Euphorbia damarana: identificato l'euphol come principale responsabile della sua tossicità ma anche come potenziale agente antitumorale

Lo studio scientifico "Isolation and identification of the primary toxin in the smoke of the Namibian milk bush, Euphorbia damarana" di M. P. Degashu et al., pubblicato sul South African Journal of Botany, Vol. 170, pp. 88-96 (2024), riporta l'isolamento e l'identificazione della tossina principale presente nel fumo del "Damara milk bush" (Euphorbia damarana L.C. Leach). Questo arbusto, che cresce nelle aree desertiche nord-occidentali della Namibia e del sud dell'Angola, veniva utilizzato tradizionalmente dai boscimani per realizzare frecce avvelenate usate per la caccia. Il suo lattice, infatti, è generalmente tossico per l'uomo e per gli animali, ad eccezione dell'orice e del rinoceronte nero che si nutrono dei suoi steli.
Hexophthalma hahni: the six-eyed sand spider

The Hexophthalma hahni (Karsch, 1878), also known by its synonyms Sicarius hahni and Sicarius testaceus, is an arachnid of great interest in the field of toxicology, recognized for its potent venom. This spider is characterized by dermonecrotic toxicity, meaning its bite can induce the necrosis of skin and subcutaneous tissues.
Morphology and behavior
The Hexophthalma hahni is a medium-sized spider whose coloration, which ranges from sandy yellow to reddish-brown, allows it to blend in perfectly with its arid environment, making it extremely difficult to spot. Its scientific name, Hexophthalma, is derived from Greek and means "six eyes," a distinctive feature of the Sicariidae family to which it belongs. Unlike most spiders that have eight eyes, members of this family have only six, arranged in three pairs.
Unlike many other spiders, the H. hahni does not spin a web to catch its prey. It is an ambush predator: it buries itself in the sand or under rocks, patiently waiting for unsuspecting insects or other small arthropods to pass by. Its long legs, equipped with special bristles, allow it to move nimbly across the sand. This adaptation, combined with its hunting tactic, has earned it the common nickname "six-eyed sand spider." Despite its formidable venom, the spider is reclusive and not aggressive; bites to humans are rare and occur almost exclusively when the animal feels threatened or is accidentally crushed.
Hexophthalma hahni: Il ragno della sabbia a sei occhi

L'Hexophthalma hahni (Karsch, 1878), noto anche con i sinonimi Sicarius hahni e Sicarius testaceus, è un aracnide di grande interesse nel campo della tossicologia, riconosciuto per il suo potente veleno. Questo ragno è caratterizzato da una tossicità dermonecrotica, ovvero la capacità di indurre la necrosi dei tessuti cutanei e sottocutanei in seguito al suo morso.
Morfologia e comportamento
L'Hexophthalma hahni è un ragno di medie dimensioni la cui colorazione, che varia dal giallo sabbia al bruno-rossastro, gli permette di mimetizzarsi perfettamente con l'ambiente arido in cui vive, rendendolo estremamente difficile da individuare. Il suo nome scientifico, Hexophthalma, deriva dal greco e significa "sei occhi", una caratteristica distintiva della famiglia dei Sicariidae a cui appartiene. A differenza della maggior parte dei ragni che ne possiedono otto, i membri di questa famiglia ne hanno solo sei, disposti in tre coppie.
A differenza di molti altri ragni, l'H. hahni non tesse una ragnatela per catturare le sue prede. È un predatore da agguato: si seppellisce nella sabbia o sotto le rocce, attendendo pazientemente il passaggio di ignari insetti o altri piccoli artropodi. Le sue lunghe zampe, dotate di speciali setole, gli permettono di muoversi agilmente sulla sabbia. Questo adattamento, unito alla sua tattica di caccia, gli ha valso il soprannome comune di "ragno della sabbia a sei occhi". Nonostante il suo temibile veleno, il ragno è di natura schiva e non è aggressivo; i morsi all'uomo sono rari e avvengono quasi esclusivamente quando l'animale si sente minacciato o viene accidentalmente schiacciato.
The Hidden Treasures of Namibia: The Peet Alberts Rock Engravings

