I risultati, pubblicati ora sulla rivista Marine Pollution Bullettin, rivelano che le particelle di plastica offrono un substrato aggiuntivo ideale per la crescita delle comunità che già proliferano nella cosiddetta “marine snow” presente in acqua, cioè l’insieme di particelle naturali composto da alghe, piante acquatiche, zooplancton – come residui di pesci e altri animali- e fitoplancton.
“Nel nostro studio abbiamo prima quantificato la presenza di microplastiche e di particelle organiche di origine naturale, quindi abbiamo analizzato le comunità batteriche presenti su entrambi i substrati e la presenza di resistenze ad antibiotici e metalli pesanti”, afferma Gianluca Corno dell’Istituto di ricerca sulle acque (Cnr-Irsa). “In particolare, abbiamo rilevato che la maggior parte delle particelle di microplastica non seleziona ‘nuovi’ batteri - non si generano cioè, dal punto di vista microbiologico, nuovi inquinanti- ma offre un supporto addizionale su cui proliferano comunità batteriche molto simili a quelle presenti sulle particelle naturali. Tali comunità, che rivestono le particelle sotto forma di sottilissimi biofilm, sono molto diverse da quelle che vivono in acqua, e comprendono anche specie patogene per gli esseri umani o per gli animali, come Vibrio, Alteromonas, Pseudolateromonas. Ad oggi, il rischio batteriologico legato a infezioni provocate da batteri patogeni che crescono in acqua di mare è relativamente basso, soprattutto in mari estremamente poveri di nutrienti ed in acque fredde, che limitano la crescita di queste specie batteriche. La situazione però sta rapidamente cambiando”.
Con il progressivo riscaldamento delle acque, infatti, il fenomeno potrebbe ampliarsi: “Le acque sempre più calde dei nostri mari daranno a questi batteri un grande vantaggio ecologico, perché li renderanno più competitivi rispetto ai batteri marini non-patogeni, come si è già visto con il forte incremento di infezioni causate da specie patogene, tra cui Vibrio, nelle acque costiere dell’America Settentrionale. Tra essi, infatti, rientrano anche specie patogene per gli esseri umani che, oltre a rappresentare un pericolo per persone e animali, possono compromettere attività come la balneazione e in generale l’uso dell’acqua. Se a questo fenomeno aggiungiamo la già massiva presenza di microplastiche, substrati ideali che aumentano la disponibilità di micro-habitat adatti a tali batteri, la loro proliferazione sarà ulteriormente favorita”, aggiunge il ricercatore.
Lo studio non ha evidenziato differenze significative tra i campionamenti condotti in mare aperto e quelli condotti sulle coste: “Questo è dovuto al fatto che il Tirreno, e il Mediterraneo in generale, subiscono un impatto antropogenico significativo da tempo, per cui la quantità di plastica e microplastica presente, e la relativa età media delle particelle, è molto alta, riducendo le differenze tra siti di recente contaminazione e quelli invece meno esposti alle stesse. A questo contribuiscono anche le correnti superficiali che, nel Tirreno, tendono a mescolare rapidamente le acque”, conclude Corno.
I risultati sono stati ottenuti nell’ambito del progetto di ricerca “AENEAS”, finanziato da AXA Foundation, che ha compreso da una serie di campionamenti in barca a vela nel settembre 2019. I dati sono stati oggetto di elaborazione successivamente, date le restrizioni e la limitata disponibilità dei laboratori durante il periodo della pandemia.