L'équipe ha scoperto la sepoltura nell’estate del 2017, ma l’ha poi scavata completamente solo nel luglio dell’anno successivo. Il team è coordinato da ricercatori italiani, Stefano Benazzi (Università di Bologna), Fabio Negrino (Università di Genova) e Marco Peresani (Univerisità di Ferrara), nonché delle Università di Montreal (Canada), della Washington University (USA), dell'Università di Tubinga (Germania) e dell'Institute of Human Origins dell’Arizona State University (USA). Jamie Hodgkins, archeozoologa presso l’University of Colorado Denver, ha qui lavorato insieme a suo marito Caley Orr, anche lui paleoantropologo presso la stessa università.
Arma Veirana
Arma Veirana è una cavità, lunga una quarantina di metri e dalla curiosa forma a capanna, nota da tempo agli abitanti della val Neva, ma trovandosi lontana dalla costa e non essendo di facile accesso non è mai stata oggetto di indagini archeologiche programmate. Solo alcuni scavatori clandestini ne avevano purtroppo compreso l’importanza, mettendo in luce, attraverso due sondaggi, livelli con manufatti litici e fauna riferibili a frequentazioni umane del Paleolitico medio (uomo di Neanderthal) e del tardo Paleolitico superiore (Homo sapiens). Nella terra rimaneggiata derivante dagli scassi dei clandestini Giuseppe Vicino, ex-conservatore del Museo Archeologico del Finale, raccolse nel 2006 alcuni reperti che consegnò alla Soprintendenza, facendo quindi conoscere il sito alla comunità scientifica.
Il team dedicò le prime due campagne di scavo (2015 e 2016) ad indagare il deposito prossimo all'imboccatura della cavità, mettendo in luce livelli che contenevano manufatti litici datati a oltre 50.000 anni fa e tipici degli uomini di Neanderthal. Furono trovati anche resti di cibo, come ossa fatturate e con tagli di macellazione attribuibili a cervi e cinghiali, nonché residui di grasso carbonizzato. Nella porzione sommitale inoltre vennero in luce livelli datati alla fine del Paleolitico superiore e relativi a frequentazioni di raccoglitori-cacciatori di 16-15.000 anni fa.
Nel 2017, ampliando le attività di scavo verso la parte più interna della cavità, apparvero alcune conchiglie forate; si iniziò quindi a sospettare la presenza di una possibile sepoltura. E così accadde. Pochi giorni dopo, scavando in maniera molto attenta e accurata, utilizzando strumenti per dentisti e un piccolo pennello, furono messi in luce quello che restava di una calotta cranica e i primi elementi di corredo.
Una volta estratti il corpo e il suo corredo, i reperti sono stati poi oggetto di analisi scientifiche effettuate da esperti appartenenti a diversi enti di ricerca; queste indagini di laboratorio hanno così permesso di ottenere preziose informazioni sulla sepoltura e sulla sua cronologia. È stata infatti l’analisi dell’amelogenina, una proteina presente nelle gemme dentarie, e del genoma a rilevare che il neonato era femmina e che apparteneva a un lignaggio di donne europee noto come aplogruppo U5b2b. La datazione al radiocarbonio ha inoltre permesso di stabilire che la neonata, che il team ha quindi soprannominato "Neve", era vissuta 10.000 anni fa circa, durante il Mesolitico antico, nella prima fase dell’Olocene.
Una neonata del Mesolitico
Il Mesolitico (11.000-7.500 anni fa circa da oggi) è una fase cruciale della storia europea. Seguì la fine dell'ultima era glaciale e vide l’adattamento delle comunità paleolitiche di cacciatori-raccoglitori a un nuovo contesto ambientale, di tipo interglaciale, caratterizzato da un’espansione delle aree forestate e dalla risalita del livello marino. Si concluse solo con l’arrivo delle prime comunità neolitiche di allevatori e agricoltori dal Vicino oriente.
Esiste una buona documentazione di sepolture riferibili alla fase media del Paleolitico superiore (Gravettiano), nonché alle sue fasi terminali (Epigravettiano recente). Non frequenti sono le sepolture riferibili al Mesolitico e particolarmente rare, per tutte le epoche considerate, quelle attribuibili a soggetti infantili. La scoperta di Neve è quindi di eccezionale importanza e ci aiuterà a colmare questa lacuna, gettando luce sull’antica struttura sociale e sul comportamento funerario e rituale di questi nostri antenati.
L'istologia virtuale delle gemme dentarie della neonata, realizzata presso il laboratorio di luce di sincrotrone Elettra a Trieste, ha stabilito la sua età di morte, avvenuta 40-50 giorni dopo la nascita; ha inoltre evidenziato come la madre di Neve avesse subito alcuni stress fisiologici, forse alimentari, che hanno interrotto la crescita dei denti del feto 47 e 28 giorni prima del parto. L’analisi del carbonio e dell'azoto, sempre estratto dalle gemme dentarie, ha inoltre evidenziato che la madre si nutriva seguendo una dieta a base di prodotti derivanti da risorse terrestri (come ad esempio animali cacciati), e non marine (come la pesca o la raccolta di molluschi).
Lo studio degli ornamenti, costituiti da conchiglie cucite su di un abitino o un fagotto in pelle, ha evidenziato la particolare cura che era stata investita nella loro produzione; inoltre, diversi ornamenti mostrano un'usura che testimonia come fossero stati prima indossati per lungo tempo dai membri del gruppo e che solo successivamente fossero poi stati impiegati per adornare la veste della neonata. Neve testimonia dunque che anche le femmine più giovani erano riconosciute come persone a pieno titolo in queste antiche società.