molto bello se quegli ospedali diventassero centri di accoglienza e patrimonio di molti, con strutture e competenze fruibili dalla comunità tutta: non solo dai cittadini che vi si rivolgono, ma anche da parte dei medici esterni, dislocati nel territorio. Non immaginiamo piazze aperte a tutti ed affollate, o a luoghi anarchici e caotici, bensì ospedali con il proprio staff, e tuttavia utilizzabili anche da colleghi esterni, sia libero-professionisti che medici dipendenti da altre Amministrazioni, previo opportuno e temporaneo accreditamento. A questi sanitari esterni, quando accreditati, dovrebbe essere consentito uno spazio di effettiva operatività, riconoscendo loro specifica responsabilità, purché nel rispetto dei protocolli diagnostici e terapeutici operanti nella divisione ospedaliera. Questa possibilità creerebbe lo stimolo e la necessità, per gli esterni, di un continuo aggiornamento, senza il quale verrebbe meno il rinnovo dell'accreditamento. E, d'altro canto, consentirebbe una verifica trasparente dei protocolli seguiti in ospedale: insomma una continua osmosi fra le diverse componenti sanitarie.
Dal canto suo l'ospedale si gioverebbe di questa forza-lavoro esterna, potendovi ricorrere nelle condizioni di necessità. I cittadini goderebbero del vantaggio di poter usufruire dei centri tecnicamente più attrezzati e culturalmente forse più avanzati, senza dover interrompere il rapporto fiduciario. Questo schema organizzativo è quello vigente in molti ospedali americani. Nella maternità di Yale, con circa 5.000 parti l'anno, l'85% delle gravide viene assistita da medici libero-professionisti. I quali, in caso di intervento difficile, superiore alle proprie capacità, utilizzano lo staff dell'ospedale devolvendo loro parte dell'onorario.
Si avrebbero ospedali aperti, davvero al servizio di tutti, superando la separatezza fra pubblico e privato, fra medici interni ed esterni, riducendo il rischio di una incerta gara di concorrenza, che comunque finirebbe con assottigliare i margini delle sinergie possibili, e con il limitare la libertà di scelta per cittadini e per medici.
Il titolo di ogni medico ad intervenire con un preciso ruolo e responsabilità non sarebbe implicito al suo essere laureato in medicina, o specializzato in una branca, bensì al suo aver conseguito un riconoscimento di medico accreditato, che comunque lo impegna a seguire i protocolli vigenti nell’ospedale.
Un medico particolarmente capace potrebbe porre domande di accreditamento  anche in due o tre diversi ospedali, assumendo gli iter accreditativi positivi come espressione di riconosciuta e valutata competenza. Il vantaggio, per questi medici sarebbe quello di poter seguire i propri pazienti fin nell’interno degli ospedali, con maggiori garanzie di buona assistenza: per esempio con più ampia disponibilità di Terapie intensive e Sub-intensive, e di Centri Trasfusionali, tutti abbastanza presenti negli ospedali e generalmente carenti nella Case di Cura. Ne trarrebbero anche il beneficio di partecipare ai diversi protocolli diagnostico-terapeutici, ed a continuare la propria formazione clinica, senza dover necessariamente ricorrere alle Case di Cura private. Per chirurghi, ostetrici, ortopedici etc. significherebbe poter continuare la propria attività restando nell’alveo dell’ospedale, anche operando sostanzialmente sul territorio.
Questo istituto dell’accreditamento consentirebbe agli ospedali di avere una serie di collaboratori esterni, magari utilizzabili, in misura maggiore o minore. Ospedali meglio organizzati, quelli anche con la migliore struttura alberghiera, sarebbero probabilmente quelli che riceverebbero le più numerose richieste di accreditamento. E, quelli di particolare prestigio potrebbero, per es. chiedere ai consulenti, in periodi particolari, una sorta di reperibilità stretta, un po’ come una sorta di personale medico di riserva. Tutto ciò renderebbe quanto mai dinamico il lavoro negli e degli ospedali, creando una fusione fino ad oggi mai sperimentata fra ospedali e medici del territorio.  
Sul piano amministrativo- sindacale- legislativo la figura del consulente esiste già nella pratica, e comunque  in molti ospedali. Per esempio in molte divisioni di ginecologia, i servizi di IVG sono spesso affidati a medici, cosidetti, gettonisti.
Proprio questa valutazione particolareggiata,  e limitata nel tempo,  rinnovabile ed ampliabile se il richiedente acquisisce maggiori esperienze e capacità, viene a consentire uno strumento di trasparenza finora mai realizzato in Italia.
