“Con il nostro studio dimostriamo che, per spiegare l’intensità dei flussi di CO2, non bastano temperatura e radiazione solare”, spiega Marta Magnani ricercatrice del Cnr-Igg e prima autrice del lavoro, che durante il suo dottorato di ricerca ha partecipato alle campagne di misura e sviluppato un modello matematico dei flussi di anidride carbonica. “L’umidità del suolo, l’abbondanza e la tipologia della vegetazione giocano un ruolo primario. I cambiamenti climatici in atto in Artico potrebbero portare a importanti variazioni nel bilancio dei flussi di carbonio. L’aumento delle temperature favorisce una respirazione più intensa della vegetazione e del suolo, aumentando le emissioni di CO2, ma anche un allungamento della stagione vegetativa e una possibile espansione di specie con maggiore capacità fotosintetica, che porterebbe ad un maggior assorbimento di CO2 atmosferica e quindi una diminuzione della sua concentrazione. Se la tundra artica sarà una sorgente o un pozzo di CO2 dipenderà da quale di questi due fattori diventerà dominante”.
“I dati sono stati ottenuti utilizzando uno spettrofotometro portatile chiamato IRGA (Infra-Red Gas Analyser), che grazie alla possibilità di misurare i flussi di gas in punti diversi della tundra ci ha permesso di analizzare il ruolo delle differenti specie vegetali e di confrontare i flussi delle piante vascolari ( dotate cioè di un sistema di vasi per condurre l'acqua), con quelli dei muschi e dei licheni”, continuano Mariasilvia Giamberini e Ilaria Baneschi del Cnr-Igg, che hanno trascorso diversi mesi in Artico fra il 2018 e il 2021, rivestendo anche il ruolo di “station leader” della base italiana.
“Studi come il nostro servono a esplorare in dettaglio i processi climatici, per poter sviluppare modelli predittivi che valgano in ampie zone della tundra artica e permettano di stimare se il bilancio netto andrà verso maggiori emissioni o maggior assorbimento locale di CO2”, precisa Antonello Provenzale, direttore del Cnr-Igg.
I prossimi passi del gruppo di ricerca saranno l’analisi della dinamica invernale dei flussi di CO2 in Artico, con misure anche nel manto nevoso, e l’uso di dati satellitari combinati con i modelli di ecosistema per estendere le stime dei possibili cambiamenti a regioni più ampie della tundra. “Il nostro gruppo è interessato specialmente ai cambiamenti della 'zona critica', ovvero quel sottile strato vitale che include il suolo, la vegetazione, il microbiota, la fauna del suolo e l’acqua superficiale e sotterranea, e che sostiene il funzionamento degli ecosistemi terrestri. Per questo motivo, studiamo la dinamica della zona critica in ambienti estremi come l’Artico, le alte quote alpine e le aree vulcaniche quali le pendici dell’Etna”, conclude Provenzale.