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Il nome di Bruce Willis, icona del cinema d'azione e simbolo di carisma, è diventato negli ultimi anni un veicolo cruciale per la sensibilizzazione pubblica su una malattia neurodegenerativa meno nota: la demenza frontotemporale (FTD). La sua storia, gestita con ammirevole trasparenza dalla famiglia, offre un'opportunità unica per comprendere la progressione di questa patologia.

Bruce Willis ha costruito una carriera leggendaria, trasformando il suo carisma da "uomo comune" in un tratto distintivo. Dopo il successo televisivo con la serie "Moonlighting", la sua ascesa a star globale è avvenuta grazie al ruolo di John McClane in "Die Hard" (1988), un personaggio che ha ridefinito il genere d'azione. Film come "Pulp Fiction" e "Il sesto senso" hanno poi mostrato la sua versatilità, consolidando il suo status di attore di rara profondità. Proprio questa sua nota forza e incisività hanno reso particolarmente evidenti i primi segnali di declino.

I primi sintomi sono emersi in modo sottile e insidioso sul set. Colleghi e membri della troupe hanno notato la crescente difficoltà di Willis nel memorizzare le battute e nel seguire le indicazioni del regista. Nel marzo 2022, la famiglia ha annunciato il suo ritiro dalle scene a causa di una diagnosi di afasia, un disturbo del linguaggio. Quasi un anno dopo, a febbraio 2023, la famiglia ha chiarito che l'afasia era in realtà un sintomo della demenza frontotemporale (FTD).

Pubblicato in Medicina




At the heart of every health emergency is a battle. Not just against a pathogen, but also against misinformation. The COVID-19 pandemic brought to light a deep rift between the scientific community and public perception. On one extreme, you have health agencies and governments trying to disseminate information based on rapidly evolving data. On the other, a growing wave of skepticism fueled by false myths and a profound distrust in institutions.
To understand this dynamic, it is helpful to look at the figures of John Ioannidis and Susan Monarez. Their roles, while different, are essential for comprehending the complex interplay between science, data, and communication in times of crisis.

Pubblicato in Scienceonline



Nel cuore di ogni emergenza sanitaria c'è una lotta. Non solo contro un agente patogeno, ma anche contro la disinformazione. La pandemia di COVID-19 ha messo in luce una profonda frattura tra la comunità scientifica e la percezione pubblica. A un estremo ci sono le agenzie sanitarie e i governi, che cercano di diffondere informazioni basate su dati in rapida evoluzione. Dall'altro, una crescente ondata di scetticismo alimentata da falsi miti e da una profonda sfiducia nelle istituzioni.

Per capire questa dinamica, è utile guardare alle figure di John Ioannidis e Susan Monarez. I loro ruoli, sebbene diversi, sono essenziali per comprendere la complessa interazione tra scienza, dati e comunicazione in tempo di crisi.

Pubblicato in Medicina

 


Una ricerca innovativa, frutto della collaborazione tra l'Università Statale di Milano, l'Université Paris 8 e l'Università di Tolone, ha utilizzato modelli epidemiologici – solitamente impiegati per analizzare la propagazione delle malattie – per studiare uno dei momenti salienti della Rivoluzione Francese: la Grande Paura del 1789. Pubblicato su Nature, lo studio dimostra che quest'ondata di panico, che travolse migliaia di contadini francesi, si propagò come un virus lungo le vie di comunicazione dell'epoca, colpendo in particolar modo le zone più benestanti e con un alto tasso di alfabetizzazione.

Voci, informazioni e, con un termine moderno, "fake news" si diffondevano nel passato lungo strade, sentieri e stazioni di posta, passando da un villaggio all'altro in modo simile a un'epidemia.

Pubblicato in Storia


Uno studio del Cnr dimostra come la gestione dell'intervallo tra la prima dose di vaccino (primer) e quella di richiamo (booster) sia un fattore determinante per l'esito della diffusione epidemica. La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Research.

 

L'intervallo tra la prima dose di vaccino (primer) e quella di richiamo (booster) è un fattore determinante nel contenimento di un’epidemia. In contesti di risorse limitate, la scelta della tempistica può influenzare in modo decisivo l’evoluzione del contagio. È quanto emerge da uno studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche con l’Istituto dei sistemi complessi (Cnr-Isc) e l’Istituto per le applicazioni del calcolo (Cnr-Iac), che ha utilizzato un approccio matematico per analizzare diversi scenari di distribuzione delle dosi e valutare l’impatto delle diverse strategie a livello di popolazione.

