Lo studio Global epidemiology of acute kidney injury in hospitalised patients with decompensated cirrhosis: the International Club of Ascites GLOBAL AKI prospective, multicentre, cohort study è stato coordinato dal Prof. Salvatore Silvio Piano, del Dipartimento di Medicina dell’Università degli Studi di Padova e Medico della Unità Operativa di Medicina Interna ad Indirizzo Epatologico dell'Azienda Ospedale-Università di Padova. «I pazienti con cirrosi scompensata sono particolarmente vulnerabili all’insufficienza renale acuta per le caratteristiche intrinseche di questa sindrome, caratterizzata da una ipovolemia efficace - sottolinea il Prof. Piano -. Il flusso sanguigno verso i reni si riduce e il corpo attiva meccanismi di compensazione che possono peggiorare ulteriormente la funzione renale. Infezioni, sanguinamenti o un uso eccessivo di diuretici possono rapidamente scatenare un’AKI, con un impatto drammatico sulla prognosi». Salvatore Silvio Piano Con questo nuovo studio, il team di ricerca ha voluto fornire una visione globale dell’epidemiologia e della gestione dell’AKI nei pazienti con cirrosi. Lo studio ha mostrato che l’AKI è molto comune, il 38% dei pazienti ricoverati per complicanze della cirrosi infatti, ha presentato questa condizione.
La forma più comune di AKI è quella secondaria ad ipovolemia, ovvero alla diminuzione del sangue che circola nell’organismo (59%), mentre la sindrome epato-renale, spesso considerata la principale causa, rappresenta solo il 17% dei casi. «Questo è un dato importante - spiega il Prof. Piano - perché dimostra che per la maggior parte dei pazienti è sufficiente rimuovere i fattori scatenanti e ripristinare il volume plasmatico con la somministrazione di fluidi, prima di ricorrere a terapie più aggressive come i vasocostrittori.» Inoltre lo studio ha mostrato grandi differenze regionali nella gestione dell’AKI, in modo particolare, l’utilizzo di terapie come l’albumina e la terlipressina ha presentato un’ampia variabilità tra le diverse regioni del mondo. Lo studio ha evidenziato che il trattamento dell’AKI varia molto tra i diversi paesi, e questo può influenzare gli esiti per i pazienti. Comprendere queste differenze è quindi fondamentale per migliorare la gestione della malattia e aumentare le probabilità di sopravvivenza. L’AKI risultava associata ad a un rischio elevato di mortalità: quasi un quarto dei pazienti con AKI (22,9%) è deceduto entro 28 giorni.
Tra i parametri associati ad una migliore sopravvivenza è da segnalare una maggiore qualità e accessibilità alle cure nei centri coinvolti, valutato con l’indice di “copertura sanitaria universale” sviluppato dall’organizzazione mondiale della sanità. Questo studio aiuta a comprendere come migliorare la gestione dell’AKI nei pazienti con cirrosi a livello globale, ovvero ottimizzando i trattamenti ospedalieri e garantendo un accesso equo e universale alle cure essenziali e a trattamenti salvavita come il trapianto di fegato. Lo studio è stato finanziato dalla European Association for the Study of the Liver (EASL) e dalla Società Italiana di Medicina Interna (SIMI).