E’ della metà di gennaio, pubblicata sull’ultimo numero di 'Proceedings of the National Academy of Sciences', la notizia che una ricerca made in italy, chiarisce l’origine dei danni alla memoria nel morbo di Alzheimer.
Nel mondo il 5% delle persone con più di 60 anni soffre di Alzheimer, una patologia che si manifesta con disorientamento spazio-temporale, amnesia, incapacità di riconoscere oggetti o di compiere azioni comuni come lavarsi i denti, cucinare, telefonare o scrivere. Questa malattia rende inermi e dipendenti dagli altri, incapaci di sopravvivere se lasciati da soli e spesso nell’impossibilità di riconoscere parenti e amici andando verso un progressivo e assoluto isolamento. Le origini di questa malattia non sono ancora state chiarite, mentre si sa molto di più sul funzionamento del processo di degenerazione: i neuroni cerebrali iniziano a produrre una proteina (beta-amiloide) che genera placche all'interno della cellula e dei grovigli neurofibrillari. Questa modificazione cellulare, da inizio ad una serie di eventi che portano prima ad una perdita della funzionalità sinaptica, che è probabilmente connessa con la proteina beta-amiloide la quale, in seguito, conduce alla morte del neurone.

Da oltre vent’anni all’Ospedale San Raffaele di Milano, Giampaolo Perna è responsabile del Centro per i Disturbi d’Ansia e del Day Hospital Psichiatrico. È uno dei ricercatori più conosciuti a livello internazionale per quanto concerne le tematiche dei disturbi d’ansia e ha pubblicato oltre 100 articoli su riviste internazionali e nazionali. Fra pochi giorni partirà con la spedizione Oltre, Beyond the Edge, alla volta del Polo Nord. Lo abbiamo raggiunto nel suo studio milanese, in tempo per la partenza.

Un gruppo di ricerca diretto da Julie Williams, professore di Genetica neuropsicologica dell’università’ di Cardiff in Gran Bretagna e da Philippe Amouyel dell’Istituto Pasteur di Lille in Francia, ha aggiunto un importante contributo al fine di trovare una cura per l’Alzheimer.
I risultati di questo studio, presentato sull'ultimo numero della autorevole rivista Nature Genetics,
sono dei primi di settembre e riguardano tre geni chiamati: ‘Clu’, ‘Picalm‘ e ‘Cr1‘ le cui variazioni potrebbero, insieme ad un altro gene, già conosciuto da qualche tempo, che controlla l’ APOE4, mostrare i meccanismi che conducono alla malattia.

In uno studio condotto dall’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del CNR, sono state indagate le risposte neurali all’osservazione di persone coinvolte in attività richiedenti notevole sforzo fisico, quali ad esempio correre, saltare, tuffarsi ecc..
Studi precedenti (Paccalin and Jeannerod, 2000) avevano investigato le risposte fisiologiche di osservatori assolutamente immobili mentre guardavano un altro individuo correre su un tapis-roulant. I dati hanno evidenziato dei sensibili cambiamenti nell’attività del SNA (Sistema Nervoso Autonomo) dell’osservatore,  rilevando un aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria. Tale tipo di effetti è stato registrato anche in persone ferme che immaginavano di compiere sforzi fisici (Decety, et al., 1991).

Il compositore della bellissima “Rapsodia in blue”, dell’opera “Porgy and Bess”, e di tante bellissime canzoni e colonne sonore di film americani, soffrì moltissimo a causa di un brutto male al cervello che lo colpì quando aveva meno di 39 anni.
L’intervento che non gli salvò la vita fu lungo e difficile, e presentò molti inconvenienti di natura medica e chirurgica, nonostante ad eseguirlo fosse un neurochirurgo americano d’indubbia fama ed esperienza.

 

L’Ateneo coordina una ricerca europea per lo studio di nanoparticelle in grado di superare le barriere biologiche e veicolare con successo il farmaco in caso di tumori, malattie neurodegenerative, fibrosi cistiche e malattie polmonari. Il progetto NABBA ha ricevuto un finanziamento di 3 milioni di euro nell’ambito di Horizon2020.

 

Milano, 2 ottobre 2014 – L’Università di Milano-Bicocca sarà capofila del progetto europeo NABBA "Design and development of advanced NAnomedicines to overcome Biological BArriers and to treat severe diseases" finanziato con 3 milioni di euro dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Marie Sklodowska Curie. Scopo del progetto la realizzazione di nanoparticelle in grado di trasportare farmaci con successo attraverso le barriere biologiche. NABBA è tra i primi del nuovo programma di ricerca Horizon2020 a vedere l’ateneo milanese come capofila.

