Venerdì, 24 Settembre 2021

 

La Food and Drug Administration (FDA) approva l'utilizzo della tecnologia di gene-editing messa a punto presso la Temple University, dal Prof. Kamel Khalili in collaborazione con il gruppo del Prof. Pasquale Ferrante dell’Università Statale di Milano, e apre la strada alla prima sperimentazione della terapia basata su CRISPR per l'eliminazione dell'HIV nei pazienti umani.


Negli ultimi sette anni, il prof. Kamel Khalili ed il suo gruppo di ricercatori della Lewis Katz School of Medicine della Temple University di Philadelphia (USA) hanno sviluppato e perfezionato, anche in collaborazione con il prof. Pasquale Ferrante ed il suo gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano, la tecnologia di gene-editing basata su CRISPR, per il trattamento dell'infezione da HIV, attraverso l'eradicazione del genoma del virus da quello delle cellule infettate.

Pubblicato in Genetica

 

Pubblicato sulla rivista EBioMedicine, edita da The Lancet, uno studio italiano*, il più ampio mai realizzato sulla vaccinazione anti-Covid nei pazienti con sclerosi multipla. I risultati della ricerca multicentrica nazionale, coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova e cofinanziata da AISM con la sua Fondazione, dimostrano che alcuni farmaci per la cura della sclerosi multipla riducono gli anticorpi sviluppati in seguito al vaccino anti-Covid. Questi risultati sono rilevanti per la gestione di pazienti fragili in trattamento con farmaci che frenano l’azione del sistema immunitario.


Vaccino e sclerosi multipla: è italiano il più grande studio al mondo


Alcune cure riducono la capacità di fare anticorpi ma la maggior parte dei farmaci ne permette il normale sviluppo. Ricerca apripista per le altre malattie autoimmuni.

Nei pazienti con sclerosi multipla (SM) sottoposti alla doppia dose di vaccino anti-COVID, alcuni farmaci riducono gli anticorpi specifici. Lo dimostra per la prima volta una ricerca italiana che ha coinvolto 35 centri nazionali per la SM, coordinati dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista EBioMedicine. Lo studio è stato cofinanziato da AISM con la sua Fondazione (FISM).

Dopo un mese dalla seconda dose, la maggior parte dei pazienti vaccinati con Moderna o con Pfizer ha una copertura anticorpale elevata contro COVID-19. La percentuale si riduce in chi è trattato con fingolimod (93%), rituximab (64%) e ocrelizumab (44%). In tutti i pazienti, senza distinzione di età, sesso e tipo di terapia, è stato osservato che Moderna determina livelli anticorpali 3.2 volte più alti rispetto a Pfizer. Questo è il primo grande studio che analizza la vaccinazione anti-COVID nell’ambito della SM e i suoi risultati gettano le basi per la gestione dei pazienti neurologici fragili in trattamento con farmaci che inibiscono il sistema immunitario.

“La sclerosi multipla è una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario aggredisce la mielina che riveste i nervi provocandone un progressivo malfunzionamento cui segue nel tempo la comparsa di disabilità - spiega la prof.ssa Maria Pia Sormani, del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova, coordinatrice principale dello studio – “In Italia ne soffrono circa 130.000 persone, con una incidenza di circa 3.600 nuovi casi all’anno e in tre casi su quattro si tratta di donne. Al momento non esistono cure definitive, ma terapie che consentono di rallentare il decorso della malattia e quindi la comparsa di disabilità, motorie e non solo, soprattutto modulando l’attività delle cellule del sistema immunitario”.

Lo studio

I pazienti con sclerosi multipla sono stati inseriti nella categoria dei ‘pazienti fragili’ con vaccinazione anti-COVID prioritaria; tuttavia finora, a eccezione di risultati preliminari arrivati da Israele, primo paese al mondo ad aver avviato la campagna vaccinale, non era noto l’effetto dei vaccini sui pazienti con SM. La ricerca italiana ha coinvolto 780 pazienti con SM, suddivisi in 12 gruppi in base al tipo di terapia ricevuta, che si sono sottoposti volontariamente alla vaccinazione anti-COVID, 594 con Pfizer e 186 con Moderna.

“Il dosaggio degli anticorpi anti-COVID è avvenuto dopo 4 settimane dalla seconda dose del vaccino, quando cioè si dovrebbe avere la più alta produzione di anticorpi – precisa Sormani - I risultati dimostrano che fingolimod, rituximab e ocrelizumab, inibiscono la produzione di anticorpi in seguito alla vaccinazione contro il COVID-19. Nei pazienti trattati con tutti gli altri farmaci i livelli sono normali. Inoltre, i pazienti vaccinati con Moderna hanno livelli di anticorpi di oltre 3 volte maggiori rispetto a quelli ottenuti con il vaccino Pfizer”.

 

Livelli anticorpali RBD post-vaccinazione in relazione al tipo di vaccino. Note: ga=glatiramer-acetate, ifn=interferon, alem=alemtuzumab, clad=cladribine, dmf=dimethyl-fumarate, teri=teriflunomide, rtx=rituximab, fty=fingolimod, ocre=ocrelizumab.

 

“Lo studio prosegue con il completamento della raccolta dei campioni sui 2.000 pazienti arruolati e la valutazione del follow up clinico – aggiunge Sormani - Il nostro obiettivo infatti è prima di tutto verificare che le persone con SM non sviluppino il COVID in forma severa, in particolare quelli che hanno prodotto bassi livelli anticorpali”.

“Non sappiamo ancora – prosegue Antonio Uccelli, neuroimmunologo e Direttore Scientifico del San Martino - se la riduzione di anticorpi contro il COVID si traduca in una minore efficacia del vaccino. A questo proposito è fondamentale monitorare clinicamente i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie, per esempio i linfociti T, che potrebbe garantire comunque una protezione sufficiente”.