La presenza di un numero ampio di collaboratori significa anche poter incrementare l’attività libero-professionale intra-moenia, con ricadute percentuali sull’organico (che quindi ne trarrebbe vantaggio), rendendo competitivi gli ospedali nei confronti delle Case di Cura private.
Questa apertura all’esterno, questo poter avere consulenti che frequentano anche altri ospedali, finirebbe con amplificare le possibilità di innovazioni e di omogeneizzazione fra i diversi ospedali, finendo con il mutuare, proprio per il tramite di consulenti in comune, esperienze cliniche degli uni e degli altri. E prenderebbe corpo anche un obiettivo importante, quello di far circolare idee ed informazioni, creare trasparenze. E consapevolezze, con ampie ricadute sia fra medici, che fra questi e le donne
Siamo convinti che grazie a questi due strumenti, della postazione informatica individuale e della possibilità di accreditamento  di medici esterni all’ospedale,  si possa contribuire a migliorare di molto la percezione, per la donna, di un SSN veramente fruibile con continuità di cura.

Cittadinanza esigente e solidale
In FIOG siamo convinti che, se davvero si vuole innovare, se davvero il federalismo sanitario vuole affermarsi come più efficace, più vicino alle esigenze della propria comunità, allora sarà necessario riconoscere e stimolare nuove proposte e nuova libertà di azione. Occorre passare dalle norme attuali, che qualcuno considera una sorta di manuale d'istruzione per applicare la riforma, a quelli che dobbiamo considerare gli accorgimenti necessari per utilizzare al meglio quella riforma. Ci si propone quindi di stimolare una nuova libertà d'iniziativa, da parte delle Comunità, che peraltro risulta già reclamata, con forza e determinazione, da alcuni governi regionali, e che sembra a volte indispensabile per affermare una serie di valori già diffusamente avvertiti Regioni non  soltanto come territorio, ma più esattamente come espressioni politiche di società civili, in una dimensione più circoscritta di quella nazionale, ma più immediatamente riconoscibile dal cittadino, più commisurata alle potenzialità ed ai limiti esistenti.
Sappiamo bene come sarebbe utopistico pensare che, di per se,  i governi regionali siano necessariamente belli in contrapposizione al governo centrale, al ministero brutto. Le dinamiche e le culture spesso rimangono le stesse, se non si innova il tessuto connettivo, se non si amplia il sostegno partecipativo. Ma questo è proprio ciò che vorremmo stimolare nel Territorio.
Proprio per l'esperienza acquisita negli ultimi decenni, crediamo sia fondamentale che, al di là dei partiti che si succedono nel governo centrale ed in quelli regionali, oggi vi sia necessità anche di altri interlocutori, autorevoli e sufficientemente critici, capaci di indirizzare e di chiedere, di partecipare politicamente alla gestione della salute. Del diritto alla salute. Alla salute appunto di intere comunità, perseguendo con maggiore determinazione gli obiettivi della consapevolezza, della prevenzione, dell'assistenza domiciliare, della particolare attenzione da rivolgere agli anziani. Un diritto alla salute che sappia riconoscere nella spesa per la salute soprattutto la finalità dell'investimento produttivo.
Spesso noi sanitari ci troviamo come impotenti: gli unici garanti visibili, ma con poca capacità di azione. Con la trasformazione delle ASL in aziende, è stata creata la figura dei Direttori Generali, per fortuna molto meglio degli amministratori sciatti che li hanno preceduti, dotati dei poteri e del piglio di veri amministratori delegati. Ma, come spesso capita nella Sanità, si è scivolati nell'eccesso opposto, creando un organo monocratico, con tutti i poteri: di indirizzo, di controllo e di gestione, senza nemmeno un Consiglio di Amministrazione che ne possa controllare l'operato. Con facoltà di licenziamenti in tronco, come già è accaduto, senza chiare e sufficienti motivazioni. O di assunzioni non sempre corrette secondo il TAR . 
Nel quotidiano non solo si continua ad avere problemi, ma, soprattutto, continua a mancare qualcuno a cui rivolgersi quando le nostre lettere sulle disfunzioni rimangono senza risposta; quando gli strumenti non vengono riparati, quando la semplice manutenzione viene ignorata. Dovremmo, per la nostra funzione di garanti nei confronti dei cittadini, finire con il denunciare i nostri stessi datori di lavoro. Assumendo un'altra caratteristica: la disponibilità a farci licenziare per denuncie non gradite, o a farci incriminare per non avere garantito a sufficienza gli interessi dei cittadini. Ecco allora che forse vale la pena ridiscutere di tutto l’insieme dell’organizzazione. Ponendo al centro la donna, il cittadino, in uno scenario che veda sia il Territorio che l’Ospedale.
