C’era vita sulla Terra 3,48 miliardi di anni fa

Università di Bologna 10 Nov 2022


Una nuova conferma arriva grazie ad una serie di approfondite analisi su alcune stromatoliti rinvenute a Pilbara, nell’Australia occidentale, in un'area nota come Formazione del Dresser. I risultati offrono anche nuove indicazioni per la ricerca di tracce di vita su Marte.


Attraverso una serie di avanzate tecniche di analisi, un gruppo internazionale di ricercatori è riuscito a stabilire l’origine biologica di alcune fra le più antiche stromatoliti mai individuate: strutture sedimentarie generate dall’azione di microrganismi fotosintetici che risalgono a 3,48 miliardi di anni fa. I risultati dello studio – presentati sulla rivista Geology – potrebbero fornire nuove indicazioni anche per la ricerca di tracce di vita su Marte. Reperti come quelli analizzati, che testimoniano le più antiche tracce dell’esistenza della vita sul nostro pianeta, sono spesso controversi, perché le strutture che potrebbero indicare la presenza di un’antica forma vivente possono essere molto simili ad altre strutture formate invece da processi non biologici. Inoltre, si tratta di fossili antichissimi, spesso soggetti a profonde alterazioni che avvengono nel corso di miliardi di anni.

Per ottenere nuove risposte su questo tema, gli studiosi hanno analizzato alcuni esemplari fossili risalenti a 3,48 miliardi di anni fa, rinvenuti a Pilbara, nell’Australia occidentale, in un'area nota come Formazione del Dresser. Si tratta di stromatoliti: macrofossili che si possono trovare in antiche rocce sedimentarie e nascono dalla complessa interazione tra comunità microbiche e l’ambiente circostante.


I reperti oggetto dell’analisi avevano subito però nel tempo forti alterazioni fisiche e chimiche (diagenesi) e fenomeni di erosione, e non avevano preservato al loro interno nessun tipo di materiale organico. Per capire se si trattava di formazioni con un’origine biologica, i ricercatori hanno utilizzato un approccio multianalitico: microscopia ottica ed elettronica, geochimica elementare, spettroscopia Raman, tomografia computerizzata e luce di sincrotrone. Inoltre, per la prima volta – grazie alla linea di imaging SYRMEP del laboratorio Elettra Sincrotrone di Trieste – è stata realizzata una ricostruzione in 3D delle microstrutture presenti nelle stromatoliti con una risoluzione inferiore al milionesimo di metro.

Gli esiti di queste approfondite indagini, anche tridimensionali, hanno permesso di confermare che le stromatoliti australiane sono in effetti state generate dall’azione di microrganismi fotosintetici. “Queste analisi ci hanno permesso di rilevare strati morfologici non uniformi, cavità create dal processo di decadimento della materia organica e strutture verticali che possono essere interpretate come strutture microbiche disposte ‘a palizzata’: un elemento che indicherebbe un processo di crescita fototropico, cioè orientato verso la luce”, spiega Barbara Cavalazzi, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. E non è tutto. Oltre ad offrire nuove conferme sulla presenza di forme di vita sul nostro pianeta già 3,48 miliardi di anni fa, i risultati ottenuti dagli studiosi possono offrire indicazioni anche per la ricerca di vita su un altro pianeta: Marte. Alcune rocce sedimentarie presenti sulla superficie del pianeta rosso sembrano infatti avere caratteristiche simili a quelle che contenevano le stromatoliti rinvenute nella Formazione del Dresser in Australia.


“Il rover Perseverance, che su Marte sta esplorando il cratere Jezero, potrebbe ora andare alla ricerca di formazioni simili a quelle che abbiamo individuato e analizzato”, conferma Cavalazzi. “E preparare così prezioso materiale da studiare quando riusciremo a riportare sulla Terra campioni rocciosi marziani”.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Geology con il titolo "Advanced two- and threedimensional insights into Earth’s oldest stromatolites (ca. 3.5 Ga): Prospects for the search for life on Mars". Insieme a Barbara Cavalazzi, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna, hanno partecipato studiosi del Natural History Museum di Londra (Regno Unito), del CNRS - Centre de Biophysique Moléculaire (Francia) e di Elettra Sincrotrone Trieste.

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