Un diamante per sempre: andare a spasso anche dopo la morte

A chi ama viaggiare in vita, una società svizzera permette di andare a spasso anche dopo la morte.

In che modo?
Ma è chiaro, trasformandolo in un diamante di gran pregio.

La tecnologia ha fatto passi da gigante e con opportune tecniche la società svizzera Algordanza (che significa ricordo in lingua romancia) riesce a trasformare una salma in un diamante utilizzando gli stessi metodi con cui si producono i diamanti artificiali.


I diamanti sono costituiti esclusivamente da atomi di carbonio  e si sarebbero formati tra 4 miliardi e 250 milioni di anni fa e 2,5 miliardi di anni fa nella crosta terrestre a pressioni e temperature elevatissime.

Il sogno di produrre i diamanti è molto antico, ma la prima intuizione si deve al padre della chimica moderna, Antoine Laurent Lavoisier (Parigi, 26 agosto 1743 – Parigi, 8 maggio 1794). Lavoisier notò che i diamanti, sottoposti ad elevate temperature e pressioni in presenza di ossigeno, si trasformavano in grafite (altra forma in cui si legano gli atomi di carbonio) e anidride carbonica. Ne dedusse, quindi, che fosse possibile invertire il processo.
La difficoltà era rappresentata dalla impossibilità di raggiungere le pressioni necessarie alla produzione dei diamanti a 65.000 atmosfere ad una temperatura superiore ai 2000°C.

Vale la pena menzionare l’avventura  di un inventore torinese, Alessandro Cruto, che cercando di scoprire il modo di produrre diamanti sintetici, inventò la lampadina contemporaneamente allo scienziato americano William Sawyer, da cui Thomas Edison trasse spunto.
Cruto realizzò delle piccole lamine di carbonio che al passaggio della corrente elettrica si riscaldavano e producevano luce. Egli accese la sua lampadina il 4 marzo del 1880 ma venne preceduto da Edison il 21 ottobre del 1879. Nel 1881, Cruto illuminò piazza Carlo Felice a Torino e il 16 maggio del 1883 l’intero Piossasco (TO), suo paese nativo. Nonostante la lampadina di Edison durasse solo 40 ore, contro le 500 ore di quella inventata da Cruto, quest’ultimo non riuscì a spuntarla nella gara economica che vedeva un piccolo inventore italiano a confronto dell’industria statunitense.

I primi microcristalli di diamante furono ottenuti dal chimico inglese James Hannay nel 1880 e dal premio Nobel per la chimica, il francese Henri Moissan, nel 1886. Ma solo nel 1953 si potè parlare di veri diamanti artificiali; alcuni tecnici della compagnia svedese ASEA riuscirono a produrre cristalli da 0,01 a 1,2 mm, utilizzabili nelle applicazioni industriali. Un ulteriore miglioramento si ottenne applicando ai processi di produzione dei diamanti sintetici le macchine di Percy William Bridgman (Nobel per la fisica nel 1946) che producevano enormi pressioni.
Nel ’55 la General Electric ottenne diamanti più grandi ma di pochi millimetri e di bassa qualità.
Nel ’63 la sudafricana De Beers con la congolese Société Miniére du Beceka, riuscì ad ottenere cristalli migliori ma con costi che superavano quelli dell’estrazione dei diamanti naturali.
Il primo carato venne raggiunto dalla General Electric nel ’71, i due carati dalla Suminoto nell’85 e i 34 carati dalla De Beers nell’87. In realtà, questo grandissimo sforzo verso la produzione di diamanti sintetici non venne tanto dal mondo dei preziosi quanto dall’industria bellica e aerospaziale, che cercava di gestire questi cristalli per i fini più disparati, dagli abrasivi ai laser più sofisticati.
E’ solo negli anni ’90 che la Novosibirsk, in Siberia, riuscì a produrre diamanti a basso costo per la gioielleria. Ovviamente la De Beers non fu da meno e creò nuove apparecchiature che migliorarono il prodotto donandogli anche colorazioni differenti. Nel 2002 si è giunti alla tecnica del seme di diamante; partendo da un piccolissimo diamante ricoperto di grafite liquida a 1500 °C e 65.000 atmosfere si giunge a diamanti più grandi difficilmente distinguibili da quelli naturali. La ricerca continua e il prodotto migliora via via.

Conclusione: basta avere del carbonio per produrre diamanti e, udite udite, il corpo umano ne è pieno: si calcola che un soggetto di 70 Kg. ne contenga circa 16 Kg, pari al 23%.

 

Ecco come avviene il procedimento nei laboratori svizzeri della società Algordanza che ha più di venti sedi in tutto il mondo: la salma viene cremata e le ceneri inviate ai laboratori; qui vengono analizzate e sottoposte a procedimenti chimico-fisici atti ad estrarre il carbonio, che viene sottoposto a pressioni e temperature elevate per trasformarlo in grafite. Insieme alla grafite viene aggiunto un piccolo cristallo di diamante che poi sarà recuperato, quindi si sottopone il tutto nuovamente a temperature e pressioni elevate. Nuovi cristalli si formano accanto al diamante inserito. Al termine del processo viene estratto un diamante grezzo che sarà sottoposto ai dovuti tagli per renderlo luminoso e utile alla gioielleria. Volendo, con la tecnologia laser si potrà scrivere sul bordo una frase commemorativa. I diamanti potranno andare da 0,3 carati a 1 carato con una colorazione che va dal trasparente al blu a seconda della quantità di boro presente nelle ceneri (circa 0,069 g in un soggetto di 70 Kg.). Da un soggetto di 80 Kg. si può ottenere un diamante da un carato.  I tagli sono quelli classici che vanno dal brillante alla forma di cuore a seconda della richiesta del cliente. In base al peso e al tipo di taglio, il costo del diamante varia tra i 2.800 e i 16.000 euro.

In Giappone, dove la cremazione è molto diffusa, questo mercato ha dei buoni riscontri, ma anche in Germania; cattolici ed evangelici non sono contrari mentre vi è una certa opposizione da parte di musulmani ed ebrei ortodossi.

Per notizie più dettagliate:

www.algordanza.ch

1) Ogni singolo atomo è legato con un legame covalente ad altri quattro atomi a formare una struttura cristallina tetraedrica

Ultima modifica il Martedì, 27 Giugno 2017 16:10
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