In questa ottica crediamo nella necessità di un Osservatorio Permanente Sanitario, aperto a medici e, direi, anche agli utenti, che possa davvero rappresentare una novità politica interessante. In tal senso crediamo sia senz’altro da appoggiare la proposta avanzata da dal presidente dell’Ordine provinciale dei medici ed odontoiatri di Roma, Mario Falconi, della  Istituzione dell’Autorità Garante della Salute dei Cittadini, per meglio attuare una efficace tutela della salute in Italia, per come garantita dalla Costituzione (artt. 3 e 32). Allo stesso modo con cui si è intervenuti con numerosi provvedimenti in settori meritevoli di particolare interesse e vigilanza, riteniamo sia giunto il momento di colmare questa grossa lacuna procedendo con l’istituzione di una Autorità Garante, nella cui competenza potrebbero confluire, nel rispetto dell’art. 117 della Costituzione che sancisce il principio della competenza regionale, molte delle competenze di indirizzo e controllo attualmente del Ministero più altri compiti propri da individuare.
In aggiunta vorremmo che le nuove Comunità sapessero assumere un vero ruolo di ispezione nelle politiche sanitarie. Malgrado si sia tutti consapevoli di quanto possa essere fondamentale il ruolo della Economia Sanitaria, riteniamo sarebbe un grave sbaglio se a questo "sapere" manageriale si continuasse a riconoscere il ruolo di ideologia preminente ed esclusiva. La realtà è che si è in tanti ad essere protagonisti legittimi ed indispensabili: i manager per evitare che si disperdano risorse della collettività; gli utenti per esercitare il loro diritto alla salute; noi sanitari per essere gli erogatori al dettaglio ed i primi interlocutori del cittadino-paziente.
Forse sarebbe utile riconsiderare e recuperare il valore dell'esperienza medica: non tanto di quella più generica e teorica, quasi libresca, ma soprattutto di quella più specifica, acquisita sul campo, su di una data comunità, sulle specifiche strutture ospedaliere, sulle carenze territoriali da loro ben conosciute.
E probabilmente sarebbe anche rivedere la nostra collocazione, di noi medici e sanitari, riflettendo se sia davvero utile continuare a considerarci soltanto come dipendenti del Ssn, o se non possa risultare più vantaggioso rivalutarci come professionisti che si muovono in quel sistema con specifica capacità, riconoscendoci, come suggeriva Cavicchi, non più soltanto come semplici esecutori, ma come autori  di ciò che riusciamo a  realizzare.
Territorio dunque capace di formulare precise attenzioni. Ma anche capace di migliori e più informate consapevolezze. Per entrare con competenza nel merito e nei metodi delle gestioni degli ospedali. Per pretendere che le gestioni siano davvero oculate. Non soltanto sul piano economico. Ma anche nell’evitare incidenti. .
La situazione sta diventando per noi insostenibile: di fronte al sospetto che dietro ogni danno vi sia stata una responsabilità del medico, il numero dei contenziosi cresce a dismisura. Oggi, noi ostetrici, spendiamo quasi due stipendi per assicurarci per responsabilità professionale. Senza che, ancora, si vedano soluzioni adeguate per arrestare questa escalation. Gli errori in effetti, si verificano. Non è così strano: tutti gli esseri umani, qualunque sia il lavoro che svolgono, ne commettono. Il modo più efficiente per prevenire e ridurre gli errori umani consiste soprattutto nel progettare dei sistemi e delle procedure che rendano difficile, per una persona, fare delle cose sbagliate e che, all'opposto facilitino il fare cose giuste.
Questa filosofia è sicuramente molto ben sviluppata in vari settori, per esempio in quello degli elettrodomestici: le moderne affettatrici non si mettono in moto se entrambe le mani non premono alcuni bottoni, per evitare che, per distrazione, un dito sia a rischio. Analogamente programmi di volo, per i piloti, sono stilati in modo che non lavorino troppe ore di seguito senza riposare, per evitare che lucidità ed efficienza ne risultino attenuate. Nell'ambito medico adottare norme e sistemi di maggior sicurezza significherebbe effettivamente aumentare la protezione dei pazienti dai danni accidentali. Ma, in questa direzione, si fa poco, si continua ad incolpare il singolo medico lasciando che molti errori rimangano quasi impliciti, indovati, direi, nella scarsa organizzazione, senza che si riesca a migliorarla. In Medicina si continua a contare quasi esclusivamente sulle risorse umane, senza considerare che gli analisti di aziende le considerano l'ultimo dei fattori che entrano in gioco in un processo assistenziale, dopo l'assetto logistico, la qualità degli strumenti, la disponibilità del materiale di consumo, la efficienza dei servizi.