Pubblicato in Medicina

 

I ricercatori dell’Università Statale di Milano, analizzando campioni fossili provenienti dalla Cina, hanno identificato le più antiche tracce di alghe coccolitoforidi (un tipo di fitoplancton) finora note, risalenti a circa 250 milioni di anni fa. La scoperta anticipa di 40 milioni di anni le stime sulla nascita dell’oceano come lo conosciamo oggi.

Le coccolitoforidi, infatti, contribuiscono alla rimozione della CO₂ e sono parte dei produttori primari che influiscono tutta la biosfera marina. Questo suggerisce che già all'alba del Mesozoico ha avuto inizio la transizione ecologica che ha portato alla nascita di una fauna marina moderna segnando l’inizio dell’oceano attuale.

Pubblicato in Scienza generale

 

Il mondo universitario è una fucina inesauribile di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. Le università più lungimiranti investono massicciamente nel supportare i loro ricercatori a trasformare queste intuizioni in vere e proprie imprese. Eppure, nonostante un accesso privilegiato al sapere scientifico di punta e un sostegno considerevole, le startup nate in ambito accademico (University Startup Entrepreneurs - USEs) spesso faticano a raggiungere il successo dei loro omologhi che provengono dal mondo aziendale (Corporate Startup Entrepreneurs - CSEs). Una contraddizione apparente, ma che trova solide spiegazioni empiriche.

Un'analisi critica condotta dal Professor Alex Coad della Waseda Business School, e pubblicata su The Journal of Technology Transfer, esplora a fondo le differenze tra questi due tipi di imprenditori, svelando le ragioni del divario di performance.

Pubblicato in Tecnologia

 

Per decenni si è creduto che un alto livello di istruzione formale potesse agire come uno scudo contro il declino cognitivo legato all'età, quasi come una "assicurazione" per un cervello più giovane. Una convinzione radicata, che ha influenzato politiche sanitarie e stili di vita. Tuttavia, uno studio internazionale di portata epocale, pubblicato su Nature Medicine e frutto della collaborazione del consorzio europeo Lifebrain, tra cui l'Università di Barcellona e l'Institut Guttmann, ha gettato nuove ombre su questa ipotesi. Analizzando i dati longitudinali di oltre 170.000 persone in 33 paesi occidentali, la ricerca suggerisce che, sebbene l'istruzione dia un vantaggio iniziale, non rallenta il ritmo del declino cognitivo.

Pubblicato in Scienza generale


Il consorzio internazionale BioRescue*, di cui fa parte l’Università di Padova, ha inaugurato una nuova, decisiva fase della sua missione per salvare il rinoceronte bianco settentrionale (Ceratotherium simum cottoni), una delle specie più minacciate al mondo. Dall’inizio dell’anno sono stati creati tre nuovi embrioni, portando avanti un traguardo scientifico senza precedenti. Parallelamente, il team ha avviato i primi trasferimenti embrionali, impiantando embrioni puri di rinoceronte bianco settentrionale in madri surrogate appartenenti alla sottospecie meridionale. Con soli due esemplari rimasti – le femmine Najin e sua figlia Fatu, entrambe incapaci di affrontare una gravidanza naturale – BioRescue fa affidamento sulle tecniche più avanzate di riproduzione assistita e su un uso pionieristico delle cellule staminali, con l’obiettivo di offrire a questa specie una nuova possibilità di futuro.

Pubblicato in Scienza generale

 

La gestione del diabete di tipo 2 è una maratona quotidiana per milioni di pazienti, una corsa in cui il controllo della glicemia è solo una parte della sfida. Il vero traguardo è prevenire le complicanze a lungo termine, in particolare quelle cardiovascolari, che rappresentano la principale causa di mortalità in questa popolazione. In questo contesto, la scelta del farmaco giusto è cruciale. Una nuova e vasta ricerca condotta dagli investigatori del Mass General Brigham getta un'ombra su uno dei farmaci più popolari e accessibili, la glipizide, collegandola a un rischio più elevato di eventi cardiaci avversi rispetto ad altre alternative terapeutiche.

Lo studio, pubblicato su JAMA Network Open, ha analizzato i dati di quasi 50.000 pazienti, rivelando che la glipizide – la sulfonilurea più prescritta negli Stati Uniti – è associata a una maggiore incidenza di insufficienza cardiaca, ospedalizzazione per cause correlate e morte, se confrontata con una classe di farmaci più recenti, gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4).

Pubblicato in Medicina

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