While talking about rock art in Namibia, the mind almost inevitably turns to Twyfelfontein, a UNESCO World Heritage Site. Yet, near the town of Kamanjab, lies another archaeological treasure of inestimable value, less known but equally fascinating: the Peet Alberts rock engravings [1, 2]. This site, also known as Peet Alberts Koppie, is just 6.9 km from Kamanjab and about 229 km southwest of Etosha National Park [2]. With over 1,500 engravings [2], it is considered the second-largest in Namibia for the number and quality of its works [2].
The site is located on a series of granite rock formations [4] and is named after the farmer who discovered them in the 1950s, when his farm extended over the area. For decades, the works remained an almost private secret, known only to locals and scholars, before attracting the attention of the academic world and the cultural heritage community [2].
The engravings, created on a rock surface that stretches for hundreds of meters, represent a true open-air art gallery. The iconographic repertoire is vast and testifies to the richness of animal and cultural life in the region in remote eras. The works date back to a wide span of time, estimated to be between 25,000 and 400 years ago. In particular, it is possible to distinguish two main styles, attributable to the two cultures that alternated at the site [3]:
Figurative Engravings of the San: The oldest works, attributed to the San hunter-gatherers, are predominantly figurative. Figures of rhinoceroses, elephants, giraffes, and antelopes can be clearly recognized, often depicted in motion and with a remarkable attention to detail [1]. For the San people, these engravings were not mere representations of local fauna but were closely connected to shamanic practices. The Great God Gauwa resided beneath the rock surface, and his power was infused in the large animals, especially in their fat. Consuming the fat of these animals was a ritual to infuse the spirit of the world into oneself. The site itself was considered an entrance to the spirit world, and the engravings served as a medium to interact with it.
I Tesori Nascosti della Namibia: Le Incisioni Rupestri di Peet Alberts

Quando si parla di arte rupestre in Namibia, la mente vola quasi inevitabilmente a Twyfelfontein, un sito Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Eppure, vicino alla città di Kamanjab, si nasconde un altro tesoro archeologico di inestimabile valore, meno noto ma ugualmente affascinante: le incisioni rupestri di Peet Alberts [1, 2]. Questo sito, noto anche come Peet Alberts Koppie, dista appena 6,9 km da Kamanjab e circa 229 km a sud-ovest del Parco Etosha [2]. Con oltre 1.500 incisioni [2], è considerato il secondo per grandezza in Namibia per numero e qualità delle opere [2].
Il sito si trova su una serie di formazioni rocciose di granito [4] e prende il nome dall'agricoltore che le scoprì negli anni '50, quando la sua fattoria si estendeva sull'area. Le opere d'arte rimasero un segreto quasi privato per decenni, note solo agli abitanti del luogo e agli studiosi, prima di attirare l'attenzione del mondo accademico e della comunità del patrimonio culturale [2].
Le incisioni, realizzate su una superficie che si estende per centinaia di metri, rappresentano una vera e propria galleria d'arte a cielo aperto. Il repertorio iconografico è vastissimo e testimonia la ricchezza della vita animale e culturale della regione in epoche remote. Le opere risalgono a un vasto arco di tempo, che si stima tra 25.000 e 400 anni fa. In particolare, è possibile distinguere due stili principali, attribuibili alle due culture che si sono alternate nel sito [3]:
Incisioni figurative dei San: Le opere più antiche, attribuite ai cacciatori-raccoglitori San, sono prevalentemente figurative. Si possono riconoscere con chiarezza figure di rinoceronti, elefanti, giraffe e antilopi, spesso raffigurati in movimento e con un'attenzione notevole per i dettagli [1]. Per il popolo San, queste incisioni non erano semplici rappresentazioni della fauna locale, ma erano strettamente connesse a pratiche sciamaniche. Il Grande Dio Gauwa risiedeva sotto la superficie della roccia, e la sua potenza era infusa nei grandi animali, specialmente nel loro grasso. Consumare il grasso di questi animali era un rituale per infondere lo spirito del mondo in sé stessi. Il sito stesso era considerato un ingresso al mondo spirituale e le incisioni servivano come tramite per interagire con esso.
Come si trasformano le città: un modello matematico per spiegare la gentrificazione