L’edema maculare diabetico (DME) è una grave complicanza della retinopatia diabetica, una malattia oculare che colpisce nel tempo la maggior parte dei pazienti affetti da diabete. Il DME causa danni molto gravi alla macula, la regione centrale della retina responsabile della visione distinta, che ci permette di svolgere tutte le azioni quotidiane più importanti, quali leggere, guidare e riconoscere i dettagli più fini. Questa patologia è causata dall’alterazione della permeabilità dei vasi sanguigni della retina, che causa la fuoriuscita di sangue o fluidi al di sotto della macula. Con il passare del tempo, si forma un accumulo di liquidi al di sotto della macula – una condizione indicata come edema maculare diabetico – che porta ad un danno strutturale della macula stessa. I sintomi percepiti dal paziente in presenza di DME consistono in una visione offuscata ed una perdita della visione spesso progressiva, che può giungere fine alla cecità legale. Il DME colpisce soggetti diabetici di tutte le età ed è la principale causa di cecità legale nelle persone in età lavorativa nei Paesi tecnologicamente avanzati; essa assume pertanto una grande rilevanza dal punto di vista socio-economico.

La degenerazione maculare legata all’età (AMD) è una patologia dell’occhio che colpisce prevalentemente le persone al di sopra dei 60 anni di età. La AMD può presentarsi in due forme: la AMD atrofica, meno grave ed a lente evoluzione, e la AMD essudativa o neovascolare, più aggressiva e pericolosa e con decorso molto rapido. La AMD essudativa causa danni alla macula, la regione della retina responsabile della visione centrale, ossia la visione fine e dettagliata che permette di riconoscere un volto, leggere, guidare e così via. Oggi sono a disposizione diversi farmaci in grado di contrastare i meccanismi cellulari e molecolari responsabili del grave danno arrecato dalla AMD essudativa.

Uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda e l’Università di Pavia, spiega che le cure per l’Alzheimer non possono essere tutte uguali. Centrare la terapia garantirebbe una qualità di vita migliore al paziente e permetterebbe di tagliare i costi della spesa sanitaria. Per individuare il farmaco giusto, basta una risonanza magnetica.

Milano, 16 maggio 2012 – Il nostro cervello è in grado di rispondere alla terapia farmacologica contro l’Alzheimer? Una risonanza magnetica può dirlo. Lo studio condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda e il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Pavia (professoressa Gabriella Bottini), pubblicato sulla rivista Behavioral Neurology, ha dimostrato che i pazienti che subiscono un progressivo peggioramento della malattia, nonostante il trattamento farmacologico con inibitori dell’acetilcolinesterasi - principio attivo utilizzato in larga misura nella terapia per contrastare l’Alzheimer -, hanno una significativa atrofia dei nuclei profondi del cervello colinergici e dei fasci di sostanza bianca circostanti.

In uno studio pubblicato sull'ultimo numero di African Journal of Pharmacy and Pharmacology, Roger Bate, direttore dell'associazione no-profit Africa Fighting Malaria, mette a confronto alcune tecnologie usate per smascherare i farmaci contraffatti, ossia quelle medicine che, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, “non concordano con provenienza e descrizione riportate sull'etichetta e sulla confezione”. Nel 2003 l'OMS ha calcolato che su un milione di persone che ogni anno muoiono a causa della malaria, 200.000 potrebbero essere salvate “se i farmaci antimalarici fossero efficaci, di buona qualità e usati correttamente”. Oltre il 30% delle medicine presenti sul mercato  in molti Paesi dell'Africa, invece, non rispetta gli standard di sicurezza. Secondo i dati raccolti da Bate e dalla sua équipe, la percentuale sarebbe ancora più alta: su un campione di farmaci antimalarici, antibiotici e antimicobatterici prelevati in India e in 5 Paesi dell'Africa, quasi la metà non supera i test di qualità. In alcuni casi, osserva Bate, questi risultati dipendono dal fatto che i farmaci vengono trasportati e conservati in condizioni igienico-sanitarie inadeguate. Vaccini, antibiotici e antimalarici, infatti, si degradano facilmente quando sono esposti per lunghi periodi all'umidità, alle variazioni di temperatura e alla luce del sole.

 

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