 

L'alleanza Covid-19 e SM

La Fondazione Italiana Sclerosi Multipla ha finanziato questo studio nell’ambito della Alleanza italiana di ricerca promossa con il “Registro Italiano Sclerosi Multipla”, la Società Italiana di Neurologia (SIN) con il Gruppo di Studio Sclerosi Multipla (il network di tutti i Centri Sclerosi Multipla italiani) e l’Associazione Italiana di Neuroimmunologia (AINI): insieme hanno sottoscritto un’Alleanza per promuovere un’agenda di ricerca sull’impatto dell’infezione da COVID-19 nelle persone con SM e, in particolare, la relazione tra COVID-19 e farmaci modificanti la malattia e vaccinazione.
“Questa alleanza è fondamentale perché sta dando impulso a studi più approfonditi per chiarire questi ulteriori quesiti scientifici che ci daranno a breve il quadro completo utile a prendere tempestive decisioni cliniche” spiega la Dott.ssa Paola Zaratin, Direttore Scientifico della FISM.


“Questo prestigioso studio condotto dal San Martino e dall’Università di Genova con la rete italiana dei Centri SM si colloca in questo piano di ricerca utile a capire come le terapie influenzino l'infezione da SARS-CoV-2 in persone con sclerosi multipla e come SARS-CoV-2 stesso influenzerà la sclerosi multipla. Un’emergenza che vede il mondo della ricerca fare i suoi importanti passi per debellare questo virus e per questo noi della FISM, grazie al contributo di tutti i cittadini, diamo tutto il nostro sostegno finanziando in maniera prioritaria questo filone di studi su cui l’alleanza ha già individuato le priorità strategiche di ricerca” dichiara Mario Alberto Battaglia, presidente della FISM.

Lo studio è stato un grande successo della rete italiana dei centri SM, che in modo compatto e rapido si è unita per raccogliere dati importanti da rendere pubblici velocemente per l’intera comunità mondiale.

“Tutti hanno fatto uno sforzo che va al di là dei propri doveri istituzionali, dal personale infermieristico che si è prestato a fare prelievi extra, al personale amministrativo che ha accelerato le pratiche per avere le approvazioni necessarie allo studio, alla FISM che ha rapidamente finanziato lo studio, aiutando capillarmente i centri coinvolti, a tutti i neurologi che spesso hanno fatto personalmente i prelievi e inserito i dati durante i week end, fino ai pazienti che volontariamente sono tornati, un mese dopo la vaccinazione, per sottoporsi al prelievo” precisa Irene Schiavetti, ricercatrice dell’Università di Genova e co-responsabile del coordinamento dello studio e della raccolta dati.

 

Pubblicato in Medicina
Venerdì, 24 Settembre 2021 08:30

GIORNATA MONDIALE DEL GORILLA

 

il 24 settembre è la Giornata mondiale del gorilla, quello di montagna in bilico tra bracconaggio e guerre civili

 

Nonostante le criticità degli ultimi mesi dovute alla pandemia da Covid-19, gli sforzi di conservazione per la salvaguardia del Gorilla di montagna continuano a dare dei buoni frutti.

Lo racconta il WWF, in occasione della Giornata mondiale del Gorilla, che si celebra il 24 settembre. La sottospecie, suddivisa in due popolazioni, è presente unicamente in due aree protette: nel Parco Nazionale del Virunga, posto ai confini tra l’Uganda, il Rwanda e la Repubblica Democratica del Congo, e nel Parco Nazionale del Bwindi in Uganda.
All’esterno delle due aree protette si rinviene la maggiore densità umana del continente africano. Questa situazione determina due fattori di rischio importanti per il gorilla di montagna: l’elevata possibilità per gli individui ospitati nelle aree protette di contrarre il virus per diretto contatto uomo-gorilla e l’aumento delle attività illegali dovute a un minor controllo delle aree a causa dei mancati afflussi turistici.

OLTRE 800 LE TRAPPOLE RIMOSSE
Nonostante una fase iniziale di incertezza e paura, basti pensare che nei primi due mesi di pandemia sono stati rinvenuti nelle Riserve dai ranger 822 trappole illegali contro le 21 del 2019 e che per mano di un bracconiere sia deceduto Rafiki, uno dei più carismatici silverback (maschi adulti) del Virunga, nel periodo successivo entrambe le minacce sono state scongiurate grazie all’assidua e rinforzata attività del personale delle riserve.

In un momento storico così complicato per la conservazione sul campo, i dati della popolazione non destano preoccupazione, come sostenuto da Nelson Guma, responsabile dei ranger dell’Area di Conservazioine di Bwiindii Mgahiinga: “Quando agiamo con l’intento di mettere in atto nuove e più severe misure di conservazione, i risultati sono sempre fantastici”.

Pubblicato in Ambiente


L’attuale censimento della formazione e della crescita delle galassie dopo il Big Bang è ancora incompleto. Lo svela un team di ricerca internazionale, che in Italia coinvolge cosmologi della Sapienza e della Scuola Normale Superiore di Pisa. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature
L’universo primordiale è probabilmente molto più ricco di quanto sembri. La polvere interstellare potrebbe celare intere popolazioni di galassie finora sconosciute. È di queste settimane la scoperta ad opera di un team di ricerca internazionale, che in Italia vede coinvolte la Sapienza e la Scuola Normale Superiore di Pisa, di due galassie antichissime, risalenti a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando l’Universo aveva raggiunto poco meno dell’8% della sua età.

Pubblicato in Astrofisica

 

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