Roberto Francese, primo autore dello studio e docente di Geofisica all’Università di Parma, ha spiegato: «Abbiamo voluto analizzare la tragedia con gli strumenti della scienza, mettendo insieme dati storici, rilievi di precisione e modelli fisico-matematici per comprendere se e come l’instabilità del ghiacciaio potesse essere prevedibile. Il nostro lavoro dimostra che la Marmolada non è crollata per un singolo fattore scatenante, ma per una combinazione di condizioni critiche che si sono sommate in modo sinergico». Il secondo autore dello studio è Roberto Valentino, docente di Geotecnica presso l'Università di Parma.
La Dinamica del Collasso
Il crollo si è verificato in un piccolo circo glaciale sotto Punta Rocca (3309 m), in un settore del ghiacciaio già frammentato. I ricercatori stimano che la massa di ghiaccio si sia staccata da una zona con inclinazioni fino a 40°, percorrendo oltre 2,3 km a una velocità stimata tra gli 80 e i 90 km/h. L'ipotesi sismica è stata esclusa, in quanto nessun terremoto è stato registrato in prossimità dell'evento.
L'analisi ha invece individuato le seguenti cause principali del collasso:
Accelerata fusione nivale e glaciale: Dovuta a temperature record registrate nella primavera e nell’estate del 2022.
Massiccia presenza di acqua di fusione: Intrappolata in profondi crepacci ostruiti, ha generato elevate pressioni idrauliche.
Degrado del permafrost: Nella roccia sottostante, ha ridotto la coesione tra ghiaccio e substrato.
Geometria sfavorevole del letto roccioso: Caratterizzata da pendenze elevate e strati di detrito glaciale poco coesivo.
Aldino Bondesan, geografo dell’Università di Padova e corresponding author dello studio, ha affermato: «Il ghiacciaio si è trovato improvvisamente in una condizione di equilibrio precario: la temperatura interna era elevata, la base era instabile e l’acqua in pressione, nei crepacci e alla base, ha esercitato una spinta. L’evento si è consumato in pochi secondi, ma le sue premesse si sono costruite nei mesi e negli anni precedenti».
Tecniche di Indagine Avanzate
Per le loro ricerche, il team ha impiegato tecniche geofisiche avanzate, tra cui:
Rilievi con georadar (Ground Penetrating Radar – GPR).
Misure geolettriche.
Ricostruzioni topografiche con laser scanner terrestri e droni LIDAR.
Elaborazione di immagini satellitari ad alta risoluzione per analizzare la presenza d'acqua superficiale e inglobata, tramite indici multispettrali come il NDWI (Normalized Difference Water Index).
È stato anche effettuato un carotaggio del ghiacciaio residuo e sono stati inseriti sensori di temperatura a diverse profondità per monitorare le condizioni termiche alla base del ghiacciaio. I dati hanno rivelato temperature comprese tra -2,4°C e -3,1°C nel cuore del ghiaccio, indicando un ambiente freddo ma prossimo al punto di fusione.
La stabilità del ghiacciaio è stata poi simulata numericamente utilizzando il Limit Equilibrium Method (LEM). Solo l'interazione di più fattori destabilizzanti ha portato a valori del "fattore di sicurezza" (FoS) inferiori a 1, soglia che indica la perdita di equilibrio.
Un Monito per il Futuro
Il crollo della Marmolada rappresenta il primo caso documentato in Italia di una valanga glaciale con un bilancio umano così drammatico. Tuttavia, non è un episodio isolato: eventi simili stanno aumentando nelle regioni alpine e andine, a causa della rapida ritirata dei ghiacciai e della degradazione del permafrost.
Questo studio fornisce una chiave interpretativa fondamentale non solo per comprendere quanto accaduto, ma anche per definire strategie di monitoraggio e prevenzione dei rischi in alta montagna. I risultati sottolineano l'importanza di integrare osservazioni climatiche, rilievi geofisici e modellazione numerica per anticipare scenari di collasso potenzialmente catastrofici.
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