L’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione ‘Alessandro Faedo’ del Cnr e la Scuola normale superiore di Pisa, in collaborazione con le università di Bari e Oxford, hanno messo a punto un modello matematico per analizzare i flussi e le dinamiche alla base della gentrificazione urbana, il processo che porta un’area abitativa popolare a diventare di pregio. La ricerca è pubblicata su Advances in Complex Systems
La gentrificazione urbana è quel processo per cui uno o più quartieri popolari da un certo momento iniziano a diventare di pregio e ad essere abitati da persone con fasce di reddito medio. Utilizzando un modello matematico di loro creazione, alcuni ricercatori hanno simulato al computer questo fenomeno, rilevando le dinamiche che lo sottendono. In particolare, è stato visto che basta una piccola diseguaglianza economica o un minimo investimento da parte di cittadini con fascia di reddito alta, il 5% del totale della popolazione, per far emergere situazioni di esclusione e sostituzione, innescando importanti fenomeni di gentrificazione urbana. Lo studio, svolto dall’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione ‘Alessandro Faedo’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isti) e dalla Scuola normale superiore (Sns) di Pisa in collaborazione con le università di Bari e Oxford, è stato pubblicato sulla rivista Advances in Complex Systems e ha già ottenuto importanti riconoscimenti internazionali, come il premio “Best Talk award” alla Conference on Complex Systems (CCS) e alla International Conference on Network Science (NetSci). Il modello ha simulato una città popolata da individui (agenti) di tre fasce di reddito (basso, medio, alto).
The Last Himba? The Challenge of an Evolving Culture

"The article's title, '“There Are No True Himbas Anymore: exploring the dynamics of the Himba culture and Land use in the face of change in Kunene Region, Namibia”', might seem like a definitive statement, but it's actually the starting point for a deep reflection on the challenges the Himba people of Namibia are facing."
Published in the journal Sustainability, vol. 16, no. 4, in February 2024, the research by Emilia N. Inman analyzes how one of Africa's most unique and resilient cultures is changing due to external and internal factors.
The Himba people have maintained a distinct identity for centuries, based on a pastoral economy and ancestral traditions. However, the article documents an unstoppable transformation, fueled by modernization, globalization, formal education, and the influence of religion. Environmental pressures, such as climate change, are also putting a strain on their traditional land-based lifestyle.
Gli Ultimi Himba? La Sfida di una Cultura in Evoluzione

"Il titolo dell'articolo, '“There Are No True Himbas Anymore: exploring the dynamics of the Himba culture and Land use in the face of change in Kunene Region, Namibia” (Non esistono più veri Himba), sembrerebbe un'affermazione definitiva, ma in realtà è l'inizio di una profonda riflessione sulle sfide che il popolo Himba della Namibia sta affrontando.".
Pubblicato sulla rivista Sustainability, vol. 16, n. 4, nel febbraio 2024, il risultato della ricerca condotta da Emilia N. Inman analizza come una delle culture più uniche e resilienti dell'Africa stia cambiando a causa di fattori esterni e interni.
Il popolo Himba ha mantenuto per secoli un'identità distinta, basata su un'economia pastorale e tradizioni ancestrali. Tuttavia, l'articolo documenta un'inarrestabile trasformazione, alimentata dalla modernizzazione, dalla globalizzazione, dall'educazione formale e dall'influenza della religione. A queste si aggiungono le pressioni ambientali, come i cambiamenti climatici, che mettono a dura prova il loro tradizionale stile di vita legato alla terra.
Un magnete “invisibile” per computer più green. Lo studio di Milano-Bicocca e Mit pubblicato su Nature

Computer, smartphone e data center del futuro potrebbero diventare più veloci ed efficienti, riducendo allo stesso tempo il consumo energetico. Un passo importante per raggiungere questo obiettivo arriva da una scoperta nel campo del magnetismo alla quale ha contribuito anche l’Università di Milano-Bicocca. Il gruppo del Dipartimento di Scienza dei Materiali, guidato dalla professoressa Silvia Picozzi, ha infatti identificato un nuovo materiale, lo ioduro di nichel (NiI₂), che appartiene a una classe di materiali recentemente scoperta: quella degli altermagneti. Lo studio, svolto in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, è stato pubblicato su Nature, tra le più autorevoli riviste scientifiche internazionali .
Salvaguardia dei coralli: una biopasta conduttiva è la nuova frontiera per il restauro. E nasce un cerotto tutto naturale per curarli

Una biopasta green, completamente biodegradabile, in grado di ancorare i coralli e allo stesso tempo accelerarne la crescita grazie alla tecnologia della mineralizzazione elettrochimica. È la nuova soluzione sviluppata da un gruppo di ricerca congiunto dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e dell’Acquario di Genova, e descritta in uno studio pubblicato sulla rivista Advanced Materials. Minacciate dai cambiamenti climatici e sempre più vulnerabili, le barriere coralline sono ecosistemi cruciali per la biodiversità marina e la sopravvivenza di molte comunità costiere. Oltre a rappresentare una risorsa fondamentale per pesca e turismo, i reef svolgono un ruolo chiave negli equilibri ecologici globali. Proprio per affrontare la loro progressiva degradazione, la ricerca sta puntando su soluzioni innovative che uniscano ecocompatibilità, efficacia e rapidità d’intervento.
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