Vorremmo anche sperare che le Comunità e Cittadinanza sappiano anche diventare capaci di nuove espressioni di solidarietà. Facendosi carico, eventualmente, di condividere, tutti insieme, alcuni eventi più drammatici, quelli ad esempio che, in Francia, nell’ambito medico sono considerati danni senza colpa. Ossia quelle lesioni che si possono verificare senza che vi sia una responsabilità, o una colpa. Nel nostro settore, in Ostetricia, circa il 70% delle più gravi lesioni neonatali derivano da danni che si verificano nel corso della gravidanza, senza che sia possibile riconoscerne e quindi prevenirne la cause. In questa direzione la FIOG vuole esprimere tutto il proprio sostegno, in tutte le sedi, al DDL del collega sen. Antonio Tomassini, presidente della Commissione Sanità al Senato, concernente l’obbligo, per ogni ospedale e Casa di Cura di avere adeguata Assicurazione R.C. 
Territorio quindi come comunità con interessi superiori e specifici, che possano e sappiano proporsi come sostenitori degli ospedali, e che si diano gli strumenti per utilizzarli davvero al meglio, da un canto entrando nella loro gestione con apposite rappresentanze, e dall’altro fornendo  quei servizi e supporti di cui ogni ospedale necessita per proiettare la sua azione ed efficacia anche oltre ed al di là delle cure per acuti. Ed ancora recependo le diverse priorità, a volte di migliore strumentazione, altre di maggiore elasticità, altre ancora di elevata specializzazione, specie in territori caratterizzati da particolari vulnerabilità. 
In particolare, oggi, riteniamo prioritario un intervento sulle difficoltà che abbiamo per esercitare senza timori di essere denunciati per ogni cosa. Vorremmo che anche da noi si smettesse con le analisi superficiali, addossando al singolo sanitario ogni colpa, e si cominciasse a guardare alle frequenti inefficienze organizzative, oggi riconosciute, ma ancora largamente assolte. Sarà anche necessario richiamare con urgenza in discussione un ampio confronto sui possibili provvedimenti giuridici ed assicurativi che sono stati invocati e realizzati in altri Paesi. Essere Comunità dovrà significare non soltanto esprimere le tante esigenze, ma anche e soprattutto scegliere le politiche sanitarie misurandone i relativi costi. In tal senso vogliamo chiamare proprio le nuove Comunità, regionali e cittadine, oltre che ad un controllo verso un servizio di cui loro stessi devono usufruire anche alla espressione di solidarietà verso chiunque ne possa ricevere dei danni.
Un primo aspetto di questa politica della FIOG si ritrova nella campagna denominata Trasparenza e Sicurezza, appena avviata insieme a diversi Ordini di Medici, alla CIMO ed a Cittadinanzattiva. Si tratta di una lettera inviata ai direttori generali degli ospedali, e per conoscenza ai primari, per chiedere di conoscere quali siano le polizze assicurative vigenti. Per il momento si è deciso di valutare le regioni una alla volta, e si è partiti dalla regione Lazio. Le risposte, ad un mese dall’invio, e malgrado telefonate di sollecito sono state molto poche. Ma già è stato possibile avere sentore di un ospedale, quello di Frosinone, probabilmente privo di copertura assicurativa per responsabilità civile. In mancanza di risposta dal direttore generale è stato scritto al sindaco, chiedendo di accertare se quanto segnalato rispondesse a verità, ma non si è avuta risposta. Si è quindi scritto al presidente della Provincia prima e della Regione poi, sollecitando chiarimenti, domandando se potevano condividere sia tale silenzio, sia la possibilità davvero che si fosse  senza  polizza RC in un ospedale!
Le poche risposte finora ricevute sono state sottoposte all’esame di legali per essere valutate nelle loro clausole.  Un lavoro che si presenta lungo e faticoso, ma nel quale invochiamo l’aiuto dei media, e, soprattutto, delle Comunità, del Territorio, per far emergere precisi diritti, per lo meno di Trasparenza.

Naturalmente quelle esposte sono le proposte oggi per noi prioritarie, ma non certo le uniche possibili. Vorremmo che su queste ci confrontassimo e ci misurassimo, per potere finalmente sentirci uniti in obiettivi comuni, per potere fare sentire la nostra opinione, per imparare a confrontarci con il nostro vero punto di riferimento: l’interesse salute del cittadino.

Giovan B. Serra

Ultima modifica il Martedì, 20 Novembre 2012 16:06
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